RICAMI DI NUVOLE TRANSITORIE
di Mario Grasso.
1 - Venne
chiesto al Saggio un parere sulla contemporaneità nazionale. L’insistenza
dell’intervistatore finì col vincere la riluttanza dell’interpellato, che
rispose con breve giro di parole. Breve ma giro, appunto, infatti da
intervistato si pose a intervistatore, chiedendo al giornalista: “ Lei
ha fatto il militare?” – Sì,
l’ho fatto ai tempi dell’obbligo di leva. – “E allora lei è abbastanza informato sui
gradi militari, in merito ai quali io le chiedo quale differenza pone tra un
colonnello e la miseria?” - Il giornalista rimase senza parole per
qualche minuto, poi lealmente rispose: “Non riesco a trovare una risposta, un
colonnello è un colonnello, non saprei come mettere a confronto la importante
carica con il concetto di miseria”. Ai
presenti parve seria e appropriata la risposta, quindi lasciamo immaginare da
quale sorpresa furono colti ascoltando il ribattere del Saggio che senza
scomporsi ma con tono che non lasciava dubbi sulla sua intenzione di chiudere
il dialogo: “La
differenza c’è ed è così evidente da non lasciare adito ad alcun ulteriore
commento per chi conosce i gradi delle gerarchie militari, infatti il
colonnello è colonnello mentre la
miseria è generale”.
2 -
Sembra di leggere i versi di Bersezio, nei nostri giorni di adeguamenti
alla corruzione generale come al costume politico di parole e network: “S’ode a
destra uno squillo di tromba a sinistra risponde uno squillo”; e se Roma piange
Milano non ride. Fosse solo un esito di emozioni. In realtà c’è di più. E dal
momento che il colonnello è stato promosso generale non resta che andare dal
sarto per riadattare la mostreggiatura.
3 -
Quello che non lascia molti spazi è il rimestare quanto è sotto gli occhi di
tutti. Pestare acqua nel mortaio per esibire un movimento, doloso compiacimento
di impotenza e pecoreccio, quasi un pettegolare da salotto ciucciando
tarallucci inzuppati di rosolio ignorando i segni della nuova etica politica
secondo cui un partito o un movimento si manifesta pronto a governare con i
propri accoliti a partire dal momento in cui dimostra che ha in seno
eccellenti cultori di crimini. E non importa a quale livello o di quale genere.
In altre parole c’è una regola, una consuetudine, un teorema, una formula
infallibile: la dimostrazione di avere pronto un battaglione mimetizzato di
neoguastatori, la cui presenza si va manifestando a macchia di leopardo in
tutto il Paese, come, con qualche ritardo, si sta verificando in seno al
Cinque Stelle, da Palermo a Bologna, a Roma. E chi più ne sa meno ne metta, per
non racimolare la figura di chi non è capace di adeguarsi alla contemporaneità
in cui è immerso. Meglio fare la figura del fatalista che del moralista per non
finire nel ridicolo dei dibattiti televisivi dei neo-Soloni dell’oralità cara
al modello freudiano. Tanto non ci sarà un novello Leibniz a distinguere sul
minore dei mali possibili né un Voltaire a ironizzare rispondendo a stappo
sull’ecatombe di morti, quella volta, nel migliore dei mondi possibili,
provocata da un terremoto.
4 - Tra
le chiamate perse una è quella più trascurata, il “far mente locale” alla
maggioranza silenziosa che non è quella di chi (imbecille e autolesionista) si
astiene dal votare o quella degli ipocriti che si esibiscono a obiettori di
coscienza ma è quella potente e onnipresente delle criminalità organizzate,
mafie che siano definite o camorre o sacre corone unite. Chiamate perse
probabilmente per non rispondere a chi può dare guai in aggiunta a quelli
ordinari. Ci si dovrebbe far “mente locale” tutte le volte che leggendo i
bilanci dello Stato (o delle regioni a statuto speciale, come la Sicilia)
l’occhio cade (senza rialzarsi) sulle spese per le scorte anticrimine di chi è
nel mirino della maggioranza silenziosa di cui sono permeate a tutti i livelli
le consuetudini della civiltà gestita dalla miseria generale. Ma, affinché non
si racimoli anche per noi la qualifica di fatalisti, non ci peritiamo di
ripetere con l’Ecclesiaste “Nihil sub sole novum” (…) “Pecuniae obediunt
omnia” quindi per un omaggio riconoscente alla memoria di’Orazio e delle sue Epistole:
“Nihil admirari”.