V.S.Gaudio e Adriana Ivancich | L’immagine a somiglianza?
from "Astra", un numero del 1979 |
Adriana Ivancich at Venezia |
Intervista di Simona Pisani a V.S.Gaudio ░
SP| E allora questa somiglianza hai potuto, poi, verificarla in qualche modo? Tu sei un decodificatore plutonico, niente resiste alla tua analisi e alla tua penetrante critica, arrivi a scovare cose impensabili anche in un semplice fatto di cronaca avvenuto chissà dove e divulgato con i soliti stilemi importati dal 5% della verbalizzazione della cosiddetta autorità inquirente.
VS| La Bianca Deissi, in cui c’era Ronald
D. Laing dell’appena nuovo libro
tradotto dal mio amico Camillo Pennati, che annida una stasi esistenziale, la
figura entra in scena, quella , pensavano tutti che fosse quella del cavallo
nero di Hemingway, qua
la figura o
è un cavallo bianco, la puledra del brivido
che tocca terra dentro l’utero vortica
è scatola
è arca
cigno o scrigno
è blastula
da cui il tatto sospende immagini
sinestesia che annida radici, tronco e
cordone nel grembo
ove il vento tocca il seno del mare
SP| E’ vero che molti, alcuni addirittura
te lo scrissero, in merito a quella tua fotografia quando hai cominciato a
firmare la rubrica psicanalitica per “Astra” del “Corriere della Sera”, ti
dissero che c’era qualcosa, un quid, una sorta di punctum, che ti faceva
assomigliare alla giovane Adriana Ivancich?
VS| Sì, è vero. All’inizio non riuscivo a spiegarmi
la cosa, anche perché non avevo mai visto la Ivancich nemmeno in fotografia,
figuriamoci dove la trovavo una sua foto relativa al 1950 e al 1951!
SP| Poi la trovasti?
VS| No. Passò del tempo. Una vita, forse. O
forse due. Ricevevo strane lettere: quelli che, quando ancora non c’erano i
troll e il web, scrivevano a cazzo per attaccarti e molestarti, che so…dicevano
che non capivano la mia poesia ( o era difficile, e dovevo farla facile, come ti
permetti di scrivere "alto"?) anche quando, metti che era una Lebenswelt e, l’avevano vista(letta
non credo, questi tipi sono della categoria “fesso chi legge” e poi
pubblicano le loro poesiole a pagamento
o anche, ormai, negli spazi editoriali che fanno capo tutti a quell’evasore che
portava il denaro destinato alle esattorie italiane nell’isola che, più di
qualsiasi paese, è connessa direttamente allo Ior) su una rivista che faceva
capo a un determinato ordine o associazione di medici, quindi di gente che del
linguaggio scientifico o, quantomeno, specifico qualcosa avrebbe dovuto non
dico capire ma parzialmente intendere. Insomma, parlavano a suocera perché nuora
intendesse…Però io capivo che c’era questa genìa di custodi del nulla e anche
vigliacchi che usano questa strategia dell’ombrone ma non riuscivo a dare una
figura alla suocera e nemmeno alla nuora. Oh Dio, però, una cosa era evidente:
giacché eravamo nel paradigma della
suocera e della nuora, beh, sotto, si capiva, era evidente, era al dispositivo
di alleanza e di sessualità che alludevano.
SP| In che senso?
VS| C’era stata un’americana che un giorno
capitò per caso e apposta in un posto[ a Torino, o a Milano, se non a Verona, o a Padova, a Mantova, non lo dico, dove si tenevano dei reading di
poesia la sera e io ogni tanto ci andavo
per via del fatto che si mangiava e beveva bene e anche per vedere dove cazzo
si stava andando a sbattere la testa per via della poesia dopo Tel Quel e V.S.Gaudio, che era il più
interessante e intelligente della giovane poesia, a detta di Giorgio Barberi
Squarotti] e mi fece, no, no quello che tu pensi, stai sorridendo con quell’aria,
mi fece uno strano discorso e poi finì col nominare o alludere a questa signora
ch’era stata la figura di un personaggio chiave in quel romanzo di Hemingway.
SP| E…
VS| E c’era stata anche un’altra, metti ch’era
la nipote di un importante uomo politico della prima repubblica, più volte
ministro, che pure mi venne a parlare di questa figura.
SP| A Torino?
VS| …..
Adriana Ivancich e E.Hemingway |
SP| E tu?
VS| Io niente. Non capivo le indicazioni o
le allusioni, oppure le indicazioni erano poco decodificabili. Insomma, andavo
per la mia strada. Poi, fu pubblicata quella fotografia che, non ci crederai,
mi era stata fatta in un convegno di poesia e cazzate varie, forse a Trento, da
un amico poeta di Venezia e…chi la vedeva, e conosceva l’immagine della
Ivancich giovane, diceva…che, beh, c’è una strana somiglianza tra te e Adriana
Ivancich. Somatica, non poetica. Anche negli anni ottanta, quando ormai me ne
stavo per i cazzi miei ma controllato a vista dalla setta degli ombroni nel
delta del Saraceno, capitava che se interagivo con colleghi giornalisti,
questi, già all’inizio, si riferivano sempre alla foto di “Astra”, come se
quell’immagine avesse un qualcosa di patagonico indefinibile o fosse la
risoluzione integrale del punctum di Barthes. Spesso capitava che fossero
giornaliste famose o molto visibili, facevano tv o nel quadrato del bla-bla apparivano spesso,
e, quasi fosse un vezzo, alludevano sempre alla mia immagine in quella foto
anche negli anni novanta, quando ormai degli anni di piombo del tempo della
foto tutto era stato prescritto se non cancellato.
SP| E allora questa somiglianza hai potuto, poi, verificarla in qualche modo? Tu sei un decodificatore plutonico, niente resiste alla tua analisi e alla tua penetrante critica, arrivi a scovare cose impensabili anche in un semplice fatto di cronaca avvenuto chissà dove e divulgato con i soliti stilemi importati dal 5% della verbalizzazione della cosiddetta autorità inquirente.
VS| Solo recentemente mi sono reso conto
che in effetti tra qualche immagine di Adriana Ivancich degli anni cinquanta e
quella mia immagine c’erano degli elementi di connessione.
SP| Tu sei un esperto di somatologia,
antropometria, e fisiognomica.
VS| E di genetica e psicanalisi, stato
civile e ufficio anagrafe, antropologia culturale e piaceri singolari, creatore
della scienza effimera della manomorta [ come è stato indicato nel
ForseQueneau, di cui uno degli autori era stato dal poeta, da lui ingiuriato e offeso, querelato e portato al
giudizio da una procura della repubblica che quando mi notificava le citazioni
in merito ometteva sempre non solo il
capo d’accusa o d’imputazione, i dati dell’imputato e, cosa veramente Heimlich,
l’articolo del Codice di Procedura Penale
alla base della citazione come P.O.T.: non usava il modello prescritto e
scrivevano: Visto : e dovevano metterci, specificare, l’articolo del Codice
relativo alla procedura, invece non ci mettevano niente, era omissis, per me non
c’era il C.P.P., visto: niente, se vuoi venire, senza sapere un cazzo, vieni,
altrimenti…t'appìchi al POT!].
SP| E dunque?
Bianca deissi | "fermenti" n.183-184, Roma gennaio-febbraio 1987 |
è un cavallo bianco, la puledra del brivido
che tocca terra dentro l’utero vortica
è scatola
è arca
cigno o scrigno
è blastula
da cui il tatto sospende immagini
sinestesia che annida radici, tronco e
cordone nel grembo
ove il vento tocca il seno del mare
Adriana Ivancich e E.Hemingway |
Hemingway andava sul nero, questo è
chiaro, V.S. sul bianco e la paura coriale, suono del ventre, acqua o suolo che
non è placenta, né albero, tra l'anima dell’uno, metti lo scrittore americano, e
l’animus dell’Ivancich, il cavallo bianco, la figura, quella Bianca Deissi,
questo è l’assoluto Heimlich, freudiano quanto si vuole ma profondamente
annesso al mistero del gaudio.
SP| Il poemetto, quando apparve in “fermenti”,
la rivista di critica del costume e della cultura diretta da Velio Carratoni,
nel 1987, e la Ivancich si era suicidata nel 1983, aveva a fianco qualcosa
dedicato a Salvatore Fiume che, vai a vedere l’Heimlich, rinvia a Fiume-Rijeka,
all’Istria, che è la terra d’origine di
Adriana Ivancich, cognome che, come sostantivo croato, corrisponderebbe alla
margherita che in una Bianca Deissi e negli infiniti aranceti che dovrebbero competere
ai tuoi nonni latifondisti entra sempre in scena, così, bianca deissi, annida
una stasi esistenziale, diciamo che la luna in superficie ne boicotta i
fantasmi?
Intervista di Simona Pisani | Tabloid |
VS| La Bianca Deissi l’ho scritta appena dopo l’uscita del libro di
Laing, l’ho letto e l’ho scritta, la Ivancich era ancora in vita, ma io non
sapevo nemmeno chi fosse e dove stava, tu pensi che per una sorta di corrispondenza
Heimlich attivata dalla paura coriale e dall’ansia blastocistica avrei potuto
chiedere a Enzo Tortora, che era mio collega per “Il Monello”(in cui eravamo
ognuno titolare di una rubrica), di fare entrare in scena la figura, la Bianca
Deissi a “Portobello”?