Lettera a
nadia campana
che
aveva quelle scarpe con quelle stringhe ed era già primavera a Milano
Dio! non chiedermi di registrare le tue meraviglie,io accetto le stelle e i soli e i mondi infiniti. Ma non ho misurato le loro distanze, né ho pesato i mondi infiniti e scoperto le loro sostanze, quando mai avrei potuto inventare ali per l’aria, pensavo solo alle tue scarpe, e chiglie per l’acqua, e cavalli di ferro per la terra, figurati, non avevo occhi che per le tue scarpe, né ho guardato poi tanto la tua foto in cui sei sulla spiaggia di Rimini d’inverno, né ho ascoltato quello che dicevi, non è vero che io sia un poeta che attraversa lo spazio con la parola, non ho parole, né aria, né fuoco, il bagliore ajnico delle tue scarpe è questo che ho e figurati se penso a costruire grandi città e a perforare montagne, o gettare ponti sopra acque maestose.
C’è questo mistero delle scarpe, per
esse ti cerco senza mai desistere, e ti ho inseguita, e ti ho trovato di nuovo
dopo averti persa quando non ti avevo più al meridiano, nelle ore di stanchezza
anche il mio oggetto a non ha orecchio, e sai chi ho incontrato
l’altro giorno, ma non è questo, non l’incontro, l’ho vista da dietro e l’ho
seguita, sì, era lei, con i suoi stivaletti scalcagnati e quel passo, quel
passo “ti piacerebbe creare un sole e provare
a stringere amicizia con Dio?”, tanto che ero molto vicino al segreto,
perché io potevo per davvero avanzare lentamente verso il segreto, non ho mai
visto né sentito un passo così, come se avessi bestemmiato le stelle, no, non
era questo, la polvere è per strisciare, e allora i tuoi stivaletti – questo le
dissi- quand’è che li pulisci, così il cielo, lo sai, no?, è per volare e
perciò anima, ti sono cresciute le ali e – le dissi ancora – se venisse sulla
terra e dovesse esprimere ciò che vede e pensa, è questo tuo passo che avrebbe
in via Micca andando incontro al sole che da lì si era levato ma che ora è il
tuo culo che illumina.
Wordle: lettera a nadia campana
Non c’è nessuna affinità semantica tra i tuoi scarponcini e i suoi stivaletti,
se non per il tacco, la tomaia, la suola,
le stringhe che i tuoi scarponcini avevano e i suoi stivaletti no, il
punzone a cui penso, che – è questo che mi ripeto – vuoi vedere che è per la
losanga di Lacan, come se fosse la lesina, ma il passo è una questione di
forma, o di pedale, e di orecchio, ciò che entra nel mio orecchio e poi oscilla
come il disco di un pendolo , in lontananza, lei era Sandra Alexis che un
guizzo di fiamma come una libellula mi abbaglia e se ne va, e sulla coda del
mio aquilone, le colline dormono, si può dire che sia sopravento se è nel cielo
di Torino che vola e sussulta e sventola come una bandiera? i tuoi scarponcini,
invece, in cerchi ampi per la polvere della città agitano l’erba in lunghe
onde, quante cazzate che ti dico, la foresta immobile oltre il frutteto, e un
vecchio siede sotto un albero, un pioppo, e dorme, e vicino ai piedi del
vecchio Diana fa il demone meridiano e la foresta scompare, la strada è piena
di polvere, la fontana, un secchio pieno di fichi d’India, e mia nonna dello
Zen, tutte cazzate, non è vero che io sia qui nel delta del Saraceno ad
aspettarti, io non aspetto nessuno, questo è il luogo dell’oblio, non è buono
per costruirci niente, la gente non è quella delle vittoriose fatiche, né ha
mai combattuto due battaglie per il popolo, certo le tue scarpe, se vuoi
proprio saperlo, è a quelle che penso sempre, con queste scarpe- questo mi
dico- cammina cammina camminerà sempre nella mia anima, e quando sarà il caso
darà un bel calcio al mio oggetto a .
& da: v.s.gaudio lettere al destinatario che aveva quelle
scarpe, quelle con le stringhe che arrivavano sempre prima ©
1979- 1985