© Life │febbraio 1941
"With the weather at 15 degrees below zero, Ingrid Bergman skis 15 miles at June Lake near the California-Nevada border.” (Bob Landry—The LIFE Picture Collection/Getty Images)
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La
pelle della Bifle e del tergo.
L’oggetto, nella sua
inesorabilità, è sempre più inafferrabile ma eternamente versatile e
reversibile: l’insolubilità del suo Heimlich
lo rende sempre più sovrano, è perciò sempre più appassionante. La
versatilità e la reversibilità permettono ad ogni transito dell’analemma
esponenziale il rinvenimento di un dettaglio, di un frammento, di una linea
spezzata che fanno in modo che il Poeta possa exinscriversi sempre più a fondo
nella figura dell’Altro. In questa vertigine dell’apparizione e della
sparizione, da questo mondo frattale passa al meridiano qualcosa, un tratto, un
segno, un gesto, un sema, la pelle che, dandosi come immagine fotografica o
nella densità se non nella pregnanza dell’immagine stessa,
ricarica il fascino turbinante dell’oggetto.
C’è in questa immagine
di Life il cappuccio e la pelle della
faccia di Ingrid Bergman, che si connette al paradigma della ragazza di Göteborg
e anche di Bibi Andersson, per via del Cinghiale, questo scrivemmo, che appare
nei segni lunari orientali, in virtù dello stellium, che condensa i vettori
dell’esserci della ragazza di Göteborg sull’asse del
patagonismo, intanto che nei segni celtici appare il Cocchiere-Vischio, in cui
il dio del Sole gode della bella Moudron addormentata a gambe divaricate in
mezzo alla pianura. La sovrapposizione di figure dell’altro, che fornisce un
piacere supplementare, che è quello della simultaneità che con Barthes
chiamammo “sibaritismo”, la voluttà dell’omonimia. Che è quella dei due piaceri
in uno: un piacere superiore, scrive Barthes, “tutto formule, perché in fin dei
conti non è altro che un’idea matematica, è un piacere di linguaggio”(1): il sibaritismo, che è la simultaneità dell’analemma
esponenziale, è nell’ordine della surfusione, del testo e dei corpi, la pelle
del podice della ragazza di Göteborg e di Bibi
Andersson e la pelle della faccia della Bergman, un po’ come il pornogramma prodotto da Sade:”Il pornogramma non è solo la traccia
scritta di una pratica erotica e neppure il prodotto di un ritaglio di questa
pratica, trattata come una grammatica di luoghi e di operazioni”(2): come Eugénie
che dice ai suoi professori “Eccomi tutta nuda, dissertate quanto vorrete su di
me” così I.B., come la ragazza di Göteborg, dice al poeta: “Non
hai fatto che fantasmare una Bifle
guardando la mia immagine, dissertane quanto vuoi e parliamone, oppure, è
meglio, scriviamone, ovvero: scrivine” perché “la scrittura sia ciò che regola
lo scambio di Logos e di Eros, e sia possibile parlare dell’erotica da
grammatico e del linguaggio da pornografo”(3). Il sibaritismo sovrappone il piacere che quella ragazza di G. si diede
come Cocchiera vischiosa in treno ai godimenti che l’analemma esponenziale
procurerà in questa fortuita Bifle
per via dell’inattesa apparizione di I.B. in questa immagine fotografica; virtù
di questa assenza continua del corpo che diviene la qualità frattale che esalta
la mente. La curvatura del tempo alterata, la precessione del desiderio, anche
il culo macinatore della ragazza di G., niente ha una definita iconicità, ma è
la realizzazione temporale del suo Heimlich,
della ragazza di G., che ha la pelle del viso di I.B., come se fosse quella
voluttà che, colta di sorpresa, violata e goduta, condensò per tutta la
traversata, in treno, la saturazione gotata o la patagonistica dell’esserci, di
quella ragazza di G. e di questa giovane donna in questa immagine di Life: c’è
una sorta di precessione di tutte le determinazioni del corpo di quella ragazza
e del corpo di quell’attrice, allora, venute, appunto, da un altrove,
indecifrabili e illeggibili, il poeta che non smette di essere sulle sue
tracce, adesso il suo desiderio è la Bifle
tra l’altezza del suo Meridiano e l’altezza del Meridiano della ragazza allora
e di I.B, nel tempo di quell’immagine. Questa simultaneità è la banale
esattezza del mondo, così carne, del tergo della ragazza e di
Bibi Andersson, e
della pelle, della faccia di I.B., pervenuta all’incanto geografico del loro
altrove, la battuta del desiderio del poeta ha la stessa cadenza del ritmo di
cavalcata che come Cocchiera la ragazza di G. mantenne in treno; che ha la
stessa grana della pelle dell’attrice dopo la sciata, che è sempre nel
paradigma della macinatura ad acqua, una sorta di cadenza a percussione svedese
che, è naturale, avrà questa Bifle così dronizzata(4)
dalla pelle dela faccia di I.B. e dal tocco agonistico della ragazza di G. La
pelle macinata ad acqua: una sorta di anello con sigillo, moneta-Zahir, touch-carezza,
resistente ed elastico, permanente e flessibile, malleabile paradigma della
durata e della ripresa, del protrarsi e dell’attraversare, del prolungarsi e
del continuo, sema e sintéma della sequenza, sfilza del penetrare, del cozzare
e serie dello spingersi. Se la ragazza ha la Luna nel segno della pelle, I.B.
ha nel segno della Luna i vettori dell’anello con sigillo e del touch-carezza, e il maestro del segno
della pelle in questo stesso spazio dell’acqua, che è anche quello della durata
e del protrarsi, la pelle della Bifle
e del tergo della sequenza e del prolungarsi. !v.s.gaudio
(1)Roland Barthes, Sade II, in:Idem, Sade, Fourier, Loyola, trad.it. Einaudi, Torino 1977: pag.145.
(2)Ibidem:pag.145-146.
(3)Ibidem:pag.146.
(4)Con tutto il sussurrarmi che ami il mio “drone”, ovvero il “bordon” francese, il bastone del pellegrino con il manico ricurvo, scrisse il poeta alla ragazza di Göteborg, ovvero la mia trave, il palo, e io ti risposi che “drone” è anche l’aeroplano o il suono ronzante, questa cadenza o percussione svedese del ch., una cadenza modronica, con quel ronzare, ronfler, che si fa rombare, tanto che non è più il brusio del drone, il fuco, ma il suono ronzante del motore, di un aeroplano(…): V.S.Gaudio, Lettera a Moudron, in: Idem, La Ragazza di Göteborg, © 2007.
(4)Con tutto il sussurrarmi che ami il mio “drone”, ovvero il “bordon” francese, il bastone del pellegrino con il manico ricurvo, scrisse il poeta alla ragazza di Göteborg, ovvero la mia trave, il palo, e io ti risposi che “drone” è anche l’aeroplano o il suono ronzante, questa cadenza o percussione svedese del ch., una cadenza modronica, con quel ronzare, ronfler, che si fa rombare, tanto che non è più il brusio del drone, il fuco, ma il suono ronzante del motore, di un aeroplano(…): V.S.Gaudio, Lettera a Moudron, in: Idem, La Ragazza di Göteborg, © 2007.