A UN PERSONAGGIO IMMAGINARIO
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My Soul,
Potrei ben chiamarLa Anima Mia, poiché ritengo di averLa
trovata all’interno di una pagina bianca di un libro sperduto tra le pieghe
costrette dal tempo in fondo ad un cassetto di una commode ormai avvizzita come
foglia caduta sul dilagante tappeto d’autunno.
Ci eravamo incontrati in
una mattinata di sole lussureggiante, tra gli squarci di una poesia che
volteggiava con le sue carte nel vento del tempo. Io L’ho intravista nel
fragoroso lucore, L’ho chiamata. Ho atteso un attimo prima che si voltasse. Eh,
no, Lei non credeva di ritrovarsi al cospetto di una persona tanto piccina. Troppo
piccina perché Lei si avvedesse di me.
Io L’avevo seguita e poi
inseguita. Il Suo bastone istoriato Le era compagno fedele e Lei lo stringeva
con l’amorevole abbraccio di un innamorato. Cadenzato il passo, mi piaceva
altresì osservarLa tra la folla. My Sir
- La chiamavo - sollevando il braccio guantato tra le teste che, impavide e
altere, procedevano sulla mia linea.
My Sirrr! - Mi facevano eco ragazzini scalzi in corsa verso una
destinazione indefinita.
Mi fermai, infine, nell’inconsolabile
fruscio della mia voce. La mano a socchiudere il ricamo di un sussurro.
Sir, attratto da uno
specchio appeso al tendone arancio e azzurro di una baracca, anche Lei si
ferma. Rimira l’oggetto tra le mani. La cornice istoriata di pregiato legno
diventa armonia tra le Sue mani. Solleva il braccio per permettere al suo valletto
di pagare.
Arretro qualche metro più
in là. La guardo e osservo i suoi lineamenti. Di gentile tratto il suo viso, Sir.
In quell’istante Suoi
versi irrompono con grave impeto nella mente:
volteggia la brama di identità
nel
solco del deserto oscuro
e trama
indegno afflato
per
sfuggire la rotta
e cadenzarne
una novella
Il cuore, ramazzato da un
folle trotto, inizia la sua corsa e galoppa a perdifiato. Ritempro nel mio
affanno la tempesta che nella composizione Lei avvertiva come gemito profondo
che avrebbe certamente istoriato di parole efficaci su pergamena.
I versi si interrompono
nella mente. Subiscono lo scacco al re. Bruschi vagano a cercar nuova
collocazione:
rotta identità
per
sfuggire
una novella brama
volteggia
indegno afflato del deserto
a cadenzarne una trama nel solco
Il vento mi assale agli
occhi; il petto si lascia sconfiggere da un sussulto. Il ventre avverte lo
sconquasso e l’intero mio corpo tremebondo arretra.
Il verso riprende il suo
compasso.
Ripeto come litania per
dar la calma al mio tremare: taci, taci! Smetti
di battere, cuore mio e mio nemico.
Lei, Sir, si volta. Si
volta ancora e ondeggia nel passo. La sua gamba. Oh, la sua gamba afferma quel
tremore che incalza come danza. Io, sorretta da uno spasmo di orgoglioso
affronto, mi accosto a Lei.
So Kind Man, come potrei io riparare al Suo cospetto con
enfasi cadenzata e non rinverdire le tensioni della Sua poesia?
Attendo nel Suo sguardo
sprofondato nel mio che l’assenza di parole scavalchi il muto vociare e intinga
nel calamaio ancora una volta la piuma per esplodere con la Sua intraprendenza
a dar forma ai Suoi pensieri costernati dal passaggio della civiltà. Rigoglioso
uomo all’ombra di se stesso, intento a mietere sentori di conoscenza.
Assalto alla coscienza
che incede cauta a incontrar l’oscuro spasmo dell’inquietudine.
Mi lascio avvolgere dalla
Sua luce, Kind Man. Incarno in un attimo la natura delle sue naturali coste e
mi rinfranco nello spirito danzante di un raggio di sole. Ne divengo parte
integrante.
Maestro, vengo a Lei incontro
nell’attimo del socchiuso sguardo che mi riporta in un tempo balzato al
presente. Forse la mia mente vacilla nel sogno, allevata nel fragore di
fantastiche intromissioni in un tempo cadenzato dalle sue trame. Accolgo il
deserto del muto viandare e divengo granello di sabbia nella solitudine che
tutto infervora e trasla di nuova compostezza l’ordine che Lei ha dato alle
cose perché esse avessero accesso alla Sua verità.
Maestro, forgio nella mia
riflessione le abitudini della Sua creazione.
Quale elevazione ha,
dunque, la poesia per permetterLe di vagare con siffatta destrezza e render immagine
anche la voce tonante che sorprende in un attimo la mia esistenza?
Vorrei esser quello
specchio in cui Lei rimira forse il Suo occhio, che ingentilisce anche il
trascorrer del tempo.
Lei é il Tempo gravido di
consapevolezze. Ed io, sfuggente alla folla, assimilo quello sguardo che nulla infrange
delle mie povere coltri di passeggero di un vascello nel mare appiattito dalle
casualità per divenire onda e voce, muto silenzio e muto spazio che assimila
altrui spazi.
Esplosione di rigoglio e
urlo di libertà. Nei Suoi tempi collimanti con lo strazio del cambiamento,
quale tensione avverto che non possa rischiarare l’orizzonte? Accolgo il Suo
sguardo assente come eternità poetica. Mi slancio e l’afferro in un fervore
inaudito. Scambio infine le mie carte spente con cromatiche luci che riflettono
nell’orizzonte nascosto le sonorità della Sua poesia. Del Suo Essere Poeta.
Del Suo essere Poesia.
Un Signore di un tempo lontano
alita nell’ora il suo sguardo e lo traduce in versi che per sempre resteranno
adagiati nell’antro delle mie braccia che il nulla abbracciano. Sarà il nulla
per l’altrui sguardo e rigoglio di un’eterna primavera.
Il primo tempo della vita
di chi per una volta e una sola volta per tante volte ancora incontrò per caso
le pieghe di un Lord di una Poesia nel richiamo di Libertà.
Tra la folla La ricordo, My
Sir.
Nel frastuono di un
mercato sfiancato dalla folla vedo un tuo ritratto, George. Il tuo sguardo
altrove nella lotta.
Tra la folla afferro il tuo ricordo,
George. Il ticchettio di un bastone con pomolo d’avorio mi rammenta di quel
momento cancellato dalle rotte del tempo di tanto tempo fa. Nascosto nelle pieghe
di un sogno nella luce abbacinante del giorno che attendo per ritrovarTi. Un
giorno.