♪ Il poeta e la parte posteriore 5’3”
Questa donna
più brevilinea che normolinea alta posteriormente 5 piedi e 3 pollici amò
follemente un giovane poeta all’incirca
per tre giorni o trentatré ore, se vogliamo tremila e trecento trentatré
secondi; lo incontrò per caso il quarto giorno, dopo che era stata a farsi
vedere il drop giocando a tennis, quando ormai aveva cessato di amarlo da
almeno sei ore. Inizialmente fu un incontro lievemente imbarazzante, anche per
via del suo drop che era stupefacente, peggio della Sharapova, nonostante la
tennista russa sia un pezzo di longilinea mesomorfa che, dall’alto, quando fa
la goccia, si sa, è terrificante. Tuttavia, il colloquio si movimentò, quando
risultò che anche il giovane poeta aveva cessato di amare la donna brevilinea, esattamente cinque ore e
trenta minuti prima. All’inizio, questa scoperta, che il loro folle amore era
comunque cosa del passato e quella storia del cinema e dell’altezza posteriore,
e che probabilmente avrebbero cessato di torturarsi con domande penose e
inevitabili, dette alla donna e all’uomo una certa ebbrezza di letizia; e nonostante lei fosse incazzata
come non mai, in sostanza parve loro di vedersi con occhi di amici. Ma l’ebbrezza
lieta fu effimera, la donna si rammentò di quella mezz’ora di differenza, e
anzi ricordò che il giovane poeta era nato all’alba, cinque ore e mezza dopo
mezzanotte, e allora cominciò a urlargli che era un poeta del cazzo, un fottuto
cazzone che sol perché era del solleone pensava di averlo più duro e grosso
degli altri, e che lei aveva avuto dei colpi da altri attanti che, loro sì, che
erano dei cazzuti perseveranti , altro che trentatré ore, che, se vai a vedere,
tolte le pause per mangiare, lo spumante, i caffè che stai a fare caffè ogni
trentatré minuti altro che fottere, poetino caffeinomane del cazzo, ah, quello
della posa del caffè, vaffanculo tu e
quell’irrilevante pistolino che ti cade là sotto, il droppino dello spinno oh
gaudio come vengo subito! Altro che
amarezza, frustrazione, rancore, come nella centuria Quarantanove di Giorgio Manganelli[i]; e
nemmeno il poeta provò a dirle che in verità quella sua mezzora in più rivelava
in lui una costanza affettiva moralmente superiore alla sua. Ma lei, come se lo
avesse intuito, ribatté che la sua costanza era fuori questione, ma è che in
realtà ti si è ammosciato trenta minuti prima, anzi forse il giorno prima, non
ce la facevi proprio, altro che la famosa storia dell’altezza posteriore, e
quel 33, con cui vuoi alludere alla Misteriosa
del Foutre du Clergé de France, e quindi alla faccenda del posteriore. In
quella mezzora in cui ti ho amato di più, gli disse, cosa è che ho amato, un
essere spregevole e frivolo, un sensuale della posa del caffè, un singolarista
della Battaglia dei Gesuiti, ma non ti
vergogni, che onta! E il poeta cercò di farle notare che l’onta, giacché non si
amavano più, qualora ci fosse stata, adesso non c’era più, il problema poteva
considerarsi superato, e comunque le sue amare e triviali considerazioni poteva
andare a farle con quel vigore da un’altra parte, e così dicendole tradiva
insieme la paura e il fastidio. Tanto che la donna gliele cantò ancora: la fine
del nostro rapporto, coglione estinto, è non già un conforto ma solo l’indizio
che qualcosa di pravo era stato fatuamente consumato, anche in quel cinema, e
all’ombra del mio posteriore, e, vedi, sibarita infimo, le cicatrici, i danni,
il dolore incancellabile! Fu allora che il poeta si mise a urlare e a cantargliele
pure lui, e in quel controcanto ci fu un grande odio, un odio ripetuto e
meticoloso, travolgente, quella differenza di trenta minuti e quell’altezza
posteriore di 5 piedi e 3 pollici era davvero qualcosa di atroce , qualcosa che
era accaduto che avrebbe reso impossibile la vita ad almeno uno dei due, il
poeta non ricordava se al cinema lei era in minigonna o con quegli skinny-jeans mai visti, un capo
della Nordstrom, che, gridando e cantando un’ora intera o per tutta la sera,
lei era come quella commessa alla Rinascente al reparto alto della Lingerie,
destinata, così parve in quel tempo al poeta, al più turpe turismo, per via di
quel podice e quelle gambe, che, in mezzo a tutta quella seta, stavano tra il
cammino, lo spettacolo del rituale e le divinità più zoccole della Magna Grecia,
così come se fosse la poesia, che è uno dei disturbi più diffusi dei nostri
giorni, e che, come dice Sarenco, oltre che sull’intestino deve agire sul fegato
e sulla bile, ed è anche il naturale stimolo della funzione intestinale, il
poeta la guardò, quella zoccola che aveva amato per trentatre ore, comprese le
ore della posa del caffè e le pisciate infinite alla Sanguineti, e le disse che
è la tua voce che mi manca, della letteratura medievale mi piacciono i fumetti
di Dago, perché chiava sempre l’attante femminile di passaggio, che ha quella
virtù che hanno le donne quando fanno le troie che sanno aspettare e trionfano
sulla lunga distanza, soprattutto a primavera, e in autunno nell’emisfero
australe, d’accordo, quando siamo usciti dal cinema, ci siamo ritrovati nella
notte tu addossata a quel muro e dopo averti calato i jeans facevi la
misteriosa in piedi, e allora come avrebbe potuto essere la 33 se il vento che
volava sulla facciata di quel palazzo anche così era troppo alto per i tuoi 5
piedi e 3 pollici? Canticchiavi piano, la bocca contro il muro, eri nella 35,
ma non potevi essere la sentinella, perché non c’era nessuna porta socchiusa né
le note del valzer lontane, ero un poeta bandito per quanto fossi anche un bel
coglione e la stagione era una delle più dolci, anche in silenzio, non c’erano
ancora graffiti urbani, e tu non eri una piccola borghese col culo gonfio e
brevilineo che, dopo trentatre ore,
anche un poeta tenero e prodigale si ricorda che dopotutto il poeta è
pur sempre, anche a Torino o in Val Padana, un pendolare della Culabria.