Lino Angiuli • Il bello del paese




Il bello del paese è
il suono di quattro passi contati ricontati uno alla volta
la circolazione a doppio senso delle anime purganti
un paio di concetti appesi col bucato ad asciugare
le marianne con il rossetto e un’angelina senza cipria
una cesta di uve e di tramonti raccolti come viene
una congrega di campanili che parlottano con le loro ombre
un geranio che si butta giù dalla loggia senza farsi nulla
il passaparola di un verde sbarazzino per certi versi lazzarone
quel santantonio annicchiato nella sua cuccia tufagna
un trotto di nubi bianche sulla schiena di federicosecondo
il battesimo in bianconero di confetti mandorlati
il verso di formiche che trasportano a spalla chiacchiere
e silenzi da un capo all’altro di piazza garibaldi
andare alla città per trovare il desiderio di tornare al paese
la morte seduta comoda sul comò della camera da letto
un cucchiaio di paesaggio dopo i pasti principali
conoscere finella dalla camminata giovanni dalla voce
una viacrucis che ripassa a memoria misteri & mestieri
il quaderno di facce scritte in dialetto per i giorni feriali
il bello del paese è tutto questo e altro ancora.

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Il bello del paese è
quella volta che il giroditalia ci passò vicino vicino
quell’altra volta che con rino ce ne andammo al mare
facemmo i ricci e ce li mangiammo pure
la figlia piccola di melina vestita a maddalena
un galluccio che fischieggia al centro del piatto
giannina che si pitta gli occhi tipo grandotèl
un saluto muto fatto a mano sventolato da lontano
imparare a potare le voci di dentro mentre si pota una rosa
sognare una giumenta come fosse una femmina
il nostro magazzino segreto di luce sul terrazzo
una controra di domande sulla fine del mondo
mettersi addosso la domenica come un costume nuovo
la primavera travestita da settimana santa
il ritratto stinto del nonno sotto le armi in altritalia
una pupa di pezza tra i libricini delle orazioni
quelli che ci mettono una vita di fatica per farsi una tomba
la moglie saporita di vito che parla zitto con le begonie
il sacrificio dello spaghetto sull’altare di sangiovanni
un pezzo di banda con la lagna di sciopèn
il bello del paese è tutto questo e altro ancora


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 Il bello del paese è
un ragionamento in piedi senza punti e virgole
un sigaro ottantenne che sfuma a poco a poco sulla panchina
pasquettare in un campo abitato da fave signorine
una grasta con una pianta grassa che fa la guardia al finestrino
una due campane giuste proprio al momento giusto
il giornalaio che dice ciao mentre ti dà il resto di soldi minuti
fischiare uno stozzo di gazzaladra sopra la bicicletta
una bestemmia espettorata a squarciagola senza ragione
un orciolo di rosso come una specie di sacramento
un levante filibustiere che zompa dalla quaresima alle ciliegie
dire cento volte senza scocciarsi mai lo stesso vocabolo
che non ha trovato casa dentro lo zingarelli
il desiderio liscio liscio del calciobalilla perché no?
l’orologio della piazzagrande che si muove e
non si muove mentre fa le stesse mosse del tempo
andarsene all’aceto per gli occhi squattrinati della badante rumena
il pensiero che cammina a testa alta sotto i pini del corso
un sentore di scotellaro sulla bancarella delle nocelline
rosa che fa rossa se sente parlare di quella cosa lì
il bello del paese è tutto questo e altro ancora.