ROSA PIERNO
NÉ CARNE NÉ PESCE
L’unito
si annienta da sé. L’avvicendamento delle opposizioni mantiene teso un filo su
cui scorrono ricordi, memorie, brani e brandelli, in cui l’io resta presente a
se stesso in modo continuo. Solo nell’unità infinita è collocato il corpo e
l’inseguo senza sosta e mai demordo e mai concedo fiato.
Quel
punto di conciliazione dell’unito in quanto opposto, dell’opposto solo perché
prima era unito, viene saldato al punto originario per creare un nastro
percorribile ad oltranza, senza né capo né coda.
La
coppia, se unita è stata, ora non è più che l’opposto. Invariabilmente l’opporre
e il conciliare rendono silenti gli attori nel medesimo lasso di tempo. Ponendo
unitezza e opposizione in congiunzione
se ne ottiene che solo io sono infinitamente
io. E tu finito sei.
L’io può
conoscersi come opponente o come relazionante, ma all’interno di una relazione
non può conoscersi. Né può essere colto come conosciuto dal conoscente o viceversa,
madama bella, né colto come conosciuto e conoscente dalla conoscenza. L’io non
è mai puro, è solo transeunte.
L’io
armonicamente opposto concilia l’armonicamente diverso, ma resta in
contraddizione con se stesso e, quando determinato da un terzo elemento, appare
unito, ma a un altro ancora, non all’unico e solo.
Se ci si
pone in opposizione con una sfera esterna, sulla cui superficie l’ombra
gradatamente sfumi, si può divenire l’altro con sfera. L’io resta non
riconoscibile fintanto che rimane disgiunto, anche se appartiene alla più
canonica e meno astratta morta natura, coi bicchieri, le lepri, le razze e i
coltelli.
C’è una
differenza importante rispetto al modo di agire dell’io nella condizione
precedente, quando si vuole unito a prescindere dalla consapevolezza della
separazione. Ed è assimilabile non a paradosso, quanto a incerto stato, da cui immantinente
precipita al suolo e rimbalza.
Nella
condizione della solitudine, la natura armonicamente opposta non poteva farsi
unità riconoscibile, perché l’io non poteva riconoscersi né come unità attiva,
senza negare la realtà della distinzione con l’amato, né come unità passiva,
senza negare la realtà dell’unità pur sperimentata. Né carne, né pesce e senza
divenire.