⁞ randomizzazione in wordle del nome verticale KARAFIL→ qualcosa come AFRIKL vs ARIK L
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La
leggendaria impresa di Karafil
il Maestro dello Spirito che vola nella Controra v
Quando si sente
rievocare il Maestro dello Spirito che
vola nella Controra[i], della Prima
Famiglia ‘i Parrotë[ii],
con la sua famosa impresa, nota col nome di “L’accovacciarsi del corpo acciocché lo Spirito voli nella Controra”,
molti si domandano che cosa sarà mai stata questa impresa, visto che,
trattandosi di volo e di corpo che si accovaccia, lo spirito come avrà fatto a
volare?
Ebbene, io ebbi
occasione di seguir da dentro questo leggendario avvenimento e posso fornire su
di esso particolari, se non addirittura
piccanti o volgari, per lo meno poco noti[iii].
Le maggiori difficoltà
che il Maestro incontrò nella preparazione dell’esercizio pomeridiano furono
soprattutto dovute all’enorme distanza che separava l’un dall’altro gli allievi
o i seguaci del Maestro, scaglionati qua e là nell’infinita distesa, non
essendoci nell’arco compreso tra i punti
33SXE312142 e 33SXE302124 ,
relativi all’arco che porta al
cosiddetto Delta del Saraceno, altri all’infuori di loro.
Benché ciascun allievo
fosse perfettamente solo, in un raggio di parecchi chilometri, e benché
l’approssimarsi di estranei sarebbe stato notato a grandissima distanza, causa
la tipica conformazione della carrareccia percorsa dal Maestro nella Controra, pure era
impressionante vedere come ogni allievo o seguace si circondasse di
precauzioni, non rinunziando a nessuna di quelle forme esteriori che
caratterizzano appunto il modo di fare degli allievi del Maestro dello Spirito che vola nella Controra: si moveva cauto,
nascondendosi dietro un oleandro, rimpiattandosi ad ogni alitar di vento e
restando a lungo in questa posizione di cui nulla, in definitiva, giustificava
la necessità; quando doveva rialzarsi e guardare il mare, faceva lunghi giri
per non destar sospetti (non si sa in chi).
Intanto – e questa era
la parte più difficile dell’impresa- il Maestro
dello Spirito che vola nella Controra era occupato a tenere unite le file
degli aspiranti alla librazione in volo dello Spirito accovacciando il Corpo.
Faceva la spoletta dall’uno all’altro degli aspiranti all’evacuazione
all’aperto, portando ordini e notizie e dando istruzioni per quando fosse
giunto il gran momento. A questo scopo percorreva migliaia di metri a piedi,
essendo la Prima Famiglia ‘i Parrotë
la famiglia progenitrice degli Scalzacani
delle 3 Bisacce, per vedere un
aspirante evacuatore del corpo per il volo dello Spirito in un paio d’ore. Né
lungo la carrareccia o il binario morto incontrava altre persone. La maggiore
difficoltà incontrata dal Maestro fu appunto quella di tenere unite le file
dell’evacuazione. Portava i messaggi dall’uno all’altro seguace, sparsi
nell’infinita radura prima che iniziasse il Delta del Saraceno, a distanza di
migliaia di metri l’uno dall’altro.
“Al momento stabilito”
spiegava, e il momento stabilito poteva variare a seconda della stagione, è
evidente “ voi vi accovaccerete tutti senza clamore.”
“Chi tutti? Qui ci sono
soltanto io. Il più vicino è a trecento metri, lo vedete no? Maestro, vicino a
quell’oleandro!”
“Be’, vi accovaccerete
tu e lui, dopo avervi calato i pantaloni, state attenti, a volte basta una
fibbia difettosa. A proposito, la tua funziona bene?”
“Maestro, se volessimo
accovacciarci in 3 al momento dato, c’è pure mio cugino di Albedona che si
potrebbe accovacciare nel mezzopunto tra me e quell’altro laggiù, che ne dite,
o Mast Savé?”
“E va bene. Allarghiamo
a tre, la prossima volta. Ma non un ombrone in più, specialmente d’estate,
altrimenti rischiamo di non “gaudiare”[iv] più di tanto il podice
del corpo. Del resto, non credere che il moto evacuatorio si limiti solo a 3
unità per via delle 3 bisacce. Tutto il territorio prima del Delta è compreso.
E ci sono altri che anelano alla librazione in volo dello Spirito anche nei
Giardini.”
“Ah, la Madòsca, un
territorio di niente, Màst Savé!”
“Eh,sì, siamo già tre
qua e tre nei Giardini.”
“Ma potrete controllare
l’evacuazione in tutto il territorio?”
“Se ci fosse l’elicottero
per i rilevamenti fotogrammetrici, sarebbe semplice; a piedi, è ‘nu cacamènt ‘i càz, ma sono o non
sono ‘u Màstr di Scalzacani?”
“Allora, siamo a
cavallo.”
“Quello o ce l’hanno
gli zingari o, a ciuccio, gli ombroni. Lo spirito che vola nella Controra,
quelli se lo sognano.”
Il Maestro dello Spirito che vola nella Controra seppe sempre
mantenere un morboso interesse intorno alla propria persona, a causa degli
sforzi che faceva per percorrere ogni giorno quella carrareccia, per passare
inosservato, per scomparire nell’anonimato, dietro un oleandro o, arrivando al
Saraceno, dietro una di quelle enormi pietre da cui aveva origine il cognome
della madre. La cosa era abbastanza facile in quella località e a quell’ora,
non c’era mai nessuno e nessuno poi mai l’aveva mai visto. Ma bastava che ci
fosse un aspirante marinaio sulla spiaggia, che andava apposta per far credere
al Maestro che lui era proprio un pescatore, a volte si tirava dietro la rete a
strascico e lo chiamava urlando:”Mast Savé, vènë aqquà, ca’ tiràmë ‘a
sciàbbîchë!” E il Maestro si dava un’aria indifferente, da campanaro. Però lo
si notava, anche perché era soprannominato, dagli arbëresh, “Karafil”, ‘u garòfënë.
Certe volte, si
nascondeva per lunghe ore dietro un oleandro, anche se non doveva ancora far
volare lo Spirito, per non essere visto da eventuali sedicenti marinai, se non
da operai delle ferrovie se non da scalzacani che dicevano che stavano andando
a fare la guardia al bosco del Torinese a 112 nel Pantano dove avevano
confinato il “Maestro del Mare e della
Pesca Miracolosa quando il poeta deve irrigare e raccogliere i pomodori per
tutti e tre i mesi dell’estate”. Disgraziatamente, non passava nessuno.
Certe volte passava il Maestro camuffato, a volte anche a dorso di mulo, e col
basco di Salvatore Giuliano.
“Ma chi sarà quello?”
dicevano i sedicenti pescatori, e anche alcuni “vignaruli” che portavano i
fichi per scambiarli con i pesci che i sedicenti pescatori avevano la mattina
comprato in piazza davanti alla bottega dove Salvatore Giuliano, o almeno uno
che si faceva chiamare così, faceva
finta di fare il falegname[v]; “ chi ‘na ‘mmùrt, volete
vedere che è Màst Savèrij?”
“Macché! Ha il basco
del fratello, ma non può essere il fratello, perché quello è il “Maestro della Falegnameria Tanto per far
vedere che facciamo i Falegnami”[vi] e poi, a quest’ora, sta
dormendo, c’è il nipote che sta
guardando la bottega, con tutti i clienti che tiene!”
Dopo un po’, lui si
toglieva il basco, e quelli: “Ma è un altro. Non è lo stesso di prima. Che fine
ha fatto Màst Savèrij?”
Si fingeva Salvatore
Giuliano, come faceva il fratello, ma quello, mica lo fregavi, stava nella
controra a pompare la moglie, tanto la bottega la guardava il povero fanciullo
che leggeva “Il Grande Blek” e “Capitan
Miki” e, poverino, se doveva pisciare, doveva pisciare in un barattolo sporco e
puzzolente dove tra l’altro ci tenevano la nafta che compravano a Pisticci.
Malgrado la sua
costante cura di mantenere l’anonimato, di non farsi notare, quello che mai gli
riuscì, in tutta l’impresa della evacuazione per librare in volo lo Spirito, di
pubblicare un articolo sul fratello che si faceva passare per Salvatore
Giuliano e che invece aveva la moglie che aveva, stranamente, la terra anche
lei nel Pantano dove avevano aperto un distributore di benzina, quando era
venuto fuori il coso di Pisticci.
Se si trovava a passare
un cronista mondano, immancabilmente appena lo vedeva, faceva una telefonata
“R” al rotocalco a Milano:”Notato fra i presenti il Maestro dello Spirito che
vola nella Controra dietro un oleandro che c’è sulla carrareccia fiancheggiante
il binario morto che si snoda da 33SXE311139
a 33SXE302124 del Foglio n.222, Trebisacce , IV S.O. Carta d’Italia
rilevamento 1949 IGM”.
La sfacchinata maggiore
Màst Savèrij la fece quando dové portare l’annunzio decisivo: “Tenetevi pronti,
l’evacuazione è fissata per l’ora tot, minuti tot”.
Al momento dato, ognuno
degli aspiranti doveva fare l’”accovacciarsi” del corpo dietro l’oleandro a lui
assegnato, se era lì sulla carrareccia, o sotto un arancio se era nei Giardini.
Per ottenere la simultaneità, data l’enorme distanza che separava fra loro i
seguaci dell’evacuazione per lo Spirito che voli nella Controra, l’annuncio
decisivo dovette essere dato con qualche
giorno d’anticipo, e si sperava che non piovesse proprio quando si erano
accovacciati.
Anzi, a questo
proposito s’ebbe a deplorare più d’un caso di aspirante che aveva dimenticato
di slacciarsi la cintura, anche perché alcuni la cintura non l’avevano mai
posseduta e, quando scoccò il momento fatale, rimase con i pantaloni non calati
o, peggio, stanco dell’attesa, facendo aria, se l’era fatta addosso e quindi
sbagliò momento o la fece fuori zona; ma, malgrado questi inconvenienti,
l’evacuazione di squadra riuscì perfettamente.
Ebbene, avreste dovuto
vedere quello che successe.
Al momento fissato,
ogni aspirante si slacciò la cintura, sbottonò la brachetta dei pantaloni, se
li calò e si accovacciò elevando non clamori e grida ma lo spirito del gaudio,
chiamato da loro stessi, tutti di origine arbëresh, “Gaz”[vii],
che, appunto, in quell’idioma, è la parola che indica il cognome del Maestro
dello Spirito che vola nella Controra, anche se non era in quel tempo nella
contrada apposita di Pisticci. Ma lo spirito, anche quando vola nella Controra,
disgraziatamente, nessuno al mondo può vederlo, né sentirne l’odore o udirne lo
sgorgare, ad eccezione di colui che lo spirito lo sta facendo librare in volo
dopo aver accovacciato il corpo. Ma ciò nulla tolse alla drammaticità del
momento.
L’ora dell’azione era
stata fissata proprio per gli ultimi 3 minuti della Controra. Se qualcuno
avesse potuto abbracciare con uno sguardo complessivo l’infinita distesa della
carrareccia e dei Giardini dov’erano andati quegli altri 3 a far librare lo
Spirito a ridosso degli aranci “Parròtë”, avrebbe visto – in quel momento pieno
di poesia in cui il cielo si fa più roseo o arancione e l’aria è quasi gonfia
di salsedine – qua, un puntolino solitario che muoveva una pietra non
appuntita; laggiù, più a ovest, oltre la strada nazionale, sotto la contrada
Vitrano, un altro puntolino che si agitava come se stesse salutando con una
foglia di fico, e a volte addirittura con una foglia di nespolo, solo e
indisturbato, più in là verso il mulino ad acqua un terzo puntolino, e così
via.
L’evacuazione fu
contemporanea e fragorosa, quasi violenta, forse per la prolungata costipazione
dei giorni antecedenti, salvo i casi di dimenticanza a cui s’è accennato e che
furono, in un certo senso, i postumi della librazione in volo dello Spirito
nella Controra: per molto tempo, dopo il giorno fatale, di quando in quando uno
dei ritardatari si accovacciò per conto proprio. Ma fortunatamente nessuno se
ne accorse, non essendovi testimoni, né scalzacani, e nemmeno Mia Nonna dello
Zen, se non la sorella, Lucrezia, che era la zia che fece erede universale il Maestro
dello Spirito che vola nella Controra e lui, giacché lo spirito gli era ormai
volato via del tutto, aveva convertito il lascito al maestro elementare del
nipote, non essendovi testimoni.
Particolare notevole:
in vaste zone dov’era scoppiata l’evacuazione, non c’era nessuno addirittura;
nemmeno l’aspirante evacuatore. Certo, la scelta del luogo per questo imponente
movimento di evacuazione del corpo e di librazione in volo dello spirito fu non
felicissima ma gaudiosissima, perché evitò del tutto qualsiasi forma di
inquinamento. Dirò di più: quando la carrareccia sparì per effetto di
costruzioni abusive e anche dei Giardini non restò più nemmeno un albero di
limone, quel che sfidò il tempo e l’eternità era il persistente,
incancellabile, stressante per certi versi, odore di quello Spirito che si era
levato in volo nella Controra, tanto che succede spesso che più di un genitore
alla domanda del figlio:”Chi cazz’i puzza. Cos’è?”, risponda sereno: “E’ lo
spirito in volo di Karafil[viii] nella controra!”
v by V.S. Gaudio
[i] Cfr. la storia Zen relativa al Maestro dello Spirito…in: V.S.Gaudio, Lo Zen di Mia Nonna, © 1999.
[ii] I “Senza
rota”, “senza ruota”, i
progenitori degli Scalzacani.
[iii] Un po’ come fece il narratore di “Una leggendaria impresa”(quella del
colonnello Lawrence d’Arabia) in: Achille Campanile, Vite degli uomini illustri, Rizzoli Editore, Milano 1975.
[iv] “Gaudiare”
allittera “caudiare”[schema verbale
dialettale: dall’aggettivo “cavǐdë”=”caldo”], cioè “dare calore”.
“Gaudiare” sarebbe più onnicomprensivo e del gaudio e del calore.
[v] Cfr. 8. L’imbroglio non è solo quello che si vede, in: V.S.Gaudio, Lo Zen di Mia Nonna, © 1999.
[vii] Leggi: “Gas”,
significa “Gaudio”.
[viii] “Karafil”
è “garofano”, cfr. sopra nel testo, ma
starebbe anche per “mafioso”.