Il monte si chiama San Colombano, il nome di
un monaco proveniente dall’Irlanda nel quinto secolo: si mosse con altri monaci
benedettini ed arrivò lungo il torrente Stura, nella valle passava e convertiva
nei villaggi e nei casolari dei contadini, i quali avevano una religione pagana
e concezioni deistiche, e credevano ai numi, i grandi alberi, la luna ed il
sole e … il bosco in questo luogo è ancora
pieno di fantasie e ricordi degli eventi
numinosi, idee strane, antiche, terribili e paurose.
Nel bosco dopo l’imbrunire si sente un
brivido nei passanti , un canto e fremono scrosci , grida di invocazione, urli
di aiuti e di terrore e voci incrociate e consultate; non c’è vento e nulla si
muove ma il bosco parla parla, racconta e mormora. Dentro nel folto si vedono
luci come fossero fuochi
ed il lampeggiare qualcosa intorno, e nell’aria si ricapitolano e
ritornano episodi ed avvenimenti che fluttuano sospesi nell’atmosfera.
Nel 1903 un uomo si trovava con i paesani ,
un meeting nella cascina in valle, e costui voleva accendersi un sigaro ma non l’aveva. Sua figlia di 10
anni era col padre, ed egli mandò Zita a
prendere la scatola dei sigari e dei fiammiferi
alla sua cascina più in collina; passando per il sentiero nel bosco ci
voleva quindici minuti. Zita corse con
un po’ di paura nel bosco, prese i sigari ed i fiammiferi e ritornò per il sentiero;
in un
radura si fermò e per divertirsi accese un fiammifero e la fiamma appiccicò il fuoco nel margine
della gonna ed il vestito s’infiammò: la ragazzina si spaventò e fece la cosa
più sbagliata e corse corse trafelata
per arrivare presto , ma correndo alimentò le fiamme e tutto il vestito
avvampò.
Suo padre aspettò non preoccupato e pensò che Zita si fosse seduta
o avesse incontrato qualcosa o non
trovasse i sigari. Dopo parecchio suo padre rifece il sentiero verso la casa e
vide raccapricciato che Zita era
morta e carbonizzata ed ormai le fiamme
erano spente.
Nel
bosco si vedono ancor oggi dei bagliori, come fiamme, ci sono vampe ma non ci sono incendi.
Nel bosco lampeggiano spesso i fulmini a cielo sereno: anni
e anni fa, nel 1911, un ragazzino andava nel bosco del San
Colombano per pascolare qualche pecora,
e portava con sé un rastrello per raccogliere il fogliame e fare i giacigli
nella stalle per le bestie, si diceva ciazze. Camminava con un rastrello di ferro
sulla spalla. Qui passavano i fili della linea dell’elettricità di alta
tensione che pendendo, cadevano in basso dai piloni. Il ragazzino li toccò con il rastrello e fu
fulminato e morì.
C’è ancora una croce di ferro in questo posto
dove il ragazzino morì, ma lì il conduttore e la linea elettrica sono spostati
ed i piloni sono alti e non si raggiungono i fili. In questo luogo si vedono i
lampi, come degli avvampi di fulmini
dov’era l’antica linea elettrica.
Nel bosco si sente qualcuno piangere e
lamentarsi “ahimè come facciamo ora” con un accento meridionale ed una voce
stentorea “ahi , ahi !”
Nel 1930 qui ci fu una campagna di manovre
militari di un battaglione, ed un soldato aveva perso il fucile: lo ha deposto vicino e fece un sonnellino, e desto non
riusciva a trovare l’arma. Il capitano gli diede una lavata di testa e gli
disse arrabbiato : “guai non trovare il tuo fucile, e non presentarti se non hai il fucile!”
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© vuesse gaudio |
Sopra la collina c’è il Bric dell’Uomo Morto
. Un carbonaio faceva il carbone di legna nei boschi, un mucchio di legna fu
coperto dalla terra, e sotto bruciava a
metà e si formava il carbone di legna; nel
frattempo il carbonaio cercava funghi lamponi
e more.
Il tempo è passato e l’uomo non fu ricercato,
scomparve e il mese dopo venne la neve, e l’uomo era finito, e non lo si trovò:
cambiò la stagione, si sciolse la neve ed ora trovarono l’uomo morto: in questo
posto c’è un freddo anche in estate. Il
Bric così fu denominato.
Il bosco è pieno di ricordi, eventi, sussurri
, ritornano le cose lontane e tormentose, e parla il bosco e stormisce, un palcoscenico, tragedie e paure; scuri alberi e cespugli , angoli eremi ,
castagni, lecci, querce , faggi, agrifogli, frassini, ginepri raccontano fatti
nascosti e profondi.
Romolo Rossi