L’infelicità della melanzana ripiena ⁞
by Marisa Aino
Come nell’aforisma di Alan Watts in cui si
afferma che la vita è un gioco la cui prima regola è: essa non è un gioco, è
una cosa molto seria[i];
probabilmente allo stesso modo si può affermare che la melanzana è
sostanzialmente l’ingrediente essenziale per l’infelicità, a patto che la si
cucini come usa fare la moglie del poeta, sulla scia di quella traccia che Mia Nonna dello Zen ha lasciato nella
libido di quel ragazzo che poi si fece poeta e consumatore di melanzane ripiene[ii]. La fantasia è essenziale
nella vita di un poeta, anche se non ha niente a che fare con la matematica
astratta, figuriamoci se con la melanzana; la melanzana, nei sistemi culinari,
è funzionale nelle ricette a somma diversa da zero, come i giochi a somma
diversa da zero, che sono quei giochi in cui vincita e perdita non si
pareggiano, nel senso che la loro somma può risultare inferiore o superiore a
zero. Detto altrimenti, i poeti che mangiano piatti a base di melanzane sono
come quei due giocatori che, entrambi, possono vincere o perdere. Non è,
sostanzialmente, come la Tombola che si fa in famiglia a Natale, ecco perché la
melanzana non rientra in nessuno dei piatti tipici di quella festa solstiziale.
Ciò non ostante, la melanzana è un elemento solstiziale, quel terzo che solo in
apparenza sorride: loro giocano, e la melanzana, che è l’avversario decisivo,
se la ride: quel giovane poeta, che aveva la Luna Nera, la Lilith francese,
nell’orbita del solstizio estivo, stretta stretta sul punctum di Attila Marte/Urano, che non fa vivere in armonia con i
cosiddetti politici, i patrioti, i militari, gli ideologi della scolarizzazione e perfino con
Bilderberg e l’Ordine della Ruota e della Croce dello Ior, e della mano morta,
quando dovette sposarsi, l’ultima sera in cui era ancora il fidanzato di chi
domani sarebbe diventata amministrativamente sua moglie, si meravigliò che la
Nonna dello Zen lo avesse invitato a cena e che il piatto della cena fosse
costituito dalla melanzana ripiena, che è nello schema verbale dell’aver-perduto-l’inesistente, che, è stato
scritto nella posa del caffè 40 [iii],
è attivato dalla pulsione fallico-uretrale,
che è quella delle pugnette e delle melanzane ripiene [iv], e tutto intorno c’è un
mondo che vive con il principio fondamentale maschile che se il genere maschile
ha una col buco qui davanti a lui e sono passati cinque minuti e non le ha
messo le mani addosso, si crederà che quello sia un ricchione, il problema è
che oggi, o durante l’adolescenza del poeta, le donne sono notevolmente più
disponibili specialmente quando le loro madri, appena il padre esce di casa,
portano uomini in casa, che, poi, per andare di casa in casa, sono o preti, o
monaci, o quelli della folletto, o testimoni di Geova, se non valdesi ammascati, o militanti dell’Intermaffia [v]
nel loro peregrinare interforze, tutti debitamente impotenti e sposati e accasati, l’importante è che portino un
regalino per la ragazzina, o portino la ragazzina a scuola anche dalle monache
al mattino e vadano a riprenderla dopo
per farsi fare come minimo la pugnetta pre o postprandiale, ogni comportamento
diverso, nella stessa situazione, diventa così insensato e stupido che
l’ attante verrà considerato
specularmente coglione e pollo per tutta la sua disgraziata vita
connessa alla famiglia di una madre così santa e così abile tenutaria di un
bordello a gestione materna come se fosse il contesto per non essere ritenuto
da quella stessa buona donna un ricchione
fricato. La nemesi della melanzana ripiena, a patto che la melanzana non
sia quella “catara”[vi],
è che, a generazione successiva, esce fuori che la pia donna i ricchioni fricati [vii]
ce li ha nella sua discendenza, tra zingari, giostrai, ogliaroni e cartello di
maffia.
[i] Cfr. Paul Watzlawick, La vita come gioco, in: Idem, Istruzioni per rendersi infelici, trad.it.
Feltrinelli Milano 1984.
[ii] La melanzana ha come
sinonimo il petonciano che può essere
anche “petronciano”, per la
deformazione dell’arabo “badingan”. Artusi dava i petronciani fritti come
contorno a un piatto di pesce fritto: Mia Nonna dello Zen del poeta aveva, nel
suo cognome, il petronciano; mentre alla moglie del poeta afferiva, per via
dell’”Elogio del mare”, il paradigma
del pesce. Sostanzialmente, possiamo rifare il titolo della digressione: “L’infelicità,
il Pagaz o Jogaz, del Petronciano ripieno” ?
[iv] Non a caso(ma per la
pulsione fallico-uretrale…) la
melanzana è diuretica e rinfrescante, ed è anche un sedativo nei casi di
eccitazione nervosa. Addirittura Raymond Dextreit, negli anni Sessanta, consigliava di mangiarla cruda, condendola con
molta cipolla e olio d’oliva, dopo averne fiammeggiata appena la buccia per
poterla togliere più facilmente.
[v] Cfr. Le voci dell’Intermaffia e, sostanzialmente, Il poetosofo, l’intermaffia, i briganti… , in → uh
magazine
V
Non è un caso che, per le Melanzane all’alessandrina, Manuel Vázquez Montalbán, nelle sue Recetas Inmorales, tiri in ballo il
rapporto ambiguo tra Apicio e Druso all’ombra di quel pazzo furioso che si
chiamò Tiberio. In una cena di ricchioni
fricati, come li chiamava quella pia donna, questo intruglio mediterraneo, oltre
alle melanzane ci sono il miele, i datteri, la menta fresca, il coriandolo, il
garum o la pasta di acciughe, il comino, calzerebbe a pennello. Druso, per
inciso, era il fratello di Tiberio. La melanzana, anche in questo caso, ha
sempre con sé l’aria di casa, l’inquietante di famiglia, l’Heimlich
fallico-demoniaco che, nel caso del giovane poeta, è tutto agitato nell’orbita
del solstizio estivo dal punctum di
Attila, Marte/Urano/Luna Nera. La Luna Nera della Melanzana Ripiena di Mia
Nonna dello Zen?
Vi La “ melanzana catara” è
quella più adatta ai cosiddetti ricchioni fricati e forse va bene anche per le
Melanzane all’alessandrina di Vázquez
Montalbán, perché
non è che simuli un aspetto ascetico o, come la mandorla immatura detta
“catera”, una certa amara e sterile femminilità, anche riproduttiva, per cui
pare che così dicendo si vada incontro a certi fallicismi narcisistici che,
all’ombra della Santa Romana Chiesa, confinano con l’uso e l’abuso della
preadolescenza e dell’adolescenza; la melanzana catara, nell’orto di lotta tra
Dio e Satana, allude un po’ a certe sette che , abolendo la proprietà privata
degli altri, adora il diavolo e bacia il culo al gatto, che lo impersona e, a
volte, lo rende amministrativamente ufficiale nei documenti afferenti
all’articolo 6 del Codice Civile.
Marisa Aino ░ Melanzane d’Aino © 2016 |