VICOLO DEI BORDELLI?
1
- Il fatto consiste nel prendere le corna da terra e
mettersele in testa. Questo mi viene da pensare nell’accingermi a reagire a
modo mio a quel che passa il convento della cronaca politica nazionale. Un
trofeo, quello che spontaneamente raccolgo, greve di significati
talmente chiari da accelerare sulla capacità individuale di cogliere il suo
lato più oscuro. Forse il meno nobile. Perché tutto ciò che viene posto sul
denominatore politico finisce fatalmente con lo scolorarsi di verità per
lordarsi di imbroglio e fino al torbidume. Non ho ragione alcuna per elogiare i
paladini di una ( o più) parte politica accorsi in difesa di chi non ha né può
(o deve) avere bisogno di difensori. Ma il gioco delle parti (politiche) esige
proprio questo genere di passi-passaggi. Quello che nessuna logica civile
riuscirà a capire è invece il comportamento istituzionale di uno o più ministri
del governo in carica al momento di sparare sul bersaglio visto e colpire un
bersaglio non visto, come per una occasione parrocchiale da vicolo dei
bordelli, tra comari che si rinfacciano trascorsi, livori e tipo di clientele .
È stata una occasione mancata quella che per comodità retorica definiremo
“politico-governativa” di esibire un macroesempio di rassicurazione al Paese
sulla credibilità, sul prestigio, sulla serietà e il valore delle Istituzioni
costituzionali (che loro rappresentano a livelli apicali). Nella diatriba di
questi giorni tra la Procura della Repubblica di Catania e il Governo con i
suoi ministri e la sua politica, chi ha perso in partenza è proprio la faccia
dello Stato in quanto tale, nel rispetto che gli si deve e nella credibilità
che non può (non dovrebbe) venire meno. E per nessuna ragione. Eppure il caso
ha voluto con l’esibizione di un crescendo di consuetudini scriteriate che sia
proprio il vertice a offrire il fianco al cattivo esempio.
2
– Il Procuratore della Repubblica di Catania – e non importa quale sia il suo
nome all’anagrafe civile o i suoi meriti di magistrato e la sua carriera, in
quanto ciò che vale è la carica istituzionale delicatissima che il soggetto
ricopre – ha pronunciato un sospetto guardando lontano con i suoi mezzi di
osservazione, quelli istituzionalmente disponibili, e senza volerlo, la sua
sensibilità di servitore dello Stato ha tolto il coperchio a qualcosa che si è
vista da vicino e a occhio nudo nella pastocchia salata del caso giudiziario
del Centro di accoglienza di Mineo, tuttavia in corso di precisazioni tra
archiviazioni e condanne . Basterebbe scavare vicino invece di cercare lontano
per capire, intanto, che non c’è nulla da capire, e frattanto per intendere
quanto il giudizio del sentire popolare ha capito in grazia a quel lume di naso
che è un mezzo di cui siamo dotati tutti. Facile trinciare giudizi definitivi e
definitori. Facile fino a memoria del manzoniano “Adesso ogni scalzacani vorrà dire la sua”. Ma i responsabili delle istituzioni costituzionali della
Repubblica italiana non sono scalzacani in vena di dire. Ed è questa la
morale civile dei fatti di cui sono piene le cronache che stimolano
indignazioni civili. Alle quali sia auspicio che siano le stesse Istituzioni
apicali a dare segnali concreti di buon senso. Anche per rassicurare gli
scalzacani sempre pronti a dire la propria, rassicurarli sulla credibilità
delle Istituzioni e il rispetto reciproco tra quanti le rappresentano per la
serenità di tutti. Che se poi una o più parti politiche provoca intorbidando e
rimestando a intorbidare sulla linea morale del tanto peggio tanto meglio,
questo va lasciato al libero gioco delle parti politiche, cosa che
comprenderanno persino gli scalzacani cui alludeva l’occasione narrativa
manzoniana a carico dello sparlacciare ingenuo
di Renzo. Che probabilmente era, anche per quella volta, la voce di chi
invitava a scavare vicino invece di cercare lontano.
3
– Giro epocale, si dice. Ricorsi cari alla memoria del Vico che ne intuì e
teorizzò le probabilità. E c’è in atto una coralità altrettanto epocale
nel pur riconoscibile mondo che si ripete col suo “Nihil sub sole novum”, una coralità demonica (Voce di popolo
voce di Dio) che non si fa sfuggire i segni insistenti rappresentabili nella figuralità di una ruota con inciso il segno del suo punto più basso. E se
si è al punto più basso la stessa figura della ruota non ci può fare sfuggire
la certezza del suo fatale benefico risalire. Eleggiamo qualcuno a trombettiere
annunciatore dell’agognato risalire della ruota che abbandona il suo punto più
basso per aderire al suo naturale evolversi. Sarà un leopardiano “Gioia vana che è frutto del passato timore”.
Pazienza. Questa è la vita! Avrebbe sentenziato Pulcinella e con lui tutti gli
scalzacani. Ma almeno avremo avuto la soddisfazione di appigliarci comunque a
qualcosa di credibile e di affidabile. E tutto questo con le scuse dovute a chi
non ci ha capito a causa della nostra mancata chiarezza al momento di dire.