Lebenswelt di V.S. Gaudio con Jean d’Ormesson, Guide
des égarés
L’avevo visto da
tempo, e non avevo dubbi, ma non poteva che gettare un po’ di luce sul mistero
di cui ero prigioniero lei, la zingara, proprio tagliata così come quella del
secolo scorso quand’ero già diciottenne, questa volta lei non è a piedi che m’incrocia
sui binari del passaggio a livello vicino alla stazione ferroviaria del paese
saraceno nel cui registro anagrafico è stato costituito il mio atto di nascita,
ma passa a bordo di un’auto sulla ex famosa statale che costeggia la ferrovia,
oltre il delta del saraceno, tutto passa, niente dura, e io sono dentro il
segreto, l’enigma, l’universo è un mistero e la vita del poeta è un mistero.
Ogni enigma ha la sua soluzione, scrisse Jean d’Ormesson, e: ogni segreto
presuppone una verità non rivelata e nascosta. Penso alla mistificazione della
procedura del decreto per il cambiamento del mio cognome fatta dalla Prefettura
di Cosenza: a me, smarriti l’universo, il tempo, la storia, il senso della mia
vita appaiono come un segreto, per questa complicata genealogia una volta il
detentore e il garante era Dio, adesso basta la prefettura di una provincia,
che si voleva cancellare con un referendum che cancellasse dalla Costituzione
la parola “province”. Ma per una verità dissimulata basta la semplificazione di
cui al D.P.R. 54 del 13 marzo 2012 entrato in vigore a luglio.
La zingara si ferma
e la riconosco: è proprio lei com’era nel secolo scorso, stessa linea, stessa
andatura, stesse mani, nella sua genealogia non ci sono misteri, lei è proprio
la nipote di quell’altra che volle leggermi la mano sui binari del passaggio a
livello quando avevo già diciotto anni. Tutto passa.
E lei: “Poeta, voglio
leggerti la mano…”
“Per gettare un po’
di luce sul mistero di cui sono prigioniero?”
“La vita è piena di
sorprese, è così crudele e spesso è insopportabile, ma è disseminata di
piaceri; e il piacere è compagno del desiderio…”
“Ma sei proprio tu
com’eri allora? E intanto hai fatto in tempo a leggerti Jean d’Ormesson, e ti
sei ricordata che mi ero smarrito, nello spazio, nel tempo, nella luce, nell’inversione
del mio cognome, soprattutto nella nostra epoca, nella provincia, in questo
maledetto pantano?”
“La felicità è
calma, e dura più del piacere. Figurati il gaudio!”
“Cazzo, chi ti ha
mandato, la gioia: la gioia dev’essere come te: una grazia venuta da altrove.
Esplode. Mi porterai via o mi trasporterai al di sopra di me stesso, come l’altra
volta?”
“La gioia è una
tempesta che viene giù dal cielo. Dai fammi vedere la mano…lo so c’è un segno,
un segno nuovo…”
“Sai che sapevo che
prima o poi saresti venuta per questo. Guarda allora.”
“Questo è il
teorema di Pitagora: il triangolo, sulla linea della testa, su Giove, e la
linea del cuore sopra, e sull’ipotenusa il quadrato, che è uguale alla somma
dei quadrati degli altri due lati del triangolo…”
“Perciò che cosa
dobbiamo credere? Dio calcola e il mondo si fa? O perlomeno non c’è niente. Che
le vacche è inutile contarle? Qui, nel mondo in cui vivo, ci sono delle vacche,
delle troie, è la terra di Sibari questa, Sibari è la grande troia, lo sai no?
Qui, ci sono degli individui, delle idee, dei sentimenti, c’è un sole, noi
abbiamo due occhi, l’anno conta quattro stagioni, 12 mesi, una prefettura, una
provincia, tra Sibari e il parco del Pollino
solo una procura della Repubblica, tre bisacce, 26 il conto corrente dell’imbroglio
dell’utero e i suoi chilometri quadrati, questo sarebbe il mondo che non è
altro che incontri e combinazioni , d’accordo Jean d’Ormesson se lo può
permettere di dirlo vista l’età ma tu gli tieni il filo, cosa bevi di solito e
cominci al mattino all’alba? Sbuchi fuori dal nulla, da un nulla, quello dice:
la terra è minuscola, e gli uomini sono potenti, abbiamo cinque dita per ogni
mano, e tu: per ogni mano un monte di Giove, e solo io ho il teorema di
Pitagora?”
“Se è per questo,
hai anche l’anello di Salomone a ridosso del quadrato sull’ipotenusa…e il
quadrato sul monte del Sole l’hai dimenticato, poeta saraceno? Comunque, è
questo. Chi ti lesse la mano prima di me disse che nessuno aveva la tua
intelligenza, eri così unico, e non eri un essere solo e non eri l’insieme, mi
disse: lui sarà indicibile, ineffabile, innominato, inconoscibile,
indistinguibile dal nulla. Che cazzo avrei dovuto predirgli? Gli ho
semplicemente detto che avrebbe sposato Marisa Aino, l’amore e la letteratura,
la poesia e l’estetica, la profondità e la leggerezza, e non aveva una madre,
stando ai numeri poteva averne due e che un porco si sarebbe occupato della sua
origine, e anche un brigante e tutti gli scalzacani del mondo, il nome stesso:
come ti chiamerò? Come chiamarti con un altro nome? E gli dissi infine: come
dovrà chiamarti in futuro chi verrà a indicarti i nuovi segni nella mano?”
La traduzione italiana della Guide des égarés di Jean d'Ormesson [© Gallimard-H. d'Ormesson, Paris 2016]: Guida degli smarriti Neri Pozza, Vicenza 2017. |
“Io non so il tuo
nome. Non so il suo nome. Diciott’anni aveva anche Aurélia Steiner. Che più o
meno hai tu. Ti chiami così? Te lo scrivo su un pezzo di carta? Vediamo se
riesci a leggerlo, visto che ti sei letta tutta la Guide des égarés di Jean d’Ormesson per venirmi ad annotare il
nuovo segno nella mia mano, ci riesci, sì?
Legge il nome:
Aurélia Steiner.
Lo ripete. E guarda
il poeta. Ateo, matto, disperato che pensa di sicuro che la storia non abbia più
senso di quanto ne hanno il male, la vita, l’universo, l’industria culturale e
il palazzinaro che se l’è comprata. Incredula: somatizza la fisica e la biologia che danno rilevanza al caso. Poi butta via la carta.
“Vuoi fare un giro?”
“Quanto tempo
abbiamo?”
“Il tempo è quello
del futuro nascosto, da qualche parte, si trasforma il prima possibile in un
passato che sta nel nostro cervello: sei quello dei diciott’anni e io sono
quella che hai incontrato sui binari, questa precipitazione immobile transita
il più brevemente possibile in questo presente che sta tra il mio animus e la
tua anima”.
Le dico: dovrò
darti quel nome ammašcato, per come avvenne a Praga, ed eri Furgiulia Cuticchjuna, e dovrò entrare nella lentezza di quella lingua, oppure a proposito
dei numeri e del quadrato sull’ipotenusa, in quale luogo abiterai per
ricordarti, e : lo sai che l’ipotenusa del tuo podice, con questi shorts che
porti come solo le giapponesi sanno fare, tira su un quadrato che è uguale alla
somma dei quadrati costruiti sugli altri due lati, quelli dei fianchi?
Mia madre si
chiamava Aurélia Steiner. Come me. Come mia nonna.
Non abito da
nessuna parte. Sono quella che tu
insegui nell’inseguimento di Jean Baudrillard.
Forse la faccenda
dell’ipotenusa del podice giapponese non sta proprio in quel segno ma nel triangolo
che connette il tuo anello di Venere alla linea del cuore, ti ricordi cosa
diceva Jean Cocteau a proposito della linea del cuore di Marlène Dietrich?
La guardo mentre
ancora mi controlla la mano, vorrei gridarle o sussurrarle: ripetimi il tuo
nome, dimmelo: Je suis Aurélia Steiner, come lo dici tu che sei sempre in una
camera laterale, anche adesso che sei venuta dentro questa nuova Cinquecento
color latte, e di là oltre la ferrovia e il bosco c’è il mare, Steiner: è così che ti penso,
seduta qui in questo abitacolo di macchina, come tua madre, come quella che fu
tua nonna, ed eravate qui, tra il mare e la strada statale, l’ultima volta ti
ho tirato giù i jeans e ti sei messa a ridere, e io toccavo il tuo corpo, la
pelle del tuo podice, e : ascolta, che cosa potrà succedere?
E tu: toccami, i
gomiti, mi piace l’immobilità della foresta, ancora sei minuti, guarda laggiù,
vedi? Sopra gli alberi, è più grande, più bello dell’acqua e di quest’aria, la
luce del cielo, che è così semplice, è una curiosa meccanica, unita al tempo da
strettissimi legami.
V.S. Gaudio Aurélia Steiner I libri di Uh Magazine UH-BOOK 2018 edizione speciale numerata e firmata 15x15; pagg.80 |
La voce, la sua, si è diffusa a poco a poco, ma la luce
per arrivare dalla luna le basta un secondo, se aspettiamo che venga tra
quattro, cinque giorni il Plenilunio, dal sole ci mette otto minuti, insomma è
il passato. Soprattutto adesso che sei tutto dentro il presente, tutto questo
mondo reale che ho guardato con passione, le cose di ogni giorno, la luce che
si rifrange sul tuo podice, le dico, è un incanto, per tutti noi; e lei: a
ridere di nuovo così forte; e, per molti, è un dono di Dio e il segno della sua
presenza o quello della sua assenza : e quando aggiungo: forse la luce, con i calzoncini calati, non è altro che la prima e la più semplice delle nostre fortune,
sarà nel segno del teorema di Pitagora che ho sul monte di Giove, Aurélia non
ne può più dal ridere tanto che le viene il singhiozzo che, per quanto mi
riguarda, mi rammenta l’intensità del singhiozzo di mia zia Lucrezia, la
sorella di mia nonna Aurélia. La luce, è vero, è paragonabile al pensiero o
meglio allo spirito:
e dico ad Aurélia: l’esprit, mon esprit, la parte araba
sai dov’è che passa in cielo?
Tra lo stupore, il miracolo e l’emozione, tra la
sovrana dignità della grandezza e della bellezza, lei mi guarda: a 13° del
Leone?
Non è così che
possiamo sterminare il male, il mondo, la guerra, il cielo nero, mi piace come
mi tocchi la pelle del culo, il male è legato pur’esso al pensiero, c’è tutto
questo silenzio e il mondo è un grande
fiume muto, cazzo, Vuesse, dov’è la fessura che introduce nel mondo l’inquietudine
e lo spavento?
La storia e la lunga serie di fallimenti e catastrofi,
miserabili smarriti, lontano tanto dall’infinitamente piccolo quanto dall’infinitamente
grande, tu credi che il Numero deus impare gaudet sia qualcosa come il numero
due gode di essere dispari?
Come potrai capire la teoria quantica allora con
quel tuo quadrato sul monte di Giove?
E la vuoi la verità?
Che si tiene all’entrata del corpo di Aurélia Steiner,
rimane là, sempre nella cura estrema di menarglielo il supplizio fino alla sua
fine.
O Dio! Gaudio, estasi, ebbrezza, squisita bellezza del corpo!
Vieni allora, il cielo non vale l‘amore, e fu così che dans un mouvement
très lent, inverse de celui de son emportement, le poète entre dans le corps d’Aurélia
Steiner.
L’aria, disse il poeta ad Aurélia che, non ci aveva pensato prima, ma per via delle targhe con cui venivano nel delta nel secolo scorso targate SR, poteva essere sì di Avola, come quel nome della via-meridiano del paese in cui fu costituito il suo nome effimero, l’aria è uno degli aspetti più sottili della materia, non la si vede, non possiamo toccarla, ma la respiro quando ti tocco. Adesso che sto vivendo senza libri, senza sogni, senza idee, senza amore, senza piaceri singolari, e ti sei fermata in questo spazio in cui non mi fanno più respirare, la successione del tempo avviene per le tue subitanee apparizioni?
L’aria e il momento qui adesso che ti parlo e ti tocco o
non ti tocco per niente, sei già lontana da me, sei la zingara folgorante, più
esplosiva della luce e del tempo. Anche se io aggiungo pin, come mi scrive
sempre Pinterest, alla velocità della luce, e vuoi vedere che, prima o poi,
ispirandosi alla mia bacheca “patagonistica” o “somatologia dello shummulo”,
finalmente mi invierà il pin in cui tu sei immobilizzata, tra i segreti dell’aria
e dell’acqua, la sapienza della luce, il demoniaco dei meccanismi del tempo, la
vertigine del pensiero, nel labirinto della verità, la cosa più semplice di
questo mondo?
Il dit :
Steiner. E ripeté ancora Steiner. Aurélia. AS.
E lei disse: Je m’appelle
Aurélia Steiner.
E tu sei un altro nome del (-phi) di Lacan? 18 x18, o
qualcosa di simile, se non quasi 324
che è il grado di Marte, come se fosse appunto un altro (-phi), quello di M.A.? Oppure: [-G
]?
Ovvero: tra la materia e le cose, lo spazio e il tempo, tra l’aria e la
luce, anche al buio, di volta in volta, ora su un cateto, al prossimo ciclo di
Metone sull’altro, 324 volte lo stesso piacere singolare e sull’ipotenusa 18
x18 tanti piaceri singolari come se Dum Gaudium
calculat fit Aurélia. Il gaudio calcola e l’Aurélia si fa. Una collezione
nello spazio e una successione nel tempo, tutto nei numeri del tuo teorema di
Pitagora, è questa la formula matematica del tuo [- G].
V.S. Gaudio, Isabella Rossellini, “Zeta” n. 79-80, Udine giugno 2007. |
Dai, Vuesse,
miserevole e povero smarrito, basta a contare vacche o galline. Come pare che
stia facendo, con stupore e meraviglia da un po’ di tempo, anche Isabella
Rossellini, quella che fu, per te caro smarrito generico, addirittura l’immagine-zen e il trofeo di Thorstein Veblen! D’altronde il pensiero è un mistero più
profondo del tempo e terrificante quanto l’esplosione primordiale; come il
mondo stesso il pensiero, il tuo, è un’incarnazione, l’incarnazione di quell’immagine-zen, che adesso conta le
galline però doppia un personaggio in un film della Pixar-Disney e il suo sogno
si è avverato?