La pelle del mondo, le scarpe e l'anteriorità del poetico 🔨

SIGMAPOST |23
Lo spirito aspro del Dasein



Le scarpe di Nadiella e le scarpe di Sergio Rossi
🔨 Il mondo e l’anteriorità del poetico

V.S.Gaudio, Le scarpe di Nadiella.
La Stimmung con Marguerite Duras, Emily L.
© 2004,
 in : “Lunarionuovo”, nuova serie n.9,
Catania, Prova d’autore aprile 2005:
particolare
Oggi(ieri,per chi legge) è venuto a mancare a Cesena il maestro delle calzature femminili made in italy Sergio Rossi, ch’era nato nel 1935 a San Mauro Pascoli, e allora cosa è successo? E’ successo che ho ripensato al mio poema Le scarpe di Nadiella[i], Nadiella che era Nadia Campana, morta suicida, come è stato detto, a Milano nel 1985, a 30 anni. E in quel poema c’è tutta una serie di scarpe, anche quelle per i piedi sensibili di Emily L. della Marguerite Duras, ci sono i calzaturifici di Excideuil, per via di Jules Parrot e la sifilide, c’è Bologna, c’è Milano, Le Havre, Southampton, sempre per quelle sue scarpe, che aveva a Milano quando venne a conoscermi al Club Turati, che denominai modello Bellmer, e quelle altre scarpe, spaiate, di colore, che aveva a Bologna quando eravamo insieme a Silvia Zangheri al “Burghy” di Bologna, e c’era il comizio in piazza di Ingrao, quel futuro poeta comunista della Mondadori, e, in nota, in quel poema feci riferimento alle scarpe di Alessandro Dell’Acqua o di Alessandro Zanolli e a un altro modello Cacharel. Avessi saputo che nella città in cui era nata, in realtà nel paese dove nacque Pascoli, c’era il maestro della scarpa femminile nel mondo, quando andavamo cercando le scarpe per lei e per Emily L. anziché aspettarle da Southampton cavolo, a Milano stesso in via Montenapoleone avremmo forse trovato il modello suo feticcio dal suo quasi compaesano Sergio Rossi!
il tacco personalizzato di Sergio Rossi 


 il martello del calzolaio

e la pelle della tomaia



Non è Nadiella(io la chiamai Nadia) 
Campana :
è Lady Gaga
paparazzata all’uscita di un albergo
a Manhattan New York – nel 2017:
la falcata decisa è firmata Sergio Rossi.

Pensando alla pelle delle scarpe, alla tomaia, per dire: e alla pelle di quelle scarpe di Nadiella, mi viene sempre da chiedermi , con Paul Watzlawick: fin dove si estende l’essere umano? I suoi limiti sono nettamente definiti dalla sua pelle? Watzlawick usava un’analogia di Gregory Bateson[ii]: qual è il punto di contatto del cieco col mondo esterno, e qui penso ad Homer al protagonista dell’ultimo romanzo di E.L.Doctorow[iii]: la punta del suo bastone o piuttosto l’impugnatura, a meno che non fosse il fratello di Homer? O non è forse a metà strada tra le due estremità? E il martello, continua a chiedersi anche Paul Watzlawick: appartiene al mondo interno oppure esterno del calzolaio che lo usa? Ci pensate: Sergio Rossi, quando faceva il calzolaio, e il suo martello, e i colpi dati alla pelle, alla tomaia, e il martello era dentro il suo rombo lacaniano, o dentro lo stato del Genitore o dell’Adulto della psicologia transazionale, o, semplicemente: lo strumento, l’esterno, includeva direttamente lo spazio stesso, come il bastone del cieco come mezzo di collegamento tra lui e lo spazio, questa sarebbe, univocamente, la semplice immagine monadica dell’uomo, quasi senza scarpe, uno scalzacane, senza alcuna variazione quantitativa o qualitativa in un qualsiasi punto da trasmettere immediatamente a tutti gli altri punti del circolo o della losanga della propria libido, e allora a cosa servirebbe la pelle della scarpa e, in quel rombo anzidetto sopra, l’omologa pelle del tergo o dei piedi, se vogliamo?
Tra l’uomo e il mondo, tra il bastone e il cieco, tra il martello e il calzolaio, tra la pelle delle scarpe di Nadiella e Milano, tra la sifilide di Parrot e il mondo di Excideuil, tra San Mauro Pascoli e Cesena, il Bufalini, a Cesena, e Parrot, a Paris, la Biblioteca Malatestiana in piazza Bufalini a Cesena, per via di Pound e dei Cantos per il quarto d’ora di Lucrezia Borgia, tra le scarpe modello Hans Bellmer di Nadia e le scarpe dorate di Sergio Rossi che ho visto ai piedi di Sharon Stone, i confini sono sempre fluidi: i fenotipi, con cui abbiamo a che fare, tracciano una separazione e una differenza e costituiscono così il mondo, di là un poeta, il cui nonno era soprannominato Parrot” come il medico della sifilide, e di qua Pascoli e un maestro della scarpa, il suicidio di Nadiella rimane sempre incomprensibile: nel poema, percepivo il mondo in quella determinata essenza, avendo fatto quello che avevo fatto per percepirlo allora in quel modo, adesso ricostruendo come da allora sono giunto a questo, dentro la prigionia anche del Covid-19, intanto che Nadiella si “suicidò” quando stava montando il virus dell’Aids, non trovo altro che un’immagine riflessa di me nel mondo, ma non riesco a capire ancora nel mondo di chi.
Tanto che sembra che stia arrivando alla verità lapalissiana che, se la descrizione del mondo presuppone qualcuno che lo descriva, l’immagine riflessa di me nel mondo non sta nelle scarpe, nemmeno quelle di Nadiella, ma in chi quelle scarpe le ha fatte. Ciò di cui quindi abbiamo bisogno è la descrizione, o il nome, del calzolaio oppure, in altre parole, abbiamo bisogno di una teoria del poeta-visionatore, sempre e comunque nell’ambito di quella che è , o si è fatta come, la sua “biografia”, nel senso di Whitehead. Anche se Heinz von Foerster, nel 1974, precisava che, in base allo stato odierno delle nostre conoscenze, avendo solo degli esseri viventi come osservatori, questa teoria spetterebbe al biologo; e aggiungeva che essendo egli stesso un essere vivente la sua teoria non solo dovrebbe includere lui stesso, ma anche la circostanza in cui e da cui enuncia la teoria[iv]. Insomma, i fenotipi che costituiscono per noi il mondo, a questo punto, vanno osservati in relazione alle scarpe: le scarpe, mentre percepiamo il mondo nella sua determinata essenza, così a Milano in quella primavera seduto in quell’aiuola, così a Bologna, camminando per via dell’Indipendenza e la piazza del comizio di Ingrao, le scarpe, mentre camminiamo o stiamo seduti, le dimentichiamo, e invece è con quelle che sono state fatte da quel calzolaio, metti da Sergio Rossi, o da un ascendente stesso del poeta-visionatore, che noi percepiamo il mondo e il Dasein, anche di Nadiella, in quel modo, non solo a Quillebeuf o a Le Havre, se non a Cesena, e ricostruendo come sono giunto a farle non solo quel poema, allora, come ho scritto sopra, non trovo quasi altro che un’immagine riflessa di me e delle sue scarpe nel mondo e in quanto mondo non solo del calzolaio che le aveva fatte ma anche del calzaturificio che le aveva prodotte e messe in vendita. Io, come poeta-visionatore, o osservatore, per via di quell’analemma esponenziale del mio oggetto “a” che, allora, in quel tempo e con quelle scarpe, si fece quella Nadiella Campana da Cesena, mi distinguo, o pongo una distinzione, proprio in base alle distinzioni poste tra le sue |scarpe| e |quelle| di Emily L. o anche di Valérie Andesmas, se non delle figure disegnate da Hans Bellmer con quel tipico |modello di scarpe alla Toulouse-Lautrec[v]|, insomma mi distinguo proprio in base alle |distinzioni| che traccio in ciò che apparentemente non sono, vale a dire |il mondo|. L’anteriorità del poetico sta nella co-presenza, quella come la intendeva negli ultimi seminari al Collège de France, Roland Barthes, e parla solo con immagini sensibili, cammina con i piedi sensibili di Emily L. e le scarpe di Nadiella, il fatto è che sarebbe bastata una foto, un’immagine, e tutto il legame istantaneo, e tuttavia separato, tra il senza-memoria del poeta puberale nella neve di Cesena, venendo al mattino da Cervia, e, cosa c’era allora a Cesena?, Arrigoni? Orogel? Di certo: la bambina che aveva perduto il padre, e che, nel ciclo successivo di Giove, più o meno, gli sarebbe apparsa a Milano con |quelle scarpe|, che non erano state prodotte da Sergio Rossi?
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[i] V.S.Gaudio, Le scarpe di Nadiella.La Stimmung con Marguerite Duras, Emily L.© 2004, in : “Lunarionuovo”, nuova serie n.9, Catania, Prova d’autore aprile 2005. Leggi anche: Nadia Campana & V.S. Gaudio, Le scarpe di Nadiella, Uh Magazine/2013/08
[ii] Cfr. Paul Watzlawick, La trasformazione dell’immagine umana nella psichiatria, in: P.W., Il codino del Barone di Münchhausen, trad.it. Feltrinelli, Milano 1989.
[iii] Cfr. V.S. Gaudio, L’Homerotopia, in: Alessandro Gaudio, Il limite di Schönberg.Ricerche estetiche con testi di V.S. Gaudio, Prova d’Autore, Catania 2013:pp.110-123.Online, è su Uh Magazine 2012/06
[iv] Cfr. Paul Watzlawick, ibidem.
[v] Si tratta del modello che porta la Gouloue in “Moulin Rouge”(1890,Philadelphia Museum of Art).