● Il giubilo trionfale delle oche



 by v.s.gaudio

dal testosterone le possibilità dell’essere abituano la presenza
a un amore profondo,
da tale sofferenza egli raddoppia la simpatia che sorprende
la meraviglia della scena che cambia
poiché la dissociazione fra il vincolo dell’amore e la pulsione
copulativa appare presso i maschi delle oche con più facilità e più spesso
che non presso le femmine

(…)


dal di dentro
la conoscenza dell’erezione diminuisce la distanza del possibile,
dalla solitudine dell’individuo il vuoto temporale che lo fissa al silenzio
gli rende simultanei il vincolo dell’amore e la pulsione copulativa
allora aspetta mezzogiorno quando le oche sono in genere meglio disposte
a copulare,
egli dunque arriva velocemente a nuoto e subito dopo averla montata
se ne vola immediatamente via per tornare, attraverso lo stagno, dal suo amico
col quale poi esegue il postludio, cosa che sembra particolarmente
scortese nei riguardi della signora

Vi è dunque per caratterizzare un individuo una gerarchia di abitudini,
contingenza di una somma di accidenti anche se ogni direzione privilegiata
è un privilegio di propagazione
che finisce con l’accettare il possibile come una tentazione
che il reale allunga nell’intervallo di probabilità che separa
due istanti


              sul fondo stesso del Tempo si iscrive l’Amore
dal di fuori perdendo il mistero l’amore perde l’avvenire
e riconosce nel ricordo le variazioni del rimpianto,
la sofferenza meraviglia per la stessa sorpresa che solleva
il tono muscolare per cui ne risulta un portamento gagliardamente
teso che altera tutti i contorni dell’uccello,
ogni movimento viene compiuto con un eccessivo dispiego di forze
il levarsi in volo, che significa di solito una “risoluzione” ardua,
riesce all'innamorato tanto facile quasi fosse un colibrì,
percorre a volo anche tratti brevi che ogni oca ragionevole
farebbe a piedi e piomba rumorosamente e con giubilo trionfale
presso l’ adorata

(…)
a poco a poco qualcosa nasce in lei, come quando si cammina in riva al mare,
la sensazione di non potersi opporre a quell'infuriare di onde che strappa via ogni azione e ogni pensiero non lasciando altro che il momento presente, e poi un'incertezza, una lenta impressione di oltrepassare i propri limiti, di smarrire la propria identità, di perdersi
un desiderio di gridare
un bisogno di fare gesti smodati
e incredibili, una volontà che cresce in lei senza radici, di far
qualcosa, senza fine, solo per sentire se stessa, 
un'oca selvatica deve ugualmente giubilare di trionfo e se le vien tolta la possibilità di soddisfare questo bisogno diventa una caricatura patologica di se stessa, non può neppure sfogare la pulsione ingorgata su un oggetto
sostitutivo, come fa il topo che rode oggetti qualsiasi e lo scoiattolo che nella stretta gabbia fa le sue stereotipate capriole per liberarsi della pulsione motoria,
un'oca selvatica che non possiede un compagno con cui poter giubilare
gironzola o se ne sta seduta triste e depressa,
e v'è una forza travolgente e devastatrice in quel senso di perdizione,
in cui ogni attimo è come una solitudine selvaggia, irresponsabile,
tagliata fuori da ogni cosa, che fissa il mondo con smemorato stupore,
sulla seggiola accanto al letto le sue vesti buttate, la coscienza del tempo coscienza dell'uso degli istanti attiva l'idea che tutto ciò forse non è che una ricaduta nel passato, anche se la coerenza della durata riaffonda nei dolci meandri di una corrente che la tiene prigioniera motivo ambivalente tra oggetto d'amore e oggetto d'aggressione
ovulo stesso che congiunge il centro erettore alla discontinuità che
costituisce la frequenza del personaggio


Wife-carrying  vs Vincolo dell'amore?


[da: V.S.Gaudio, la figura e il personaggio, attorno all’intuizione del tempo discontinuo di cui a L’intuizione dell’istante [© 1927] di Gaston Bachelard connessa con il meccanismo dell’erezione che disabitua la possibilità dell’essere alle costanti de Il vincolo, capitolo XI de Il cosiddetto male di Konrad Lorenz(…) Lebenswelt (…)da inviare a Giuliano Gramigna(…), in : Idem , Lebenswelt, L’arzanà, Torino 1981: passim pagg.10-11-12-13-15-16]

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