La bonaccia di Aurelia Mazzacane ♥ I nuovi oggetti d'amore

Quando conobbi Aurelia Mazzacane[1], che, a dire il vero, i familiari chiamavano, con la pronuncia tipica della “a” e della “h” commutata nel suono “gh”, “Ghurelia”, Ghurelia Mazzacānë, era sulla spiaggia, tutta a pietre, e, senza guardarla, era stesa in una sorta di nageur che ora ne fanno un pezzo  da 500-600 euro “La Perla” e la “Maison Lejaby” che non fa che innalzare il (-φ) di qualsiasi visionatore, ogni volta che uno ci pensa , al 4° grado che Eric Berne, buon’anima, chiamava “orgoglio peyronico”, capite adesso perché non la guardavo, ma si sa che è proprio quando non la guardi direttamente che la stai osservando fin dentro il punctum che ne faccia il tuo oggetto “a” irredento e perenne per  migliaia dei tuoi prossimi piaceri singolari; allora: Ghurèlia stava lì nel suo patagonico nageur, e lei mi disse: “Oh, Enzu’, sai da quando volevo conoscerti? “, e si tirò su e cominciò a lanciarmi sassolini addosso, più giù che su, per via degli occhiali, e fu così che me innamorai, non per via dell’amore, che non potrei mai amare nessuna perché l’amore, l’amore del (-φ) , intendo, è tutto per mia moglie, ma quella volta mi innamorai, come dire?, a cazzo, di Ghurelia Mazzacane.  Oh, Dio, non è che la presi in disparte e le dissi: “T’amo a cazzo, Ghurelia, per via del tuo nageur, o maillot de bain, se vuoi, sei proprio una Mazzacane patafisica!”; anche perché c’era il fidanzato, che, poi, non sposò, ma questa è un’altra storia. L’amare a cazzo è contiguo o quantomeno è connesso allo spirito del libeccio, che, si sa, anche per via di una ragazza così patagonica stesa al sole in quel suo nageur da mazzacana, è audace e, nello stesso sottosoffio, sistematico; e, questo ora ricordo, lustri dopo, mi fu opportuno parlare proprio delle avventure audaci e sistematiche dello spirito del libeccio[2].
Test di Vuesse Gaudio
Un Rosso Miao...
"Donna Moderna" n.12,
Arnoldo Mondadori Editore,
Milano 7 giugno 1988
La combinazione tra giallo e rosso, scrissi, porta tre varianti, mi riferivo a quanto nella rubrica dei Test che curai per “Donna Moderna” fosse entrato in quanto colore:
1) lo spirito aperto e conciliante che soffia tra le grandi imprese e le avventure audaci; 2) lo spirito vivace e la versatilità che soffiano sull’ostinazione sistematica; 3) lo spirito discontinuo tra slancio e capacità d’azione.
Tre varianti per l’animus della donna(che è pur sempre la pelle del tergo per l’aderenza del suo maillot de bain), o, quantomeno per l’oggetto “a” femminile[3].
In sostanza, il libeccio, che si abbinava all’arancione, e che, a Milano, nei miei tragitti urbani non ho mai sentito che vento ci fosse, né mi era mai occorso che un qualsivoglia vento abbia mai sollevato la veste di un mio oggetto “a” così avanzato e urbanizzato, ora che sono qui sulla spiaggia tutta pietre con Aurelia Mazzacane , alla stessa stregua semantica e paradigmatica dei Test per “Donna Moderna”, che spirito fa soffiare con quel suo nageur ante litteram? D’altra parte, era pur sempre un maillot de bain, che adesso li fa a pelo di pelle e di podice anche l’Adidas.

Aurelia MazzacaneQuella dell’amore a cazzo; per via del suo maillot de bain
 
Sembra che lo spirito a volte si stia aprendo e poi c’è in sostanza questa apparente bonaccia, come se sul sintagma nominale, che era l’elasticità del suo pondus e del suo nageur interconnessi, non soffiasse più quel lieve libeccio arancione, e allora la pulsione fallica si acquieta, si fa quasi uretrale, ci vuole poco, e dall’accumulazione affettiva e  dalla sintomatologia quasi feticistica si passa alle conversioni spasmodiche dovute allo schema verbale della pulsione “e”, che è quella uretrale, che soffia dentro, è come se il libeccio  si commutasse  in bonaccia mazzacane: dall’arancione, dai colori fallici rosso e giallo, all’apparente quiete, che, però, è dentro la sintomatologia esplosiva del colore uretrale, che, allora, come sarà?
 Sottentra nella bonaccia mazzacane quello che come immagine può essere una spiaggia di pietre , un mezzo vento di Marte, che, se non è il libeccio, che è da sudovest che scompiglia il dono di sé e alimenta lo step-style tra spirito di distruzione e spirito realista, allora è evidentemente questa bonaccia di Aurelia, la bonaccia marziana, la bonaccia della Mazzacane che ha lo step-style tra la dolcezza  di uno spirito esplosivo e la collera di un fuochista travestito da pompiere. Il colore dello step-style della bonaccia mazzacane, tolto il nageur che è tra il grigio e il beige, è di un giallo lieve, anche il limone, se vai a vedere, è nel paradigma della bonaccia mazzacane, come la sabbia e la pietra pomice, il ciclamino anche e l’ocarina.
O forse è il blu nero, che è il colore dell’incantesimo, seppur nella misura breve del sintagma quieto e nominale, una sorta di miraggio condensato, o un segreto, che non è detto che non abbia verbo, sangue, corpo e sesso. Dentro le cose, questo stile della contuizione , da contuitus (più come “sguardo” che come “vista”, fino a rendere immobile e nominale lo schema verbale deponente del “contueor”  di “guardare con meraviglia”), opera una sorta di contrazione tra conscio collettivo e conscio personale, senza per questo accedere al significato nascosto di una cosa o di un sostantivo-archetipo, non c’è la procedura osmotica mediante un piano affettivo fatto di sentimenti, di simboli, di analogie, è apparentemente la strada della mistica ma ha l’adesione magnetica, breve, dell’amore fisico, tanto che il pansensualismo cosmico, che è sempre poco accessibile, che di solito si concede alle donne nate in marzo o con Giove e Luna nei Pesci, in Ghurelia ha qualcosa di ancor più marginale, come se quel suo step-style della bonaccia mazzacane avesse una lunghezza d’onda criptata: la dinamica, ma si trattava invero di quietudine di Marte, della bonaccia mazzacana[4] non ha mai una coscienza cosmica ma è come se frammentasse non solo il reale ma anche l’etica, non ha sentimenti, simboli, analogie, è sempre dentro questa pulsione un po’ gialla e un po’ blu-nera, una sorta di meccanismo fantasmatico che fa soffiare sempre la sua  bonaccia somatica della Mazzacane tra la quiete degli schemi verbali e l’inquietudine dei sostantivi-archetipi. Per come tira ed è elastico il nageur, su quell’assetto somatico quasi ectomorfo, ma teso e morbido, di Aurelia.Era  quello lo stile della duplicità: che non sa se cedere ai fenomeni di possessione o se farsi ossessionare dai fenomeni di conversione. E’ la bonaccia mazzacana[5], che lanciava sassolini verso (-φ) del poeta. La navigatrice delle pietre grosse e i ciottolino verso il giovane poeta nipote di Mia Nonna dello Zen che, per via delle grosse pietre, era quasi omonima, per nome e cognome, di Ghùrelia Mazzacane[6]!
!by V.S.Gaudio    da: I nuovi oggetti d’amore   


[1] Mazzacanë è, nei dialetti locali afferenti allo shqip, la “pietra grossa”, quella che, appunto, serve per “ammazzare cani”. Macakàn, si legge Mazakàn,  e al plurale prende la “e”: Macakàne, Mazacàne. Non è un caso che, poi, entrai nella storia di Aurélia Gurmadhi, Aurélia Steiner di Durazzo: Gurmadhi, in shqip, può significare “pietra grande; pietra grossa, petrona”.
[2] Sobillato da un post di Gianni Sinni, su “Il Post”, che dava all’arancione, il colore del vento che accomunava la vittoria alle elezioni amministrative di Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli.
[3] E quindi, nel caso del vento elettorale, riferendomi all’elettorato femminile, accennai alla pulsione che combina i due colori fallici, il rosso e il giallo e, quindi, alla scelta vincente dell’arancione, che era l’elemento cromatico del vento della vittoria in quelle elezioni amministrative riguardanti due città metropolitane così diverse, una avanzata urbanizzata, la cosiddetta fascia dell’Italia Metropolitana, e l’altra arretrata altamente urbanizzata, che è nella fascia dell’Italia dispersa e affollata.
[4] La quietudine di Marte, versus la bonaccia mazzacane, se fosse al polo Sud, “scorsi i primi ghiacci galleggianti il 14 marzo, a 55° di latitudine. Il Nautilus navigava in superficie(…).Verso sud, all’estremo orizzonte, si stendeva una fascia di un candore abbagliante. A questo fenomeno i balenieri inglesi danno il nome di ice blink, cioè “bagliore di ghiaccio”: per quanto spesso sia lo strato delle nuvole, questa luce che preannuncia la banchisa, non si offusca mai”(Jules Verne, Capitolo XVIII.Il polo Sud, in:Idem, Vingt Mille Lieues Sous les Mers © 1869), sarebbe l’ice blink, il bagliore di ghiaccio. Che sembra, anche alle latitudini dell’emisfero boreale, inesplicabilmente connesso al 14 marzo. Questo stesso step-style mi fa pensare, in musica, al recente fenomeno di Joan Thiele, per la quale abbiamo parlato dell’Hot-line Blink nella puntata 28 de “La posa del caffè e lapsicanalisi”, su pingapa l’8 gennaio 2016.
[5] Noi abbiamo prestato l’I King alla poetica permettendone la definizione in merito agli Indicatori Globali usati da Abraham A.Moles per analizzare l’immagine o lo schema. Adottando il metodo di cui abbiamo già riferito in studi sulla somatologia poetica (su Cesare Ruffato, Amelia Rosselli, Ginestra Calzolari, Marisa G. Aino) vediamo come si forma l’esagramma dello stile di Aurelia Mazzacane, che non è poeta ma è semplicemente sulla spiaggia tutta pietre in tenuta da nageur: al 6° posto la densa iconicità fa ottenere una linea intera; al 5° posto, la complessità contenuta ci dà un’altra linea intera; al 4° posto, l’ambiguità alta corrisponde a un’altra linea intera; al 3° posto, la pregnanza elevatissima è quella di un’altra linea intera; al 2° posto, la carica connotativa sommersa, quasi segreta, e talmente intensa, attiva un’altra linea intera; all’inizio, il codice più ristretto che elaborato, quasi pubico e da bagliore ainico per via del patagonico canale di mezzo, disegna una linea spezzata . Il trigramma superiore è Ch’ien, il Cielo, sotto il quale soffia Sun, il Vento, e non poteva essere altrimenti, tanto che l’esagramma dello step-style della bonaccia mazzacane è il 44. KOU, il farsi incontro, o gli incontri improvvisi: dalla mancanza di pelle che attiene alla linea della pregnanza, come se come sintagma il camminare a volte fosse gravoso, al melone coperto della complessità,tra pelo e pelle, anche del culo,  le linee sono celate, e l’immagine è quella che al di sotto del cielo c’è il vento, l’abbiamo visto, tra il giallo lieve e il blu profondo, l’immagine degli incontri improvvisi della bonaccia mazzacane, e sopra, la linea intera dell’iconicità, dice l’I King che si fa incontro con la sua carne e la pelle-nageur, la mazzacane navigatrice, è come se ci tirasse un po’ fuori dal mondo, o dalla linea dell’orizzonte, da cui  la contrizione, lo sguardo dentro le cose, quella spinta sotto,non sempre sotto l’ombrellone,  quell’imbattersi in bilanciate anomalie, abbaglianti quieti, opinioni chinate, lunghe fibre riavvolte, l’istante dell’esplosione iniziale, turbolente seduzioni, due energie, nulla di particolare prima del ritorno nella bonaccia .
[6] La nonna del poeta è, in quell’anagrafe della spiaggia tutta pietre, Aurelia Petrone,  speculare a quella giovane Aurelia Mazzacane di questo elogio e all’Aurélia Gurmadhi, la Petrone di Durrës.