Come deve essere la poesia?

Marisa G. Aino, L'idea, il desiderio, la menzogna,
L'arzanà, Torino 1982

Come deve essere la poesia? Ma forse non deve nulla, forse non è debitrice di nessuno, e tutti i suoi creditori sono inattendibili. Non c’è nulla di più facile che parlare di ciò che occorre, di ciò che è necessario in arte. E’ un tema, diceva Osip Mandel’štam, che: 1) porta a discutere di cose arbitrarie che non impegnano a nulla; 2) si presta a inesauribili speculazioni filosofiche; 3) esenta da una cosa spiacevolissima, di cui non tutti sono capaci, e precisamente dalla gratitudine per ciò che esiste, dalla riconoscenza per ciò che in quel dato momento è la poesia.
Oh, mostruosa ingratitudine: verso….( e giù una tiritera di 1000 e più nomi tutti astemi e lirici della parola innamorata…). Poeti di questo genere Dio, si fa per dire, ma è il Caso, piuttosto che la Necessità(basta aver denari per il tipografo), ce ne ha dati in abbondanza. Un popolo non sceglie i propri poeti, esattamente come nessuno sceglie i propri genitori. Un popolo che non sa onorare i propri poeti non merita nulla, perché forse semplicemente non sa che farsene. Ma quanta differenza tra la pura insipienza del popolo, per non parlare dei Savoia, e la semiscienza di un bellimbusto ignorante edito da Mondadori, per non parlare di Einaudi(ma si può sempre dire che sia il signor Bunga-bunga) e anche da Marsilio, quantunque in un caso si dice esplicitamente il contributo e nell’altro se ne faccia un conto implicito ed esteso in profondità.
La paura dell’interlocutore concreto, dell’ascoltatore dell’”epoca”, dell’amico della propria generazione(figuriamoci di quello delle generazioni successive…) ha accanitamente perseguitato i poeti di tutti i tempi. Più geniale era il poeta e più acutamente soffriva di questa paura. Onde la famigerata ostilità tra artista e società. Ciò che è  per il letterato o per il narratore, per non parlare del cantante, quantunque sia cantautore, e del poeta dialettale sincronico al Dasein, non lo è assolutamente per il poeta. La differenza fra letteratura, ovvero produzione  dell’industria culturale, e poesia è questa: il letterato, che a volte è anche uno che ha appena finito di fare il dottorato in non si sa che cosa e che intanto fa l’attrice ma sta pensando di avviare un esercizio commerciale quantunque non sia per il momento associato a non si sa che setta pseudo alfabetizzata e che per caso è antologizzato già come un novissimo poeta dal Custode Massimo dell’Antologia, si rivolge sempre ad un ascoltatore concreto, a un rappresentante vivo dell’epoca(foss’anche un associato della ADI o della MOD). Anche quando profetizza, egli tiene lo sguardo fisso su un suo futuro contemporaneo. Lo spirito didattico è il nerbo della  frittura narrativa. Il poeta è legato  solo al lettore che gli fornisce la provvidenza. Essere superiore all’epoca, anche quando prende i taxi balinesi e perde la biro, eccellere nella società non è un obbligo per lui.
La poesia  è sempre diretta, nel suo insieme, ad un destinatario più o meno lontano e ignoto della cui esistenza il poeta non può dubitare(quantunque il web non lo aiuti in questo; e possa incappare in blogger arroganti e prescrittivi) senza dubitare di se stesso. La metafisica non c’entra nulla. La patafisica forse sì. Soltanto la realtà può evocare e far vivere un’altra realtà. D’altronde il poeta non è un homunculus e non c’è ragione di attribuirgli la proprietà della generazione spontanea. Grazie a Dio, è per questo che c’è sempre una ragione in più per darsi al proprio “Berg”(nel senso di Gombrowicz) abbondantemente bagnato dal Cartizze.


© anonima del gaud 
Grazie a Dio, è per questo che c'è sempre una ragione in più per darsi al proprio "Berg"