Wordle di Non ti mentiri supr'u tùmminu in 20esima |
NON TI MENTIRI
SUPRA U TUMMINU
- di Mario Grasso
NON TI MENTIRI SUPR’U TÙMMINU
Non salire sulla misura (moggio)
Cominciamo con una
versione di tùmminu in
misura, che non è proprio traduzione esatta, infatti nella lingua di
comunicazione nazionale questa voce del siciliano corrisponde sia a moggio (o
modio e comunque dal latino mòdus) sia a tumulo, significante, quest’ultimo,
che nell’immediatezza della sua ordinaria accezione (copertura di una tomba)
porterebbe ancor più fuori strada il lettore. Meglio procedere con ordine e
precisare che ‘u tùmminu ha nel
siciliano due diversi significati, uno merceologico legato alla misura in uso,
almeno fino a tutta la prima metà del Novecento, per i così detti aridi,
(secchi) cioè cereali come frumento, fave, avena, ceci, lenticchie, orzo e
altri “secchi con guscio”come mandorle, noci, nocciole e persino quei sassolini
presenti in commercio in quanto adoperati in edilizia per acciottolati,
ornamenti a rilievo, pavimentazioni. Insomma, tùmminu come misura che
corrispondeva di volta in volta a un peso diverso rispetto al genere
merceologicamente prezzato a priori per la “piazza” e per la stagione in corso.
Si sapeva quindi che ‘n tùmminu di frumento nell’annata in corso valeva X mentre un di fave Y e
così via per ogni genere da acquistare a misura. Per esempio: corrispondeva a
sedici chili un tùmminu di frumento. Ma evitiamo di
pronunciarci su questo argomento misura = chili, per non incorrere in errori,
stando alla oscillazione del peso rispetto al genere da misurare. Andiamo
piuttosto a precisare che il misuratore tùmminu consisteva in un cilindro, evidentemente chiuso alla sua base,
ordinariamente di legno lavorato a strisce spesse compattate e incollate a
imitazione delle doghe dei barili o delle botti e rinforzate da strisce a
cerchio di lamiera, il tutto a sopracustodia dell’altro cilindro interno di
zinco, o altro metallo per i moggi destinati a misurare cereali; rivestimento
igienico che non era presente in quelli destinati a misurare quantità di
sassolini. La robusta e solida consistenza di questo contenitore ne consentiva
l’utilizzo, rovesciandolo a bocca all’ingiù, come provvisorio sedile o per la
felicità di qualche bambino nel collocarvisi sopra in piedi, con l’esito di
apparire alto, più alto di chiunque tra i presenti, di “sovrastare”. E s’è
capito già il significato del “salire sul moggio” per pretendere di dimostrare
una altezza che non si ha. Un detto di cui si è perduto per sempre l’uso,
infatti sono un ricordo di altre epoche i moggi – o tùmmina siciliani che
siano da definire – . Perso il loro uso, salvo, e solo per la lingua di
comunicazione nazionale, a ricorrere al nome dato da Gabriele D’Annunzio a una delle
sue opere, appunto, La fiaccola sotto il moggio, titolo che adombra il significato di
qualcosa che impedisce alla luce di risplendere, figuralità presente in tante
occasioni bibliche per definire metaforicamente l’effetto oscurante di un
moggio rovesciato a coprire una lampada accesa al fine di impedire la
diffusione della sua luce. Quanto all’etimologia possiamo ricorrere al latino modus (misura) per il moggio
(o modio), discorso che si complica al momento di risalire alla radice di tùmminu per il quale i
dizionari del siciliano spiegano che si deve considerare una frazione della sarma, altra misura siciliana, dall’ambiguo rinvio che, appunto, una
volta italianizzata in “salma” e accostata a tumulo mette insieme
inequivocabili significati cimiteriali tra cadavere e copertura di tomba, pur
restando salda l’accezione nel siciliano come unità di misura sia per
estensione di terreno oltre che per prodotti di natura mercelogica (aridi) come
sopra specificati. Né si va oltre la spiegazione che segue alla voce tùmminu
come “Sorta di misura degli aridi che è la 16esima parte della salma e per
l’orzo e l’avena la 20esima ma anche, come per i cereali, per misura di terreno
in quanto 16esima della salma”. Salma corrisponde al siciliano sarma col significato di
“Misura per la estensione di terreni e altrettanto di capacità, sempre in
Sicilia, per frumento, vino e carbone”. Ovviamente, per vino e olio le misure
corrispondevano alla quantità di litri, anch’essa disciplinata da denominazioni
convenzionali come la “quartara” (misura di otto litri), decalitro (dieci
litri) cafisu (quindici/sedici litri). Curioso il sentir affermare da un
siciliano che ha, per esempio, ereditato due salme e due tumuli di terreno dal
padre, riflettendo sull’effetto deviante della italianizzazione di sarma. Chiunque che non
conosca il vocabolario siciliano giudicherebbe la confidenza spontanea come una
incauta esibizione di necrofilia dal momento che non c’è altro sinonimo per
salma oltre quelli di cadavere e spoglia. Lo spunto all’equivoco proviene dal
linguaggio giuridico proprio dei notai. Questi al momento di dover tradurre la
volontà di chi trasferiva la proprietà di propri tùmmina (il plurale preferisce
desinenza neutra) di terreno per vendita o donazione e altrettanto per le sarme (sedici tummina ciascuna sarma) non trovarono di meglio che
italianizzare tumminu in tumulo e sarma in salma, facendo
consolidare l’uso della parola e la convinzione di altrettanta tendenza alla
necronomia e alla necrofilia del pensiero costante dei siciliani. Ricetta
invero per salottieri e barzellettieri. Concludiamo questa dissertazione con il
ricordare una piccola curiosità ben nota nell’ambito etneo, e legata proprio
alle suddette misure per le rispettive occasioni agrarie per la consuetudine
locale la differenza abbastanza notevole tra la misura (piccola) detta
“catanese” del tùmminu e della sarma nella loro accezione agraria di riferimento a terreni, rispetto
a quella “grande” propria della ex Contea di Mascali della maggiore
estensione. Citiamo questo fatto per chiarire un detto, tuttavia frequente
nelle conversazioni tra le persone più anziane. Si tratta di una frase dal
significato ironico o scherzoso comunque con riferimento a misure. Si risponde
a chi abbia proposto una oscillazione di minuti più o meno rispetto all’ora
concordata per un appuntamento se l’impegno sia da valutare con la misura di
Mascali o con quella catanese. “Non ritarderò per più di cinque minuti”,
promette la parte, al che l’interlocutore, sorridendo chiede se si tratta di
cinque minuti da considerare con la misura grande o quella piccola. Tutta una
fraseologia che diventa rompicapo per chi non ne conosce la pregressa pratica
fondata su un linguaggio e relativa storia.
Appendice al discorso
sulle misure può essere la scala di esse, che come spiegano i dizionari ha come
misura madre la sarma (compendio di ben sedici tummina, quella agricola) e che
si intende suddivisa in tùmmina, appunto, come sedicesima parte della sarma, e munnìa o munnedda, come quarta parte del tùmminu. L’azzardo a indicare una fondata ipotesi circa
l’etimologia latina di tùmminu resterà tale, cioè col rischio di dirla a bufala o alzata
d’ingegno, noi proporremmo di basare sulla radice latina tantum nella accezione di, tanto, una tale
quantità (e non nell’altro significato avverbiale di talmente o a tal
punto), ipotesi che concilia l’altra del potere accettare munneddu o munzeddu = mucchio, monticello come
filiazione della voce latina mons/montis non solo o non tanto
pensando al Sallustio di “Maria montesque pollicere coepit” (de coniuratione
Catilinae), allusivo del promettere quantità di cose (mari e monti), quanto di
più al Virgilio dell’Eneide (6.360) aspera montis (spuntoni di roccia) o
all’ancor più contenuto volume cui allude lo Stazio di Thebais (1-145) che
adopera mons per
dire macigno. E come ciliegina a spiccare sulla improvvisata torta servita
calda il Munneddu siciliano
per nominare in dialetto la famosa periferia balneare palermitana di Mondello. Esercizi
dilettanteschi se poi non si è in condizione di precisare l’origine di sarma,
che probabilmente è da intercettare in una voce greca. Ma noi ci fermiamo qui
più da autoironici che da dubbiosi o, addirittura, da presuntuosi e maldestri
proponenti. (*)
(*)
Anticipazione del paragrafo di chiusura della prima parte di "NUZZA 'MBRIACA" di prossima
pubblicazione.
&
M. Grasso: Nuzza mbriaca – Orgoglio, ingegno, operosità
del passato prossimo e remoto in Sicilia, Prima edizione
con saggio introduttivo di Alessandro Centonze. pagg. 130 € 12,oo –
Edizioni Prova d’Autore - CT. Maggio 2017