photo © luciano troisio 2014│
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ÞTutte le strade
hanno il senso unico a Malacca
Kuala
Lumpur (lett: Confluenza Fangosa) è una delle peggiori metropoli
asiatiche. (Di peggio ho visto solo Giakarta e Bengaluru). L'avevo già visitata
nello scorso millennio, forse nel 1998. Allora viaggiavo alla grande, ora mi
sono impoverito in molti sensi; già all'aeroporto, quello vecchio, molto
lontano, con dentro vispi uccellini che svolazzavano, avevo comperato un
pacchetto di tre notti più il taxi, all'hotel Concordia, molto lussuoso
(sebbene ricordi che il colore dell'acqua dei rubinetti e del bagno era di un
intenso giallo paglierino, contrastante con la spocchia del personale quasi
tutto cinese). Il giro della città non mi aveva esaltato, me n'ero subito
andato in aereo alla famosa isola di Tioman ricca di varani. In
cerca del pittoresco, stavolta sono sceso alla China Town, interessante e
sordido quartiere colmo di gente di varie etnie, malesi, cinesi, arabi vestiti
di bianco,donne musulmane turiste straniere tutte in nero, completamente
coperte esclusi gli occhi (alcuni bellissimi), straccioni, mendicanti, ubriachi
(o morti) per terra, colori vivacissimi, sozzerie, lanterne e palloncini rossi.
Inutile chiedere informazioni per strada: la gente risponde con villania.
Trattandosi di un quartiere cinese ci si aspetterebbe di trovare dei ristoranti
decenti. Non esiste nemmeno il concetto di breakfast, qui gli alberghi non lo
forniscono. Le stanze di solito sono piccole, senza finestre, però pulite e in
ordine, con Tv locale (programmi scadentissimi), acqua calda, A/c. Frequenti
zanzare vengono eliminate chiedendo l'apposito spray. Perfino un 7eleven
diventa un confortevole riferimento. In un
paio di giorni, orientatomi sebbene insonne in preda al jet leg, avevo deciso
di battermela. Cercata e trovata un'agenzia viaggi, mi informai sul volo per
Bali dopo aver atteso a lungo che rozzi clienti cinesi finissero di discutere
all'infinito senza acquistare nulla. Era venerdì, la commessa mi avvisò che
essendo passate le 17 non poteva informarsi presso le compagnie; che andassi
l'indomani, essendo aperti anche il sabato. L'agenzia era nel gigantesco ingresso
di un supermercato. Il pianoterra era vuoto, fresco, con altre piccole agenzie,
molto personale della sicurezza (avevo delle banconote locali che spuntavano
dal taschino e uno dei vigilantes mi fece segno di toglierle). Per salire al
supermercato c'erano le scale mobili. Quella in salita non funzionava. Mi
ricordai immediatamente della metropolitana di Tokyo dove riscontrai l'identico
fenomeno. Approfittai di una botteghetta che esponeva orologi da parete per
acquistare un adattatore di tipo triangolare, dato che la spina del mio
computer nuovo non era compatibile. A Bali ne dovrò comprare ancora un altro.
Durante
la notte insonne lessi la guida. Conclusi che il mese di giugno sulla costa
occidentale è il meno piovoso dell'anno. Cambiai idea e decisi dunque di
visitare subito Malaka. Il giorno dopo tornai all'agenzia. C'era un'altra
bifolca cinese d'oltremare che infastidiva la commessa con infinite richieste,
rimestando per finta sul telefonino (che ha sostituito la zappa). Mi sedetti su
uno dei trespoli. A un certo punto la commessa mi chiese se avevo deciso la
data e le spiegai il rinvio al primo luglio. La cinese si infuriò dicendomi che
c'era prima lei. Le risposi che la commessa (la quale rimase assolutamente
estranea), non potendone più, mi aveva rivolto la parola, sapendo che lei non
avrebbe comprato nulla; era troppo corretta per mandarla direttamente a quel
paese. Lei continuò col telefonino urlando, ma allontanandosi lentamente a
segmenti e uscendo finalmente in strada e dalla nostra vita. Il volo del primo
luglio è costato 405 ringgit, invece di 750. In pochi minuti ebbi in A4 il
biglietto e la fattura. Velocità, correttezza, anche cortesia. La
Malesia suggerisce un'idea fortemente contraddittoria: da una parte,
all'interno delle strutture, si nota grande efficienza e ordine, dall'altra,
nella strada, sporcizia, bassezza e villania. Nessuno dà informazioni, o le dà
inesatte, anche in buona fede. Ad esempio: alla reception del mio albergo la
gentile signora in chador mi ha assicurato che per andare alla stazione dei bus
per Malacca non occorreva che prendessi un taxi. È perfino uscita in strada per
indicarmi una grande scritta su un palazzone distante un 400 metri. Quella era
la mia stazione. Infatti era così, ma gli autobus partivano per tutto il
sistema solare esclusa Malacca. Gli imbonitori mi uccellavano, mi davano
indicazioni fasulle. Finalmente un ragazzo fu così gentile da spiegarmi che
bisognava prendere un autobus urbano per andare a un'altra stazione. Mi disse
di attendere all'ombra di un albero (un caldo pazzesco) e quando arrivò il mio
autobus si premurò di indicarmelo. Caricai le valige (2 ringgit), dopo 20
minuti di autostrada arrivammo a una gigantesca stazione. Prima che aprissi
bocca mi indicarono un ascensore che saliva a un altissimo cavalcavia. Lo
attraversai, entrai nella stazione superefficiente. In un minuto, a uno dei
tanti sportelli, una signora dopo avermi chiesto il passaporto, mi consegnò il
mio biglietto (10 ringgit. Un euro: circa 4 ringgit).c'erano molte gate
come in aeroporto. L'autobus partì con qualche minuto di ritardo, percorse
l'autostrada velocemente, tanto che dopo nemmeno 2 ore eravamo giunti a Melaka
Sentral. Paesaggio banale, non lussureggiante, la Malesia è povera di fiori.
Sapevo che c'era un autobus economico. Preferii un taxi che mi portò fino alla
guesthouse indicata, dal prestigioso nome di Eastern Heritage. Nella
guida (vecchia di qualche anno) era descritta in modo davvero affascinante. Si
trattava di un edificio costruito nel 1914, in stile cinese-liberty, (in nero e
oro, sempre troppo scuro, e soprattutto di pessimo gusto). Un lussuoso passato
gravava sul presente assai squallido. Alla reception un vecchio cinese mi
avvertì che non esisteva Bf, e che le camere avevano un solo bagno comune per
piano e solo il fan. In compenso il prezzo era bassissimo: 30 ringgit. La guida
descriveva anche una piscina “per tuffi”, che infatti c'era, la più piccola
piscina della mia vita, circa 150 cm. per 180. La località era piuttosto
fuorimano, nella Bukit China, dove aveva abitato una mitica principessa figlia
dell'imperatore della Cina, che si era portata dietro 500 ancelle, e c'era il
più grande cimitero cinese, in parte di epoca Ming ecc. ecc. Ero
attratto e respinto, come mi succede spesso. Prevalse la mia volontà di
autodistruzione e rimasi. Salii attraverso una bellissima scala di legno stile
Sezession originale, curva e istoriata di neri, ori e rossi. La stanza era
invece piuttosto misera, sebbene molto grande e con immense finestre. Mancava
al solito il lenzuolo superiore e l'asciugamano. Scesi a chiederlo e il vecchio
mi assicurò che me l'avrebbe fornito. Fino a questo momento non avevo visto
anima viva, però apparve un bianco abbastanza giovane, serio, antipatico, molto
tranquillo, forse di nemmeno 50 anni. Aveva in mano un boccale di tè. Lo vidi
più tardi uscire con un bottiglione di plastica vuoto e ritornare dopo averlo
riempito d'acqua. (un ottimo protagonista per le scene del delitto. In un
baleno pensai un intero romanzo. Non c'era dubbio, l'omicida era lui senza
attenuanti generiche). Sul nero bancone, a sinistra, c'era una decina di
bottiglie d'acqua. Un posto davvero strano, che associai immediatamente a
qualche thriller americano di provincia; lo scenario, la location, lo sfacelo
di un lusso passato ma non trascorso erano adattissimi per i pensati efferati
assassinii di normale follia quotidiana. Qualcosa
mi comunicava terribilità, disperazione, il limite era stato violato in misura
irreversibile. Non restai in camera perché la Wi Fi non funzionava, mentre
nella hall sì. Un altro vecchio cinese mi aiutò a sistemare la spina
triangolare tra le fatiscenti decine di prese. Gli chiesi di nuovo un lenzuolo.
Rispose meravigliato che quello del mio letto era pulitissimo; e allora dovetti
spiegare ancora una volta che volevo un secondo lenzuolo per coprirmi. Aprì dei
cassetti, me lo dette subito, in spugna, più un misero liso asciugamanino
bianco. So per esperienza che è inutile chiedere il sapone. Stetti al computer
un'ora. Ora il giovane si era tuffato nella piscina per tuffi. Mi è sembrato
che stesse da papi in quella folle casa da homeless e jobless. A sera uscii. Mi
avevano fornito di una rudimentale piantina. Confesso che sbagliai direzione e
finii ancora più in periferia. Arrivai fino al fiume (che si chiama Malacca),
vidi molti edifici interessanti, grandi murales, giostre, una gigantesca giunca
finta, un ponte che imitava quello di Rialto, poi mangiai in una di quelle
piazze con molte bancarelle, una zuppa discreta colma di ignoti ingredienti. Al
ritorno, nella hall erano seduti il giovane che se ne andò subito (trapelando
la sua nefanda colpa), una donna inglese alta mia coetanea scheletrica e
brutta, un vecchio giapponese. La donna mi salutò in italiano. Io intanto avevo
preso una delle bottiglie d'acqua a sinistra del bancone deserto. La donna mi
avvertì che si trattava di acqua sporca per innaffiare. Volendo mi avrebbe
venduto lei quella potabile. Cominciai a parlare, mi disse molte cose, parlava
spagnolo, anche italiano, era stata 8 anni in Brasile (Fasi? Amori? Divorzi?
Vite che collassano? Un altro instant book?), aveva visitato Venezia e Padova.
Proveniva con ogni probabilità da un grandioso passato. Passammo a parlare in
francese, isolando il vecchio giapponese che parlava solo portoghese. Approfittai
per intervistarla, sebbene parlasse poco, mi raccontò che quella grande casa,
assieme ad altre tre adiacenti e comunicanti tra loro dall'interno, senza dover
uscire sulla strada, erano il frutto dei risparmi di quattro fratelli cinesi,
emigrati a Malacca sotto gli Inglesi. Poi cercai di coinvolgere nella
conversazione il giapponese (a questo punto istantaneamente la signora riprese
con stranissima velocità il solitario che però aveva interrotto prima
del mio arrivo). Ambedue sapevano molte cose sull'Italia, sui migranti. Mi
dissero che proprio quel giorno i giornali malesi parlavano del problema,
citavano il fatto che anche in Australia la situazione è peggiorata (mi pare di
aver capito che offrono 5000 dollari australiani a chi se ne va). Chiesi ancora
dell'acqua, lei si alzò, andò al bancone, aprì un tendaggio in quello che
sembrava il residuato di un palcoscenico Art Nouveau prima o dopo lo
spettacolo, apparve un gigantesco frigorifero, estrasse la bottiglia, due
ringgit, 50 cent di euro. Molto più cara che in altre nazioni asiatiche. Ebbi
l'impressione che lei fosse la padrona dell'ambaradan, ormai prigioniera
volontaria.
Dormii
coi sonniferi poche ore, alle sette ero già in piedi, mi ero portato giù per la
bella scala le valigie. La signora era già nella hall colla sua fida
rassicurante pot di tè, coperta da uno spesso panno rosso. In quel momento il
giapponese rientrava dalla strada. Salutai gentilmente, la signora mi ricordò
di riconsegnare la chiave, uscii, tornai indietro e le chiesi quale fosse la direzione
del centro. Essendo un mancino contrastato a volte ho gravi problemi di
orientamento, e infatti mi stavo di nuovo sbagliando; trascinai le valige fino
alla curva, mi fermai sotto un portico quasi ansimando. Dopo qualche minuto
passò un taxi. Per 10 ringgit, mi portò fino al ponte centrale e mi piantò lì
(perché a Malacca le strade hanno senso unico e non poteva proseguire).
[Fine
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Tre Wordle per il mancino a Malacca │50 maxWords