Tuttavia. Dialogo
(quasi) a bocca chiusa
… Intanto, si era venuto stringendo un dialogo anche
con Ignazio Apolloni, ma più cool,
più squisitamente letterario. Ignazio aveva cominciato a inviarmi in regalo i
suoi libri-oggetto, sketch-poesie e provocazioni di sinestesie del linguaggio
iconico e di quello verbale. Ne seguivo lo svolgimento, osservando concordanze
futuriste e audaci contattazioni del
fumetto e del cinema.
Ma improvvisamente un giorno mi scrisse una
letteraccia, lunga, articolata, con tutti gli spazi bianchi occupati. Aveva
acquistato e letto un mio libro, Novecento
e tradizione, dove io cercavo di
analizzare il sorgere e l’affermarsi della tradizione del nuovo nella poesia
italiana del XX secolo. Era la seconda edizione di tracciati di un ciclo di mie
conferenze tenute a metà degli anni Sessanta all’Istituto Italiano di Cultura
di Tripoli.
Ignazio mi accusava di integrazione nel sistema e mi
disconosceva come amico e compagno di strada, di svendita dell’ “anti”. Per lui
passato presente e futuro andavano giudicati unicamente secondo la legge della
nostra irriducibilità all’ordine costituito, che era l’irriducibilità tout
court.
Gli risposi con delle precisazioni e distinzioni
storiche e filologiche. Ma credo che la risposta non gli facesse né caldo né
freddo perché non me ne dette riscontro. A lui bastava aver segnalato all’amico
la caduta di impegno ed essersi sfogato. Le sue incazzature sono eventi: hanno
una nicchia in quel momento e in quello spazio, poi vengono affidati a se
stessi. “Chi avrà vedrà”, dice loro Apolloni e va appresso a cercare altre
nicchie da riempire con la sua insopprimibile tensione creativa e con la sua
follia.
Sostiene Pirandello che dentro ognuno batte una corda
pazza. Io credo che dentro Apolloni batta più di una corda pazza. Così,
l’originalità è assicurata.
Originale, Apolloni è originalissimo. Non sto a
tracciarne un profilo, per rispetto della natura della nota. Ma qualche glossa
almeno va apposta sulla presente stagione.
La quale continua a mantenere fede, molto generosamente,
alla poetica dell’ “anti” sottoscritta coralmente nel gruppo negli anni
Sessanta.
L’indocilità non solo all’aulico, al curiale,
all’accademico, ma anche al confortevole e al gradevole che tanto spesso si
coagula e gratifica autori e fruitori della comunicazione media e perfino di
quella bassa e degradata, dove non manca chi si rifugi per dileggio delle
misure e convenzioni alte, produce sciami sismici di annichilimento di
tentativi e tentazioni di addomesticamento alla cosa immonda che è il sistema.
Il non senso si compiace di appostarsi fin dall’inizio per poi fare sberleffi
al lettore nel corso dei lavori o alla fine degli stessi, ridendo della sua
ingenuità a non essersene accorto subito. Il divertimento, di etimo
palazzeschiano, che pertanto rivendica il diritto sia di scollegarsi
aprioristicamente da implicazioni ideologiche e moralistiche, sia di aggirarsi
in allegria intorno a ogni spunto o pretesto ludico, scompiglia e sconvolge le
trame supposte o supponibili delle vicende.
Questo è oggi come ieri, anzi forse più di ieri,
perché Apolloni, col passar del tempo, rende ancor più lieve e giocosa la
disponibilità all’avventura ideale (e forse anche esistenziale). Perché
appartiene alla razza di quelli che nascono non per restare giovani, ma per
essere ogni momento, in ogni prova, giovani sempre.
Ma il gioco, oggi, è per lo scrittore molto più
sottile di prima e i veleni che egli dissemina nel suo fare sono molto più
insidiosi e tenaci. La strategia stessa della poiesis è più astuta, potendosi Apolloni giovare del dialogo che
viene intrattenendo con dei volponi della letteratura come Gramigna e Finzi.
Il segno più tangibile degli acquisti coscienziali sul
versante della mimesi è nell’opzione, che non possiamo dire definitiva, perché
niente è definitivo nella storia e tanto meno per il nostro Ignazio, per la
narrativa, che è sempre acuminatamente “anti”, ma che in questi ultimi anni è
sempre più pervasa come attività fondamentale e fondamentalmente verbale, anche
se sollecitata da tecniche verbali dei nuovi media, dal cartoon alla tv e al
computer. Sembra proprio che Apolloni finalmente si sia deciso a prendere
cittadinanza, ma anche residenza, nel romanzo, nella novella, nella favola.
Ma vediamo quali scherzi perversi egli continua a fare
a danno (ma anche a vantaggio) delle istituzioni letterarie.
Partiamo dalla favola, che a un siciliano riesce
spontanea, perché “discende per li rami”.
La predisposizione sorgiva alla fabulazione e alla
favolistica non cerca, in Apolloni, contaminazioni con l’esotico e la
sensualità mediterranea e saracena, come ad esempio in Bonaviri (anche lui
siciliano, non a caso). L’autore non si lascia implicare né antropologicamente,
né sociologicamente, né subliminarmente.
Egli è deciso a servirsene, perché è venuto scoprendo
che in tale inclinazione possiede una risorsa decisiva. Ma stabilisce di
servirsene senza compiacimenti, al di là degli schemi, perché non può farne a
meno.
Modernamente, cioè in senso innovatore e sperimentale
insieme, va a saggiare le possibilità della favola prima nell’avvicinamento
delle punte con il fumetto alla Charles Schulz, alla Johnny Hart (l’autore di
B.C.), alla moda di Al Capp.
Successivamente, dopo e durante frequentazioni delle
“anime” giapponesi e di Tiziano Sclavi, rilancia la favola e il racconto per i
giovanissimi con provocazioni nichilistiche.
Il ricorso alla favola è strumentale apertamente alla
registrazione della morte della stessa.
Ignazio Apolloni Capellino Edizioni Intergruppo-Singlossie Palermo 1991 |
Si apra a caso una pagina di Capellino (1991), la prova più impegnativa e significativa di
Apolloni nella narrativa per ragazzi, e si troveranno a iosa periodi lunghi,
addensarsi di materiale semantico non tarato sulle capacità d’intelligenza (e
di suggestione) di chi è in fase di sviluppo, rinvii a esperienze letterarie e
artistiche sofisticate della modernità, riporti linguistici da milieu sociali e
culturali raffinati. In pratica la favola c’è ma solo promessa, allusa, appena
suggerita. Essa si cerca come fruitore non il bambino o il ragazzo vero, ma
l’adulto mentalmente maturo e vaccinato ai mali della vita e agli scherzi del
linguaggio, in cui tuttavia abiti l’albale innocenza degli inizi.
Questo lettore in Capellino
troverà deliziose occasioni di sognare a occhi aperti e riscoprire il piacere
dell’invenzione e dell’intrigo. Analogo pubblico cercava Mozart per le sue
favole settecentesche o Ciajkovskij con Il
lago dei Cigni e lo Schiaccianoci.
Ironia, svuotamento dall’interno di ogni contenutismo
narrativo, trasgressione, giuoco crudele al massacro delle convenzioni, ma
intrisi di brio creativo, animano egualmente le opere non favolistiche.
Ignazio Apolloni GILBERTE Novecento Palermo 1994 |
Gilberte (1994), ad esempio, un libro di 563 pagine, è un
romanzo anti-intermeta. Come acutamente osserva Gilberto Finzi, in esso, “come
in una lezione del grande Lacan, il testo sa molto di più di quanto non sappia
il suo autore”. La complessa, intrigata, sfaldata vicenda rappresentata implode
in mimesi del caos che incombe e circola non solo sul mondo contemporaneo, ma
sul mondo in sé e si fenomenizza nell’avvolgente, gratuita narratività, anonima
eterna, dettata da una “bouche d’ombre”.
Ormai, l’accettazione di trovarsi e guardarsi nella
letteratura come specchio della realtà e intersezione della stessa, è piena. La
sottoscrizione è in Racconti patafisici e pantagruelici (2000). Qui
tutto il gusto dello scherzo e dello scherno è avvolto nella consapevolezza che
in questione non è solo il fantasma dell’oggetto, ma il destino stesso di chi
parla insieme con quello del corpo della parola.
E’ un punto alto toccato da Apolloni. Forse il più
alto e persuasivo. Ma un punto anche di approdo dell’agonismo di
Antigruppo-Intergruppo.
MCon anti testi di letteratura ideologica, polemica, interventi di
ugo piscopo, gianni toti, spartaco gamberini, lamberto pignotti, eugenio miccini, luciano ori, sebastiano vassalli, v.s.gaudio
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ugo piscopo, gianni toti, spartaco gamberini, lamberto pignotti, eugenio miccini, luciano ori, sebastiano vassalli, v.s.gaudio
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