V.S. Gaudio
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La posa
quotidiana della Gru,
l’immagine del
vento
Quali promesse
chiamano africane
le snelle gru
per cielo?
Possenti vele
cinerine aperte
gridano
turni ritmi lontani a notte gru-gruu
ondeggianti
triangoli
semicerchi parentesi di stelle
firmamento
mobile accordato
solfeggio
celeste gru-gruu
archi d’ali
incoccati colli tagliano
fischiano
remoti bersagli
mobili puntano
voci digiune.
Quale amore
urge sotto le piume?
Mal
d’Africa?Infuocati tramonti
tra le palme
del Nilo?
(Mario
Grasso,da Lettere a Lory,Sciascia editore,Caltanissetta-Roma 1984)
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Sotto
c’è Tui, ma l’immagine è quella del vento
non è
la serenità del lago
questo
Nove al secondo posto
che è
la gru che ha bisogno di mostrarsi
sull’alto
di una collina dove
taglia
l’albero nell’aria e preme
il
colore come se fosse bocca
finché
tra parlare,bere e nuotare
questa
linea che va dal sole all’erba
richiama
nell’ombra prima che il vento troppo largo
del
solleone chiuda il suono della notte
mischiata
di bestie e terriccio
intreccio
di mani e gambe,occhi e piedi
solidi
e dita che vanno spezzettandosi
la
riga iniziale Nove non è come quella superiore
né la
longitudine di Anaheim può essere percepita
come
la luna quand’è quasi piena
se
fosse il lago tutta la serenità sarebbe nel segno
questo
rallegrarsi che d’altro canto sta all’occidente
e come
la bocca cammina allegra solo se è autunno
invece
è l’incavatura del legno
che
come il body elastico s’incolla nel movimento
delle
gambe questa potenza verticale
pondus
tassonomia di un’antica macchina da guerra
ralliforme
ectomorfico oggetto gracile che folgora all’istante
dalla
trave da cui chiama gr
e da
dove deve essere afferrata grhya
è un
volo terrestre, forte e robusto,
è
all’orizzonte prona questa spaccata
verticale
posa meridiana alle 18 esatte
quando
è freddo il cuore del mare[i]
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attraverso
la tavola,Tisch,o la trave,
quest’orizzonte
che passa al meridiano
per
mezzo,durch,di questa incavatura del
legno
il
volo sospeso della gru
la
morsa del pertugio, o il sacro vizio,
Hole
Vice o Holy Vice,
o il
vizio che mette in buca, Hole Vice,
la
morsa che apre una falla,The Hole,
come
questa stretta spinosa
che
non è una strong exclamation
of surprise or anger come “Holy fuck!”
ma
un’esclamazione di bonheur
assoluto,
“Dio,che
stretta!”, la Santa Morsa
del
buco stretto di Hollie Vise[ii]
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la
posa quotidiana, che apre una falla,
con
questa malizia verticale,impalata
questo
meridiano di donna
questo
pomeriggio ad Anaheim
appena
dopo la controra questa fessura,
Hollie,
o la presa che tira su
della
gru, che è Crane, o è il buco che ti
prende
Dürka
a Vladivostock questa faccia russa
rannicchiata
in una femmina nella vodka
in cui
senti che la tua pena se ne sarebbe andata
in
fondo alla frescura
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in una
definitiva fissità in cui lei
è la
mia obbligata ospite,in cui la mia
fantasia
si avventura sempre più di fronte
al
verso che termina e quantunque mi sia
concesso
è in questo modo che intendo
prestarmi
al suo bagliore didonico
sospendendomi
nel volo immobile
in
questa grandissima virtù di un angolo a 180°
che
sostiene il meridiano nella cavità che
o è
alloro spinoso che rende ancor di più
assoluto
il pertugio oppure questa morsa
essendo
la celebrazione visiva di un nome
che
senza contenere contiene già in superficie
la
sacralità della morsa, o del vizio, che in ogni caso
è la
ginnastica della migliore annata
come
se la Benedetta Morsa ,
Holy Vice,
portata
sulla scollatura delle gambe
che
sta preparando il volo questa musica
dall’aria
madida e calda che si infiltra
dalla
longitudine di Anaheim il volo della
splendida
gru di Vladivostok o di Houston
che
vola sullo stesso grado del sole
di chi
sta spiegando il suo dio
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muso e
caviglia intanto contro il polpaccio
di
legno all’interno dell’arco che senza rumore
balza
in mezzo al cielo questa linea
che
tra 16 gradi finirà con il tagliare il sole
luce
che s’allontana e ha la polvere
come
se ci fosse tra ventre e natiche un vento
fermo
un passo molto vicino all’occhio
tanto
che smussa braccia e gambe e
la
linea dello gnomone questa piegatura che
è un
sentiero tracciato all’ombra un po’ sopra
il
tramonto dove lungo il dorso della mano
ad
altezza d’occhio sull’orizzonte c’è la groppa
che
semplicemente vibra tra mani e dita e
risale
a posarsi sulla pelle vicinissimo alla vista
là
dove la linea dell’orizzonte va aprendosi
al
podice ad occidente
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ed è
qui che chi guarda
vede
la stretta, la linea spaccata cade
orizzontale
e va aprendo ciò sta stringendo
come
se fosse un po’ obliqua quel tanto
perché
passi di mano in mano nel senso
che
possa essere toccata dallo sguardo
in
questo golfo in cui tutto si richiude
polvere
e sole,lacca di garanza cremisi e
bianco
anche se per essere così verticale
il
buco ha il colore rosso uccello che va
fino
in fondo alla luce che sta venendo
dal
punto dei 16 gradi prima del tramonto
non
c’è scalpitio, né rumore, né richiamo
o
grida in platea o sulla strada prima di
afferrare
gambe e braccia, piedi e muso,
testa
e dorso fino alla bisettrice dello gnomone
che
dal fondo lungo il piano della spaccata
rovescia
fin sopra alla mano che allunga
il
tempo tutto il clamore muto del godimento
●[da: V.S.Gaudio, La Gru di Anaheim.Il passaggio di Dürka Tiskj
al meridiano 117°50’ W, © 2005]●
[i] In un saggio
sulla pittura di Piero Guccione,Mario Grasso,rilevando una sinestesia
mercuriale nelle aure termiche dei quadri del pittore,fissa sul quadrante
dell’orologio i quattro punti fissi e riferenti dei quarti:mare verticale =ore 12,00; cuore
freddo del mare =ore 18,00; ombra sul
mare = ore 9,00; luna nascente sul
mare =ore 15,00: cfr. Mario Grasso,Azzurri,Meridiane
dell’Es, in: M. G.,La Danza delle Gru, Prova d’autore,Catania
1999:pp.37-46.
[ii] La Gru
è il nome di una delle posizioni di coito descritte da Aretino:”Così ancor si
chiama il secondo, e stando pure a quel medemo modo, ma la donna alza una
gamba:chiamasi La Gru ”(Aretino,Il Piacevol Ragionamento,Dialogo di
Giulia e di Maddalena, 1530-1531). Questo dialogo è attribuito all’Aretino e conosciuto
anche come “La puttana errante”:il “medemo modo” è il primo in cui “l’uomo e la
donna stando in piedi tengono le piante in terra, e voltandosi viso con viso, e
chiamasi La Potta ”,dice Giulia.”Chiamasi anche Fa in Pié”, aggiunge Maddalena. Il poemetto
“La puttana errante, formato da tre brevi canti in ottave di 138 stanze,
stampato a Venezia nel 1531, è di Lorenzo Veniero:”Chi fotte a gambe in collo,
a la Gianetta ,/Il
ranocchio, la grue, la potta indietro,/La chiesa in campanile, e la
staffetta,/Con il cazzo dinanzi, e ‘l cazzo dietro,/Et ogni modo ch’a fotter
diletta,/Quando si parla e quando si sta cheto,/Perché il chiavare ha settanta
due punti,/Senza molt’altri ch’ella havea aggiunti”.