VIA DEGLI OCCHI SPORGENTI
Ai
narratori di Pino Pelosi
Massimo
Sannelli
Questo non è un articolo su Pino
Pelosi, vivo o
morto. E nemmeno sul morto disadorno e
sull’Ambiguo, l’amante di Pino. È un articolo su un
meccanismo atroce: si tratta delle parole; e su
un’impotenza generale: si tratta della ripetizione. Ed è
rivolto
ai narratori del primo e del secondo, come un testo
polemico
e non fraterno.
Pino Pelosi era detto “la rana”. Perché? “Per via degli
occhi
sporgenti”. Google è preciso sulle fonti, come deve
essere
l’automa: l’espressione “per via degli occhi sporgenti” o
“per via
dei suoi occhi sporgenti” appare in Bang bang di
Pier Mario
Fasanotti e Valeria Gandus, M. Tropea, 2004, p. 223; in Il delitto
Pasolini di
Gianluca Maconi, Becco Giallo, 2008, p. 57; in Delitti e
luoghi di Roma criminale di Mario Caprara, Newton Compton, 2016
(Google non indica la pagina); in I 50 delitti che hanno cambiato
l’Italia di
Luca Steffenoni, Newton Compton, 2016 (Google non
indica la pagina); in un articolo di Giustino Zulli nel
sito
www.abruzzopopolare.it (4 marzo 2016); in Il delitto Pasolini e la
ricerca della verità di Simona Zecchi, uscito nel 2016 nel sito
www.antimafiaduemila.com.
Poi ci sono le varianti, che ogni buona filologia deve
segnalare: “Lo chiama con quel soprannome, ‘rana’, con
cui
Pelosi è conosciuto dai suoi amici per i suoi occhi un po’
sporgenti” (Ulderico Munzi sul “Corriere della Sera”, 3
novembre 1975; poi in Autori vari, Omicidio nella persona di
Pasolini Pier Paolo, Kaos, 1992, p. 46); “detto Pino ‘la Rana’ a
causa degli occhi sporgenti” in Malaroma di
Aldo Musci e
Marco Minicangeli, Castelvecchi, 2000, p. 113; “chiamato ‘la
Rana’ per gli occhi sporgenti” in La Patria, bene o male di
Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, Mondadori 2010
(Google non indica la pagina); “soprannominato ‘la rana’
per i
suoi occhi sporgenti” in Nessuna pietà per Pasolini di Maccioni,
Rizzo e Ruffini, Editori internazionali riuniti, 2011
(Google
non indica la pagina). Oppure: “Successivamente la stampa
lo
ribattezzò Pino la rana per gli occhi sporgenti, la bocca
larga e
l’aspetto poco avvenente”, in un articolo sul sito del
“Messaggero”, 18 luglio 2014.
Di variante in variante, il sintagma è identico, occhi sporgenti,
inserito in un contesto causale: l’uomo-rana è tale perché ha
gli
occhi sporgenti.
La sintesi è questa: le parole si ripetono, perché si devono
ripetere, ad un livello medio-basso di comunicazione. Uno
pensa: fa parte del gioco, e va bene. Sì, ma c’è un
fatto, che
qualche semplice annota in un thread di “Yahoo
Answers”, nel
2011: se Pelosi non ha gli occhi sporgenti, perché è la
rana?
Igor Patruno spiega: “Uno che lo conosceva bene mi ha
raccontato che lo chiamavano la “Rana” perché parlava in
continuazione, raccontava qualsiasi cosa gli fosse
capitata e nel
farlo era instancabile, come le rane nei pomeriggi d’estate”
(www.igorpatruno.it/1/pino_pelosi_la_rana_bugiarda_4739395.
html). Ma ci sono anche due voci di Pelosi in persona.
Una è
questa: “Sono stato soprannominato la Rana perché quando
sono arrivato a Regina Coeli avevo gli occhi gonfi per le
botte, avevo preso botte, m’hanno proprio menato... e così
un giornalista si è inventato questo soprannome”
(intervista
del 2008, ripresa nel sito www.videotecapasolini.blogspot.it);
la seconda voce è citata da Alessandro Fulloni nel “Corriere
della Sera” on
line, il 21 luglio 2017: “Se ridevo mi
si
gonfiavano le guance. Come una rana. Presero a chiamarmi
così. E non smisero più”.
Ci sono i luoghi comuni e si vedono. Si devono vedere.
E c’è
un mantra editoriale, che esprime – e ripete – il luogo comune:
occhi sporgenti.
Il fatto insignificante deve essere ripetuto per
decenni. Deve
diventare parte del
fatto, e il fatto deve diventare
inscindibile dalle parole che lo descrivono. Alla fine
non ci
sarà più la descrizione, ma l’evocazione: a costo di
vedere occhi
sporgenti che
Pelosi non ha mai avuto. E Pelosi, a sua volta,
ripete il mantra, con il lusso personale di interpretarlo, perché
il Soggetto è lui.
Supponiamo che il complotto per uccidere Pasolini ci sia
stato. Prendiamo l’ipotesi e lasciamola subito ai
criminologi. Il
complotto che uccide viene prima della comunicazione, per
forza. Dopo
il complotto che uccide, deve
esserci un
meccanismo peggiore
del complotto, ma accettabile, e del tutto
visibile e verificabile.
È facile trovare i dati, con Google. Segnalarli è
innocuo, e
non ci ammazza più nessuno per Pasolini. Vuol dire che i segni
non contano più di tanto, in se stessi. Conta la loro presentazione
pubblica, purché sia ossessiva e ipnotica. Questo è il
meccanismo peggiore del complotto. Lo stesso Pelosi si è
servito di questa tecnica, a modo suo: cioè ha sfruttato i media,
esattamente come l’Ambiguo in cui ha provato a trasformarsi,
a modo suo.
È un gioco di pratiche ed effetti, alla fine. Io, che pratico –
un po’ a caso – lo sberleffo e il sublime, annoto queste cose
senza troppa pietà per i morti. È chiaro che il dominio è
attivo: si vede e funziona. Si capisce anche qualche sua regola.
Ma perché il dominio esista, a vantaggio di chi, e fino a
quando, questo non riguarda gli istrioni-filologi. Vediamo le
fonti, ma non beviamo quell’acqua. Siamo sempre tra la
Wunderkammer e il palco: due
luoghi per sperare e disperare.