Taramà di sardicella
e la libera tiritera del poeta scientifico in via del Lutri nel paese dei poeti mistici
Pranzando l’altro giorno al mio abituale ristorante sulla costa jonica degli ombroni ammâšcânti [la-leggenda-delle-ntrocchje-ammascanti·il-kamasutra-equino-di-giovanna-i], dove fanno una Taramà di Sardicella veramente squisita, fui costretto a sorbirmi anche un poeta di mia conoscenza[i]:
“Sì- diceva il poeta- che uno nasca poeta, nasca
naturalmente poeta e pertanto incapace di qualunque sforzo per liberarsi…Ma in
quel caso…in quel caso…che cosa ha a che fare lui con la società libera o la
libertà? E questa ‘via della Libertà’…dopo via del Lutri e via Kennedy…Se un
uomo nasce poeta, la libertà, essendo contraria alla sua indole, che cazzo ci
fa in via della Libertà con la contiguità del Lutri?”
Fece una breve pausa. Ciucciò un pezzo di pane nella sardicella
commista all’uovo. D’improvviso, penso adesso gli prende un colpo…, no, rise
forte.
“Lei- dissi- è veramente poeta. In ogni caso fa venir da ridere, anche dopo averla ascoltata, e
soprattutto dopo averla vista mangiare la Taramà di sardicella, paragonare
quello che è lei con ciò che sono i poeti di queste parti…e ce ne sono, come le
macchine diesel, 3 per ogni famiglia, compreso il cane e il gatto, i ciucci son
pochi adesso e quelli, si sa, volano tutti…”
“Amico mio, già gliel’ho detto, gliel’ho già provato - e giù
bocconi grandiosi di Taramà di sardicella -…e adesso glielo ripeto…La
differenza è solo questa: loro sono poeti solo in teoria, io lo sono in teoria
e in pratica; loro sono poeti mistici e io scientifico- e qui mi stava andando
il boccone di Taramà di traverso- loro sono poeti che si sottomettono, io sono
poeta che combatte e libera…In una parola: loro sono pseudo-poeti e io sono
poeta!”
E ruttò.
E ci alzammo da tavola. Senza che nessuno avesse ancora chiesto il conto.
E ci alzammo da tavola. Senza che nessuno avesse ancora chiesto il conto.
Il poeta scientifico mi prese sottobraccio e mi sussurrò all’orecchio:
“Ah, amico mio: la Taramà con la sardicella, questa sì che è disuguaglianza naturale e non sociale…Con questa la poesia non c’entra nulla. Il grado di intelligenza o di volontà di un individuo ha a che fare con lui stesso e con la Natura, la poesia non c’entra un cazzo; le stesse finzioni sociali in questo non ci mettono né l’uovo, né..’u pipirûssë. Ci sono qualità naturali, come le ho già detto( ‘u puètë, scientifico, mi dava del lei…’u ‘mbrônë!), che si può presumere siano state corrotte dalla lunga permanenza dell’umanità nelle finzioni sociali; ma la corruzione non è nel grado della qualità della Taramà con la sardicella, che è dato totalmente dalla Natura, ma nell’applicazione della qualità. Per questo le dico: quelle che sono esclusivamente disuguaglianze naturali, la poesia, io e la Taramà con la sardicella, su di esse nessuno ha alcun potere, nemmeno i ‘gliaroni, né c’è mutamento sociale che le modifichi, tanto si può venire qui e, tac, si è poeti e facciamo la sardicella, così come non si può diventare me alto e lei basso”.
Ormai, ero sicuro: oltre alla Taramà di sardicella, il poeta scientifico s’era ingozzato una pinta del banchiere anarchico di Fernando Pessoa. Che, a dire il vero, più che scientifica questa finzione sociale a me pare del tutto mistica.
[i] Scrive Manuel Vázquez
Montalbán che “Durante il pasto si può citare un poeta orientale di altri tempi
che abbia lodato il piatto, particolare colto che quasi nessuno sarà in grado
di controllare”[$M.V.M., Ricette immorali, trad.it.
Feltrinelli, Milano 1992]. Noi non sveliamo il nome del poeta calabro-orientale
con cui abbiamo dovuto condividere il piatto che, nella versione originale,
viene fatto con 250 g di bottarga, 2
fette di pane, 1 tuorlo d’uovo e che , secondo
Manuel, solo gli ebrei di Paris riescono a ottenerne una edizione bianca,
deliziosa, preparata senza dubbio con uova di pesci trasparenti, un po’ come
qui che se la Taramà di sardicella viene fatta con le alici, la Taramà s’annerisce
e c’è la mano del popolo ombrone d'Alisandra e gl’Albedonë e fa venire in gola
la versione greca di Taramà fatta con rancido purè di patate e che chiamano taramasalata .
La Taramà
dovrebbe avere in sé il paradigma di taracή, “agitazione”, “turbamento”, “scompiglio”,
“confusione”, se ci si riferisce al greco antico; per il greco moderno, è taragmός, il termine traducibile con “agitazione”
e “turbamento”. Per prepararla, si sbriciolano due fette di pane in una tazza di
latte e si amalgama con i 250 g di bottarga(uova affumicate di muggine, di
merluzzo o di tonno) pestando nel mortaio insieme al sale, il pepe, il tuorlo d’uovo,
l’altra tazza di latte, una cucchiaiata di aceto e il succo di limone. Vi si versa
a poco a poco l’olio, lavorando il tutto come si fa con la maionese, e si
continua sino a quando l’impasto acquista un’analoga consistenza.
La Taramà di
sardicella è, in verità, una designazione impropria,anche se la “confusione”
può essere ascritta alla commistione della frittura della sardellina impeperonata
con le uova: il mortaio, in questo caso, sarebbe a monte, cioè quando viene
pestato il peperone secco con cui condire la sardicella. C’è comunque da dire
che, come la Taramà viene spalmata sul pane più rustico o su crostini, così la
Taramà di sardicella, senza la frittura con le uova, cruda può essere stesa sul
pane casereccio della Culabria tutta canticchiando Abbandonato o Scivola vai
via di Vinicio Capossela, insomma un
brano da Rebetiko, sempre che,
volendo sentirsi come uno degli ebrei a Paris, che ottengono una deliziosa taramà
bianca, non si viri di brutto verso la François Hardy di Tous les garçons et les filles consumando un piatto intero di
Taramà di sardicella condita con olio e cipolletta tenera con una partner che
abbia almeno lo stesso ectomorfico pondus(roba da indice costuzionale al di sotto
di 50) della cantante negli anni sessanta.