Armando Adolgiso ♪ La tromba del musicologo Ivan Raviè


Un bar dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Dal fondo della sala, provengono le note della canzone che più vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

Scommettiamo un Campari che non conoscete la storia d’Ivan Raviè?...  mi piace vincere facile?... può darsi. La raccontai anni fa a Radio Rai, dove scrivevo un programma con la finalità d’illuminare aspetti meno noti di certi episodi della storia e della cronaca. Pezzi brevi, 2’ o 3’00”, recitati da Giancarlo Cortesi su musiche di Guido Zaccagnini.
Come?... recitare io adesso quella storia?... non se ne parla proprio… visto che ora è?... mi offrite una birra alta?... se è così, non posso rifiutare. Allora ascoltate
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Il 25 gennaio 1882, a Torino il musicologo Ivan Raviè entrò in manicomio, vi rimase per dodici anni, fino alla sua morte.
Amico di Amilcare Ponchielli e Alfredo Catalani (con i quali ebbe un nutrito scambio epistolare), che cosa gli accadde un certo giorno? Non tollerò più un suono: quello della tromba.
 

Al principio manifestò solo un vago fastidio, poi il tormento crebbe rendendolo protagonista di episodi tragicomici. Fu necessario il ricovero e lì prese furiosamente a scrivere quaderni e quaderni per dimostrare quanto il suono di quello strumento fosse nefasto.
In quelle pagine, parzialmente pubblicate negli anni ‘80 sulla“Rivista di Nefriatria”, Raviè, manifesta, accanto a veri deliri, notevoli doti di colto umorismo su quel suo tema paranoico.
 
Ecco un esempio: “La tromba, è un antico flagello, ne troviamo notizia persino nel Libro di Giosuè (XIX, 12), dove le mura di Gerico crollano al suono di sette trombe suonate da sacerdoti i quali formavano un complesso minaccioso che, oltre a quelle Sacre, non trovò mai altre scritture...”.
E ancora: “Una volta quello strumento era ottenuto con femori anche umani, e il tibetano ‘Kan-dun’(letteralmente tromba d’osso), era tratto dallo scheletro di monaci defunti. Né alcune varietà della tromba sono meno terribili, come il leggendario ‘Olifant’ suonato dal paladino Orlando al passo di Roncisvalle per chiedere aiuto a Carlo Magno. Come finì? Finì male, naturalmente, e lo sciagurato paladino fu sconfitto dai baschi, il 15 agosto del 778: fu il suo peggiore (e ultimo) Ferragosto...”.
Più avanti così scrive: “... non porta bene ai musicisti avere nel cognome o nel soprannome trombe o altri strumenti aerofoni. Si pensi al bolognese Ascanio Trombetti, vissuto nel ‘500, grande cornettista, morì assassinato dal marito dell’amante, e il suo cornetto tacque per sempre.
 
Né andò meglio al suo contemporaneo, il celebre trombonista Bartolomeo Tromboncino che, a Mantova, uccise la moglie adultera. Tromboncino morì poi in circostanze poco chiare, appena dopo avere ultimato una composizione - fatalità? - per strumenti a fiato, intitolata: Se la mia morte brami...”.
 
Né mancano in Raviè citazioni dantesche come questa che segue: “Ricordate l’ammonimento che non a caso risuona in una bolgia: ‘or convien che per voi suoni la tromba’. E quale altro strumento era più adatto per terrorizzare quei dannati?...”.
Ma era solo, nella sua follia, il professor Raviè in quella sua ossessione. Forse no.
C’è chi ha scritto: il suono della tromba è terribile, o annuncia una guerra, o suona una marcia nuziale.