la cugina picardiene di Aurélia Steiner?
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3^ e-mail di Aurélia Steiner
attorno a sua cugina Tille Potine
Ma cousine, è questo che ricordo bene, era, sì, una patita delle
lentilles cuisinées à l’Auvergnate, ma ci fu un periodo che non poteva fare a
meno della Fabada asturiana, che in
quei pomeriggi gloriosi della nostra postpubertà era anche il mio piatto della
vertigine calorica: in tutto l’arco postprandiale il mio fantasma veniva
portato con salite e discese dalle vette dell’urlo che passava, non solo nelle
mie orecchie, con il mio oggetto a al
meridiano ai pozzi della sonnolenza, una primavera, ma sempre più che altro nel
mese del gaudio, a maggio, il mio letto era pieno di testure stimolanti, la morbidezza
gelatinosa delle pancette e la durezza ben cotta del prosciutto, fino alle
aggressive, penetranti, spezie degli insaccati.
La morcilla asturiana
tingeva di sapore d’inguine le ondate, il liquido colare, del desiderio. E come
preannunciò dopo Vázquez Montalbán che questo piatto fosse da mangiare insieme
a signore bianche, bionde e magre e con un culo sostanzioso, io, pur essendo
così giovane e magra, ti ricordi, no?, avevo un culo sostanzioso, proprio da “fabada
asturiana”, un pondus che, nella sonnolenza accaldata, deve essere o viene a
più riprese assaltato, più che assalito, da una serie infinita di tutti i
possibili peccati.
Tille non era bionda ma era magra e ossuta, e aveva un culo
sostanzioso come il mio e gli occhi verdi a cui si addicono anche le fave alla
Catalana.
Ricordo- così scrive in questa terza e-mail attorno a Tille
Potine sua cugina Aurélia- che Tille era dentro La vie tranquille [Gallimard, Paris 1944]di Marguerite Duras come
se la sua storia fosse già cominciata e la portasse là dove voleva lei, non si
sapeva dove- e nemmeno lei lo sapeva- e ne era del tutto estranea. Benché
cercasse di respingerla, lei la seguiva, tutto vi si collocava, tutto vi si
decomponeva, diventava memoria ed escludeva ogni invenzione.
Tille era Françou Veyrenattes, e come Françou o forse era
Françou stessa, avrebbe potuto essere mille volte diversa da quella che era ed
essere lei sola, al tempo stesso, quelle mille differenze.
Tuttavia, come nella foto che ti sei ritrovata sul desk, è
sempre solo quella che ti guarda in questo momento, nient’altro.
Lei è intrappolata per sempre in questa storia, in questo
volto, in questo corpo, in questa testa, ma in fondo quando ti guarda cosa vedi
se non la voragine che è lì fra le sue gambe, e quando la scopri credi che essa
si è aperta sotto di lei per opera tua, e invece lei è quella voragine di
perfidia e innocenza, e nel fondo di questa voragine, come Françou, aspetta
colui che deve venire, solo punto d’arrivo per qualcos’altro, la potinerie è
anche questo, e i poeti lo sanno quando sono veri poeti, e sai che quel fondo
di Tille, quel suo potin, è al tempo stesso il suo rifugio, il “solo rifugio
contro il cielo”, e una delle ultime meraviglie del mondo.
Come Françou, Tille non può farci niente: non è niente,
vicino al suo rifugio.Ma il rifugio, questo
–ora lo ricordo: lo chiamava “questo” come Françou e non sapevo a quale buco si
riferisse- “Questo, diceva Tille, è
in me, attaccato a me, me lo si legge in faccia”. E tu continui a vederla lì à
Péronne tra branlettes et lentilles, e testure morbide di cotenna di porco,
lardo e cipolle…
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