di Massimo
Sannelli
"Ogni punto", ogni punto di tutto, sarà "in
relazione e comunicante con tutti gli altri". Questa visione è molto
più grande della nostra Rete. La Rete mondiale è fatta per i pesci piccoli,
come gli utenti, noi. In sé, questa Rete è anonima, perché è di tutti e per
tutti. Lorenzo Calogero vede una Rete mentale, ma non tecnica, e fantastica, ma
non virtuale: "La possibilità di una capacità espressiva che avesse
quasi del fantastico, essendo intercomunicante in tutti i punti di essa";
e "una città del tutto notturna, dove ogni punto di essa fosse in
relazione e comunicante con tutti gli altri". Prima, ha scritto che "noi
nel nostro lavoro di poesia non facciamo altro che cercare di riattivare la
scintilla del pensiero che in noi non par spenta perché ci dia riposo nel suo
splendore sovrumano".
Calogero è singolare e non mescolabile, è pubblicabile ma non è pubblico, e
non sarà mai un poeta pubblico. Il maledetto è chi è fatto apposta per apparire
– perché è oggettivamente grande, perché è una maestà lirica – ma non appare,
perché non può apparire, per limiti esterni e interni: troppo malato, troppo meridionale,
troppo perfetto, troppo asociale e mentale. È maledetto dall'inizio alla fine: "E
sembra un sogno, ma non ho nessuno".
Ogni tanto Lorenzo Calogero torna per diminuire gli altri, come ha
diminuito Ungaretti, e Ungaretti lo confessa, ma tu ora pensi che questa
diminuzione è giusta, è bello che sia così, è grande, lo ami e lo dici, non
puoi fare a meno di dirlo; allora spieghi agli altri come amarlo –
riconoscendolo singolare e non mescolabile – e perché (perché è singolare e non
è escolabile).
Usi anche le nuove Reti, quelle anonime e sgraziate con l'"orribile
viavai", per togliere un po' di buio.
Ho scritto queste linee un po' liriche, sapendo che è una direzione vana:
tanti frutti all'interno, tanto silenzio all'esterno, come deve essere. Ed ecco
una confessione sul margine: quando scrivo poesia o scrivo sulla poesia devo
pensare – sempre, e sempre è sempre – ad Aldo Busi. Per il beato contrasto, per
indurirmi e vivere, per non diventare zucchero o frustrazione.