Lucio Zinna
Acetilene,
lustrura
e amoreumore
■ ODORE DI ACETILENE
sulla bancarella del lungomare a rischiarare
salati
semi di zucca casalinghi bonbons grani di
càlia
ottobre-novembre struggenti dopo il tramonto
(si sa)
le onde in basso − oltre l’inferriata −
percettibili
appena quasi musica tenue alle spalle
dell’uomo
dal volto di bestemmia taciuta. Venti lire non
erano
molte (poche neanche a quell’epoca) per
considerare
nostra semenza.
Si sgranocchiavano serate blu
e nostalgie campestri un seme appresso
all’altro
in solitudo paesana la mente a vagare su
trascurati
compiti di scuola su aggrovigliate vicende di
Montepin
(«Il
medico delle pazze») extra vaganti evasive o su una
fanciulla sempre intravista avvicinabile mai
un nome
(Ambretta − mi pare) pronunciato da una
compagna uno
sguardo due sguardi tre sguardi nella
rigorosa piuttosto
eguaglianza dei giorni e il tutto smarrito
nella chiara
sensazione di una vita in fondo da vivere
ancora
trascinando (comunque) una pena segreta speriamo
di no.
(da
“Abbandonare Troia”, Forum, Forlì,1986)
Nota:
Sono chiamati “càlia”, in siciliano, i ceci abbrustoliti e “simenza” i semi di
zucca tostati e salati: ambedue sono spesso abbinati e sgranocchiati, anche
deambulando, come passatempo.
■ LAGUNA VENETA
Mai
altro luogo in cui s’azzeri come su questa
fluida
putrescenza ogni contrasto e integra
ne
permanga l’essenza gioioso struggimento
amara
festa oh vita che negandosi s’afferma
ricamata
solitudine gaia malinconia (un fremito
d’archi
trascorre su quest’erba a pelo d’acqua)
tremuli
pinnacoli morte di broccato.
(da “Abbandonare Troia”, Forum,
Forlì,1986)
■ AMOREUMORE
Stilla il mio amore da
minute gocce
trasuda sulle rocce
nelle foglie
traluce all'alba
settembrina.
Della tua terra
m'alimento - radice
sono — e traggo (per la
mia pianta)
amore. Umor panico
umore mio solare
aereo umore amor acqueo
mio corpo
mia speranza (e sangue
e flemma
e bile). Ridi con me
umoramore
vanne umoramaro. Con me
pecca
t’inquina in me t’illimpidisci
semina i veli — umore
mio tabù -
e canta (vedi — brucio
d’umore).
Canta e disperdi il
canto
alle maremme canta fra
rovi
di giummare canta la
tua umorosa
canzone — amore nudo —
spicca
l'ali nel vento «Amore-umore
che
m'hai fatto fare...».
(da “Bonsai”, ILA-Palma, Palermo-São
Paulo, 1989)
■ TRE MOMENTI SUL TEMA
“ASSAPORARE”
Ti giunge improvvisa una brezza
mattutina
che sorvola le sonnolente
finestre ti residua un misto di salsedine
ed erbe selvatiche i gas di scarico –
appena un sospetto – avranno avvento
nella giornata metropolitana
assapora il filo che transita carico
di frettolose fragranze accoglilo
con (inquieta) gratitudine.
Compendia sapore d’infanzia
la rianata
effluvi di domestica
consuetudine esaltati di forno
mollemente invadevano angoli
di cortile pittavano nei volti
(care scomparse immagini)
il fugace sollievo – la tregua –
alla rassegnata fatica di vivere.
Ambra la tua pelle sapida
di mare (miraculum
nel nostro
fragmentato iter lunare) e quanto
verde di onde e di lecci e quanta
dolcezza di sorrisi (non sprecarli
i sorrisi destinali a sicure consonanze
fanne dono non stereotipo)
a degustare per quanto possibile
questo cosiddetto nostro tempo
visto e considerato che passa tutto
(anche il futuro).
(da “Poesie a
mezz’aria”, LietoColle, Como, 2009)
■ LUSTRURA
La pioggia
fitta
persistente
appena cessata
ci lascia questa
chiarìa
che rende traslucidi
corpi e cose alberi e
case
nel viale inzuppato di resina
e l’asfalto riflette percettibili sfrigolii
di ruote veloci
intanto che come ombre
noi due procediamo
sul marciapiedi che
affianca la villa
mano nella mano silenti
verso e oltre
l’arco
di nessun trionfo
mentre nella piazza che
pare spoglia
il caffé dal grande chiosco
ottagonale a vetri
si offre per uno per due
per tre quarti d’ora
di addormire il destino
intepidire
l’intrepidezza dell’ignoto
la soffusa irrealtà del giorno
paghi di essere comunque qui
comunque insieme
fatti certi dalla stessa incertezza
nella lustrura post-pluviale
di un imbronciato
mattino qualsiasi.
(da “Poesie a
mezz’aria”, LietoColle, Como, 2009)