Il limite di Schönberg
Il principio ibrido, il
disagio e la mancata fine del romanzo
Ricerche
estetiche
con
testi di V.S.
Gaudio
Questo
volume raccoglie saggi e interventi pubblicati, spesso con titoli differenti e
modificati nella forma, su «Lunarionuovo», storica rivista catanese diretta da
Mario Grasso, eccetto un paio ospitati da «Allegoria» e dal «Ponte»; il più
delle volte, gli scritti di Alessandro Gaudio sono stati affiancati da testi di
V.S. Gaudio, in non pochi casi differenti o più estesi, rispetto a quelli qui
antologizzati, nell’ambito della rubrica di critica e di letteratura intitolata
Il limite di Schönberg.
In
essa si è tentato di usare congiuntamente le armi dell’analisi, della ricerca e
della letteratura (senza abolirne le differenze) nel tentativo di sintetizzare
un’idea di critica che sia in grado di osservare il suo oggetto da punti di
vista inconsueti, sorprendenti. Da un oggetto, da un volto, da un’immagine allo
specchio, da un sogno, da un inatteso riferimento si è desunta liberamente
(cioè criticamente) una regola estetica
che servisse a spiegare il modo soggettivo e incerto in cui il romanzo è possibile
e, proprio per mezzo della scrittura, ad affrontare la realtà (incerta
anch’essa), a osservarla e a distinguerne le contraddizioni.
Così, il particolare,
individuato di volta in volta, si rivela incommensurabile perché ritrova, dopo
un lungo processo di condensazione (di speculazione e, con V.S. Gaudio, di
drammatizzazione della creazione speculativa), un carattere nucleare,
universale. Nell’oggetto incommensurabile
lo scrittore, vero e proprio superstite ma anche scienziato, scopre una
tensione duale, dialogica e antifrastica allo stesso tempo, che è insita nella
stessa nozione di limite, che riguarda la storia, il corpo, la scrittura
dell’Io, il cuore complesso, disorganizzato e continuamente ripensato del mondo
e che considera quanto di tutto questo sia stato usato e tradotto in romanzo da
autori come Raymond Carver, Flannery O’Connor, Philip Roth, John Fante, Arthur
Miller, Henry Miller, E. L. Doctorow, Arno Schmidt,
Edgar Hilsenrath, Witold Gombrowicz, John Edward Williams e molti altri.
Di volta in volta per
questi autori non c’è niente che valga la pena di fare, la vita non può
migliorare, la casa sembra una tomba, il rubinetto perde, la serranda è rotta e
il vicino non ha un aspetto rassicurante, eppure essi continuano a scrivere,
racchiudendo ogni cosa e ciascuno degli oggetti da cui si sentono incalzati in
un luogo eterotopico esemplare, margine antiumano di esclusione e ombra della
loro stessa vita, direbbe Shakespeare, ma pur sempre luogo di desiderio che,
pur non riuscendo ad appagarsi nel pieno possesso della cosa, li rende vivi,
forse proprio perché maggiormente consapevoli del loro fallimento di uomini.