IL MANGANELLI DE “LA PALUDE DEFINITIVA ”
“Aveva
un’immaginazione intellettuale tragica, quasi perversa per sottigliezza: spesso
i suoi esercizi filosofici ci ricordano quelli di un pensatore gnostico o un
paradossale logico del tardo medioevo”.
Questo
era Giorgio Manganelli, un misto di ieraticità e follia, per Pietro Citati. Uno
cioè di coloro di cui non può farsi a meno: e meno male che ne nasce solo uno
ogni tanto.
Sfugge
a Citati la naturalezza della scrittura, quella che a Manganelli mancava tant’è
che lo si è definito paranoico, artificioso arzigogolatore, metafisico astratto
a fronte di una concretezza che gli scorreva tra i piedi e che però nemmeno
avvertiva; gli sfugge l’uso controllato della scrittura necessario perché le
divagazioni non portino al vicolo cieco, alla tautologia. Impregnato com’era
nell’intimo di spiritualità insoddisfatta il Manganelli secondava tendenze e
tensioni della media borghesia occupata a darsi uno spazio nell’aldilà col
costruirsi regni in terra e desiderare di averne altri dopo.
La
meditazione su testi come La
Genesi ; la lettura delle opere di Platone; il classicismo e
l’arte del rappresentare più che non dire – tipica del barocco – fecero del
Manganelli un uomo destinato alla palude, vestito lo scheletro solo di abiti dimessi
quanto la sua intelligenza prostrata e ridotta al grado zero. La penitenza dopo
le ubriacature da letture disordinate; la crocifissione attesa, desiderata, mai
sul punto di giungere e perciò connotata da maggiore sofferenza ne fecero
vittima di deliqui com’è dei pazzi. All’interno delle narrazioni – o esercizi
vocalici e sonori se letti ad alta voce – c’è tuttavia un minimo di
letterarietà da iscrivere al maledettissimo iconico: ed ecco perché divenne
un’icona anche lui del genio e sregolatezza. Niente perciò paragone con
Beckett, come fa il Citati, e semmai esatto quello con Ockham.
C’è
infine da domandarsi di cosa è fatta la pasta cerebrale di tipi come il
Manganelli: da cosa è stata irrorata; quali i gangli di cui si è nutrita e
quali le sinapsi. È spesso la biblioteca del nonno o del padre, i testi da loro
raccolti per assicurarsi l’immortalità ed intanto il rispetto di chi, anche
essi, tendono alla resurrezione – simile all’abbandono di un bimbo tra le
braccia della madre – a bacare il bozzolo per infine inquinare persino il
pensiero. Temo proprio questo sia accaduto al Manganelli se ha finito con
l’immaginare non soltanto la palude ma anche il modo di scriverne come fase
definitiva della vita.
Ignazio Apolloni