Antonello Venditti • Giulia, un po' come Dirty col pondus alla Miele...






Giulia, vuoi vedere allora che va in bicicletta…


by Blue Amorosi

Giulia, così com’era, a metà strada tra Dirty e Xénie del Bleu du Ciel di Bataille, o forse con qualcosa di Eponine, che è nell’ Abbé C., insomma è un dolicotipo biondo più ecto che mesomorfo, una donzella dall’indice costituzionale sotto 50 e un indice del pondus uguale a quello di Miele di Manara.
Le gnocche che hanno un indice del pondus debole  a volte riescono ad essere delle meraviglie della natura come un albero d’estate che, stando a Woody Allen, è, di tutte le meraviglie della natura, la più notevole, eccezion fatta, forse, per un alce con le ghette che canta “Modena”, la cover di Venditti.
Giulia, disse il poeta, solo Dio può averla creata, poiché, come un albero, per quanto ancora non si possa dire se sia un pioppo o un nespolo, che sono entrambi nel paradigma del demone meridiano, con la sua presenza gloriosa è la testimonianza, muta e non cantata, di un’intelligenza più grande di qualsiasi altra che esista sulla terra, e in ogni caso maggiore di quella di qualsiasi Governo.
Eponine vs Mila vs Giulia
che, se fosse questa, non avrebbe un indice del pondus "debole"
Giulia, che, come Eponine, un po’ scettica e crudele, col suo spirito sadiano, sarebbe capace di lasciare in deposito tra due alberi che un boscaiolo sta per abbattere un dono che non è un cuore inciso sul tronco con due iniziali ma sull’erba la muta testimonianza che quando si è innamorati non si ha voglia di cantare e che, se vai a vedere, solo Barbie non la fa. Giulia è come l’aforisma del trovatore : “I piaceri dell’amore non durano che un attimo”, invece il dono di Giulia-Eponine ha la pesantezza morbida e vischiosa dell’eternità.
Intanto che il tempo passa, il visionatore o il poeta decide di lasciarla Giulia, o il suo fantasma, o quello che c’è di lei nel suo oggetto a, perché lei era già fuggita via con un batterista postmoderno che si era innamorato del suo pondus alla Miele passando tra quei due alberi non abbattuti, tra cui se  l’anima di Giulia fosse davvero esistita senza il suo corpo sono convinto che non avrebbe mai avuto bisogno di calarsi i jeans.
Che, poi, a pensarci bene, come si può dire con certezza che Giulia portasse i jeans, e non la minigonna, o una gonna stretta e aderente. Tutta quella faccenda di  chiusura, fissatura, flessione, quelle varianti che innalzano e fanno volare il principio fallico nel sistema della moda secondo Barthes, quando invece, accovacciandosi, sganciate le calze, Gesù, disse, udendo la separazione morbida insieme a grugniti, ringhi, guaiti carne azzannata e strappata da un corpo. Jesuve, risollevandosi aerodinamica alla luna ed io, all’unisono con lei, sentii la compattezza cubica delle sue spalle, in quell’attimo del fuoco acceso, Gesù, mi ero premuto a ragazze come  lei negli androni, le avevo piegato all’indietro contro le ringhiere, avevo tirato loro i capelli, alzato le sottane, abbassato i jeans, le avevo strofinato finché non s’erano sciolte nelle mutandine, Gesù era proprio lei la mia rivelazione, quello sguardo azzurro sorprendentemente giovane, così disse il poeta, io conoscevo il suo accento, era figlia del Nord industriale e del sud dei terroni, era uscita da strade come le mie strade, era nata dall’infima classe degli anonimi lavoratori, la mia propria esclusivissima classe ammašcâta,  Giulia, come la Clara di “Loon Lake” di E.L.Doctorow, era la ragazza del treno, beh, guardala, e puntai su lei lo sguardo e andai avanti già con la conferma nell’ansia che provavo e un sobbalzo angoscioso tra cuore e fallo, una ragazza coi capelli biondi che non va piano con il colpo e che non sopporta che le insegnino e che dice “ma che gioco è mai quello in cui non si può colpire con tutta la propria forza!”, non c’è niente in questo suo gesto che raccolga la lentezza, non c’è nessuna sospensione o una poetica fase dell’esplorazione o della disperazione, in cui il tempo torna verso la casa della servitù o verso il ripostiglio, dove là dietro ci si può anche accovacciare con o senza jeans o dopo aver giocato a tennis, in questa sottrazione Giulia passa più lontana dalla mia mente con quella sua allure che è quella dell’andarsene, un’apparenza pura, una piena costituzione artificiale con cui ci si lascia prendere dal desiderio dell’altro, con o senza i  jeans, e nemmeno le mutande, che, poi, a pensarci bene,se Miele non li ha mai messi perché mai Giulia avrebbe dovuto indossarli?
Xénie
Dirty?
E potrebbe mai il poeta prospettare la visione di Dirty o Xénie in jeans, o Eponine che se li abbassa, si accovaccia e grida alla luna “Gesù adoro questa morbida sottrazione che invischia la terra e l’humus del tempo”?
E Giulia, perché allora cantarcela così che è pur sempre dentro una flessione del tempo, una chiusura e una fissatura dello schema verbale sintagmatico del tempo e della storia, ma come non vederci la consistenza del suo essere come Eponine e un po’ troia come Dirty, Giulia non è la Julie di Balzac, e d’accordo allora vuoi vedere che va in bicicletta ed è quella che lascia tracce eterne del suo passaggio nel mio sentiero del bosco?


Scommettiamo che è Giulia
questa qua nella foto di Roy Stuart?
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