●Kuantan,
13 agosto 2014│
Pure i Fessi a Ferragosto
Lo dedico a me stesso, ma anche pensando a quante banali recensioni a banali libercoli, a quanti mediocri "pezzi", a quanti filmatini e servizi appena decorosi in attesa da mesi, sollecitati infinite volte da scribacchini e imbrattatele. In agosto finalmente andranno in rete nel deserto più totale; perché i siti hanno diritto anche loro a un certo livello minimo, e a un po' di vacanza. Ma: ci sono delle rare felici agostane eccezioni, e una di queste è l'assai densa "Gaudia 2.0". Mi dicono che è seguita da milioni di contatti e non stento a crederlo, perché quello che ci suggerisce è sempre stimolante, scelto con cura, proposto con provocatoria intelligenza. Devo ringraziare molto, sia dello spazio che mi concede, sia dell'arricchimento che mi fornisce a getto continuo.
Ci sarebbero almeno due volumi da
comperare subito: ho appena letto l'intrigante pagina dedicata al "Limite di Schönberg", dell'acuto Alessandro Gaudio. Perfino divertente, cosa
rarissima nel campo della saggistica che si occupi dei serissimi celebri
illeggibili iperuranici autori impronunciabili. Indagine tutto sommato
ottimistica (per noi che allegri non siamo) sul disagio, sulla insopportabile
vita che continua nonostante tutto, sui fastidi ininterrotti, il rubinetto che
gocciola, gli elementi di disturbo [in questo momento sono in un decente
albergo di Kuantan dove mi cullano vivaci trapanii e smartellamenti; domani
fuggo] molestie che la maturità ci costringe obtorto collo ad accettare.
Come se non bastasse vengono anticipati
alcuni spendidi versi dal volume "Musici Guitti" di Agostino Contò,
che se non erro è Direttore della Biblioteca della città di Verona, pur essendo
trevigiano d'origine. E lo capisco anche dal fatto che alcuni brevi exempla
forniti in rete sono scritti in una, o forse due, varianti del dialetto veneto
che poco hanno a che fare col veronese. (Anch'io mi sono cimentato col dialetto,
pur essendo italofono di madrelingua; ho imparato, per necessità di
comunicazione, il veneto a 5 anni, alla leva scolastica, nella variante
altopadovana, più vicina al vicentino di Meneghello; non lo so parlare bene, e
spesso capita che mi prendano in giro per le mie desinenze errate, per le
vocali aperte).
Bene scelti i testi in italiano (alcune
immagini sono di pregio assoluto), migliori ancora per straordinaria efficacia
che secondo me fa impallidire la lingua, quelle in dialetto. Voglio leggere
questo libro che incuriosisce, e intanto anticipo una minima riflessione (dalla
lontana Malesia; se avessi dietro i miei libri consulterei immediatamente la
Grammatica Veneta della Marcato): forse c'è qualche piccolo errore di
trascrizione, non ne sono sicuro. Mi pare, da profano attento, che le varianti
siano due distinte: quella che riguarda le scodelle di vino potrebbe essere un
trevigiano cittadino, ma l'altra, che leggo con più difficoltà, la collocherei
forse a nord del Montello (è il dialetto di Zanzotto?). Noto inoltre il pronome
personale soggetto Tu. Deve essere una caratteristica circoscritta di
quella zona, già imparentata col bellunese/ladino. Mai sentito prima (forse un
calo di memoria...). In veneto generalmente si dice Ti. (Tu sei: Ti
te si; Tu hai: Ti te ghe).
Ne discuterò con l'autore con il quale
nelle more mi complimento davvero.
Stamattina: evitato per attacco di
nausea il dirimpettaio MDonald e prima colazione nel contiguo lercio ristorante
indiano (ho subito notato che i neri gestori non muovono la testa nell'8
orizzontale dell'infinito, quindi probabilmente sono antichi immigrati da
generazioni e ne hanno perduta la trasmissione culturale). In tutta la Malesia
sui tavoli, oltre a misteriosi cartocci di carta, anche di giornale, contenenti
nasi (riso), ci sono dovunque vassoi ricolmi di uova che a richiesta vengono
fornite half boiled. Fino ad oggi, nonostante infiniti timidi tentativi, non mi
è stato possibile ottenerne full boiled, ma oggi, il nero spurcissimo capelluto
cameriere-cuoco che lavora "alla piastra", ne ha subito rotto due e
me li ha forniti fritti, senza nulla. Per la verità mi ha chiesto se ci volevo
del curry. Al mio schifato diniego mi ha portato delle salviette rosate, atto
di estrema attenzione, visto che gli altri 5-6 clienti ne erano privi. Avevo a
disposizione cucchiai, forchette e pepe. Il sale non esiste. Visto che su un
tavolo vuoto c'era pepe e soia, mi sono procurato quest'ultima. Il bicchierone
di mediocre caffè ha un due cm. di latte condensato sempre troppo zuccherato
delle fottutissime multinazionali, che per via del maggior peso specifico
precipita verso il fondo. Per ottenere due toast ho avuto bisogno di due
interpreti. Lo spurcissimo ha estratto un pacchetto di pancarré. Non sanno che
le fette quadrate vanno tostate, l'apposito elettrodomestico è ignoto. Le ho
rimandate alla piastra dove le ha posate per non più di 30 secondi, me le ha
riportate flosce appena tiepide. Insomma un pianto general che aumenta la mia
depressione. Conto: 5 ringgit, poi diminuiti spontanemente a 4.
Ho avuto il tempo di osservare gli altri
clienti tutti indigeni. Una coppia con lei giovane, vestita all'occidentale con
foulard/chador, carina, tre o quattro uomini tutti inequivocabilmente
musulmani, uno con solenne barba, un poveraccio scapigliato forse in preda a
brutti pensieri. Mi sono fatto l'idea che il piatto di riso sporcato con un po'
di liquido gliel'abbiano donato. Mentre pagavo il conto ho notato che il
barbone lo aveva chiamato al suo tavolo dove aveva posato una banconota da un
ringgit, che il poveraccio ha preso.
Consumato l'abboffo mi sono diretto al
vicino faraonico Centro Informazioni Turistiche, che avevo già intravisto ieri
pomeriggio. Mi aveva dato l'impressione di un grandissimo complesso abbandonato
da anni. Tirava un gradevole venticello che mi ha fatto pensare alle scene
degli Spaghetti Western dove nel villaggio deserto rotolano cespugli secchi.
Anche stamattina la stessa impressione. Mi sono detto: dato che sono arrivato
fino a qui tento ugualmente; sono entrato, una freccia indicava l'ufficio a
destra. Nessuno. L'ufficio era molto vasto e sfociava in altri uffici a
cannocchiale. Cattedre, sedie, opuscoli. Stavo per andarmene quando sono
arrivati (presumibilmente dal Bar Sport) 5 uomini e una donna. Erano le 10.30,
forse erano in pausa tè. Mi pareva di essere in Italia, in quei comici uffici
dipendenti dalla provincia, dove nessuno fa nulla e si imboscano i saprofiti
politici islamico/trombati.
Anche qui un branco di imbecilli, molto
disponibili, per nulla concludenti. Tutto si poteva fare ma non hanno fatto
nulla, nemmeno mi hanno prenotato l'hotel a Cheratin. La mappa che mi hanno
regalato dev'essere concepita da qualche raccomandato deficiente. Mai visto di
peggio. Uno mi ha consigliato di visitare il kampung (villaggio) di pescatori
sull'altra sponda del fiordo, ma nessuno sa come si fa ad arrivarci (a nuoto?).
Come andare alla stazione dell'autobus? Pare quasi impossibile raggiungerla.
Uno degli impiegati mi pareva particolarmente idiota: mi ha vivamente consigliato
a Cheratin il Coconat Inn facendo ripetutamente il gesto del pollice recto. Mi
hanno fatto firmare il registro dei visitatori. In data di oggi 13 agosto
soltanto io ero andato a rompere le uova nel tranquillo paniere. Assalito da
grande desolazione sono tornato all'albergo. La ragazza è stata assai gentile e
disponibile. Nemmeno lei sa come si arriva alla stazione. Non ha idea di come
si possa visitare il kampung (l'imbarcadero è a 50 metri dal loro albergo e
alle 16 ci andrò). Non sa nemmeno se ci sono autobus per Cheratin. Ha
controllato il cartello coi prezzi del taxi: ci vogliono 60 ringgit. Lei stessa
trova che sia un prezzo esagerato. Incerto sul da farsi, preferisco restare
un'altra notte e filarmela domani procurandomi subito un taxi.
Una buona notizia i cretini dell'Ufficio
Turistico però involontariamente me l'hanno data: le vacanze (presumo quelle
del Ramadan) sono finite, quindi a Cheratin non dovrebbe esserci molta gente.