Il
testo multiplo della narratio poundiana
e l’immaginario nell’ebrezza mistica
Si può dire che la poesia
di Pound, o la scrittura, se vogliamo, sia “indifferente alle convenienze dei
generi, dei soggetti e dei fini”[i], come
la serietà della forma “non ha niente a che vedere con il drappeggio delle
‘belle’ opere; può anche essere del tutto parodistica, e si prende gioco delle
divisioni e delle gerarchie che la nostra società, per scopi di conservazione,
impone agli atti di linguaggio”[ii]. Conta
l’affermazione del suo essere, cioè, insomma della sua serietà. Come, per gli Esercizi di Loyola, i Cantos di Pound hanno un testo multiplo,
che può essere anche letterale, semantico, allegorico, anagogico e, come gli Esercizi, è un testo multiplo
drammatico.
Se, negli Esercizi, “il dramma è quello dell’interlocuzione; da una parte l’esercitante somiglia a un soggetto che parli senza sapere la fine della frase in cui si è impegnato”[iii], qui, nei Cantos, il dramma è nell’apertura del paradigma, nella relazione dei fatti, la narratio che, continuamente, aumenta la carica connotativa dilatandola di sintagma in sintagma. E, al contrario di Ignacio di Loyola, Pound dispone spontaneamente di una rete di immagini piena che, però, come per gli Esercizi, hanno qualcosa di barbaro che le rendono sospette a ogni morale disciplinare. Dice bene Barthes quando scrive che “Forse, in questa diffidenza nei confronti dell’immagine, c’è il presentimento che la vista sia più vicina all’inconscio e a tutto quello che vi si agita”[iv]: l’occhio del poeta, ricordate?, riconosce il cuore fallico del suo desiderio, l’occhio del mistico è oscuro, celato, sprofondato nella tenebra immensa di Dio, l’occhio di Loyola riconosce le immagini dopo averle trattate sistematicamente. L’io poundiano immagina secondo le vie del fantasma, o le immagini, che sembrano appartenere all’ordine allucinato, sono invece concatenate a un reale intelligibile?
La relazione dei fatti, la narratio poundiana, è conforme alla mistica del poeta, è una rerum explicatio ma l’inconscio vi si storicizza dentro[v]: lo Step-style del “giallo splendore del lamento” ha come marca l’ebrezza mistica, che corrisponde a quell’ebrezza della mente che è – secondo Rusbrock – “quello stato in cui l’esultanza supera le possibilità intraviste dal desiderio”[vi]. La relazione poundiana dissemina immagini per far sì che i fantasmi del suo io non siano in grado di allucinare il reale: tra il visibile e l’invisibile, lo sguardo, che è sempre contingente e simbolicamente connesso all’orizzonte, non limita l’esperienza, né ottunde l’angoscia di castrazione; lo sguardo, con cui il poeta ritaglia immagini e fantasmi, finisce col vedere il desiderio, come se ci fosse in funzione una sorta di fascinum che non ha l’effetto di arrestare il movimento e di uccidere la vita, ma, al contrario, ha l’effetto di potenziare, nella disseminazione operata dalla giunzione tra l’immaginario e il simbolico, e con questa “contabilità narrativa” che sono i Cantos, l’immaginazione. L’occhio, che non è l’“oculus dell’ubi amor”, “può essere profilattico, ma in ogni caso non è benefico, è malefico”[vii] ma ha bisogno di farsi sguardo, e quindi essere l’“oculus dell’ubi amor”, per ritrovare, tra l’invisibile della propria libido e il visibile del Real-Ich, il fascinum, la potenza, della propria funzione. Non c’è, dunque, immaginario in Pound, come non ci sono fantasmi se non in quella misura in cui un sintagma, nella sequenza delle esplosioni continue, esplode nella propria veracità intrinseca che è quella della procedura istituita dall’esagramma Chung Fu. L’immaginario di Pound è come l’immaginario di Ignacio di Loyola, è molto povero; l’insieme di rappresentazioni interne non c’è, c’è la contabilità, l’enumerazione, la relazione dei fatti, che è fatta di immagini, ma non di immagini o di visioni interne, c’è la relazione delle vedute, per come, appunto, le “vedute” vanno prese in una sequenza narrativa. “Vedute” di fatti, di cronache, in cui l’immagine dilata la storia scritta dall’io, non la definisce anche se sembra che sia costantemente in scena: come l’io dell’esercitante, in Loyola, l’io di Pound approfitta di tutti gli argomenti forniti dal canovaccio della propria biografia per realizzare i movimenti simbolici del desiderio: umiliazione, giubilo, timore, effusione[viii]. L’io di Pound ha “il corpo [che] sta dentro all’anima”, the body is inside[ix] per vedervi semmai come lo sguardo, alla fine della narratio o nei punti di “esplosione intrinseca”, tenera, della narratio, culli il proprio fantasma, o come lo contempli[x].
Se, negli Esercizi, “il dramma è quello dell’interlocuzione; da una parte l’esercitante somiglia a un soggetto che parli senza sapere la fine della frase in cui si è impegnato”[iii], qui, nei Cantos, il dramma è nell’apertura del paradigma, nella relazione dei fatti, la narratio che, continuamente, aumenta la carica connotativa dilatandola di sintagma in sintagma. E, al contrario di Ignacio di Loyola, Pound dispone spontaneamente di una rete di immagini piena che, però, come per gli Esercizi, hanno qualcosa di barbaro che le rendono sospette a ogni morale disciplinare. Dice bene Barthes quando scrive che “Forse, in questa diffidenza nei confronti dell’immagine, c’è il presentimento che la vista sia più vicina all’inconscio e a tutto quello che vi si agita”[iv]: l’occhio del poeta, ricordate?, riconosce il cuore fallico del suo desiderio, l’occhio del mistico è oscuro, celato, sprofondato nella tenebra immensa di Dio, l’occhio di Loyola riconosce le immagini dopo averle trattate sistematicamente. L’io poundiano immagina secondo le vie del fantasma, o le immagini, che sembrano appartenere all’ordine allucinato, sono invece concatenate a un reale intelligibile?
La relazione dei fatti, la narratio poundiana, è conforme alla mistica del poeta, è una rerum explicatio ma l’inconscio vi si storicizza dentro[v]: lo Step-style del “giallo splendore del lamento” ha come marca l’ebrezza mistica, che corrisponde a quell’ebrezza della mente che è – secondo Rusbrock – “quello stato in cui l’esultanza supera le possibilità intraviste dal desiderio”[vi]. La relazione poundiana dissemina immagini per far sì che i fantasmi del suo io non siano in grado di allucinare il reale: tra il visibile e l’invisibile, lo sguardo, che è sempre contingente e simbolicamente connesso all’orizzonte, non limita l’esperienza, né ottunde l’angoscia di castrazione; lo sguardo, con cui il poeta ritaglia immagini e fantasmi, finisce col vedere il desiderio, come se ci fosse in funzione una sorta di fascinum che non ha l’effetto di arrestare il movimento e di uccidere la vita, ma, al contrario, ha l’effetto di potenziare, nella disseminazione operata dalla giunzione tra l’immaginario e il simbolico, e con questa “contabilità narrativa” che sono i Cantos, l’immaginazione. L’occhio, che non è l’“oculus dell’ubi amor”, “può essere profilattico, ma in ogni caso non è benefico, è malefico”[vii] ma ha bisogno di farsi sguardo, e quindi essere l’“oculus dell’ubi amor”, per ritrovare, tra l’invisibile della propria libido e il visibile del Real-Ich, il fascinum, la potenza, della propria funzione. Non c’è, dunque, immaginario in Pound, come non ci sono fantasmi se non in quella misura in cui un sintagma, nella sequenza delle esplosioni continue, esplode nella propria veracità intrinseca che è quella della procedura istituita dall’esagramma Chung Fu. L’immaginario di Pound è come l’immaginario di Ignacio di Loyola, è molto povero; l’insieme di rappresentazioni interne non c’è, c’è la contabilità, l’enumerazione, la relazione dei fatti, che è fatta di immagini, ma non di immagini o di visioni interne, c’è la relazione delle vedute, per come, appunto, le “vedute” vanno prese in una sequenza narrativa. “Vedute” di fatti, di cronache, in cui l’immagine dilata la storia scritta dall’io, non la definisce anche se sembra che sia costantemente in scena: come l’io dell’esercitante, in Loyola, l’io di Pound approfitta di tutti gli argomenti forniti dal canovaccio della propria biografia per realizzare i movimenti simbolici del desiderio: umiliazione, giubilo, timore, effusione[viii]. L’io di Pound ha “il corpo [che] sta dentro all’anima”, the body is inside[ix] per vedervi semmai come lo sguardo, alla fine della narratio o nei punti di “esplosione intrinseca”, tenera, della narratio, culli il proprio fantasma, o come lo contempli[x].
“that they suddenly stand in my room here
between me and the olive treeor nel clivio ed al triedro?”[xi]
“l’ara sul rostro
20 years of the dream
and the clouds near to
are as good as any in
“Il corpo è dentro” disse Plotino
“E tu devi saperne il perché,
e ricominciare dopo ogni sbaglio”[xiii]:
(…)
“la terra e l’acqua tingono il vento della tua valle”[xiv]:
“al di sopra del lago è il vento:
l’immagine della veracità intrinseca”[xv]:
A soul, said Plotinus, the body inside it[xvi].
L’io di Pound non
scompare ma si sposta nella cosa,ed è in questa prospettiva che la linea
superiore di Chung Fu, l’esagramma intrinseco, vada
considerata come “la vera massima di quella fluttuante presenza del soggetto
nell’immagine che contraddistingue, al tempo stesso, il fantasma e la
contemplazione”[xvii]
poundiana: “canto di gallo squilla fino al cielo”. L’esclamare continuo delle
immagini, penetrando dappertutto come il vento, corrisponde alla “lotta
accanita contro la dispersione delle immagini” di Ignacio Loyola. Ovvero:
l’esclamare continuo delle immagini corrisponde, piuttosto, al metodo
estremamente rigoroso con cui Loyola viene a capo della dispersione delle immagini[xviii]. Due
operazioni mistiche di riempimento, al contrario dell’abituale svuotamento (della
mente) dei mistici canonici.
[i] Cfr. Roland Barthes, Loyola in: Id. , Sade,
Fourier, Loyola, trad. it. Einaudi, Torino 1977: p. 30.
[ii] Ibidem.
[iii] Ivi: p. 33.
[iv] Ivi: p. 54.
[v] Cfr.
quanto scrive Osip Mandel’štam
su Dante: «Far oscillare i significati, violare l’integrità dell’immagine è un
procedimento artistico tipicamente dantesco» (O. M., ed. cit.: p. 137). O anche: «Vorrei indicare una caratteristica
particolarmente notevole della psicologia dantesca: il suo rifuggire dalle
risposte dirette, forse condizionato dalla situazione politica di quel secolo
così complesso, pericoloso e furfantesco. Mentre tutta la Divina Commedia [come i Cantos]
è un questionario puntualmente corredato di risposte, ogni aperta e diretta
dichiarazione di Dante gli viene estratta con la forza [cfr. il tempus tacendi
di Pound]»: O. M., Discorso su Dante,
in: Id., Sulla poesia,trad.it.Bompiani, Milano 2003: p. 137.
[vi] Cfr. Roland Barthes, Loyola cit.: p. 62.
[vii]
Jacques Lacan, Che cos’è un quadro?,
in: Id., Il seminario,Lbro XI, trad.it. Einaudi, Torino 1979: p. 120.
[viii]
Cfr. quanto scrive Pound: «L’immagine è il pigmento del poeta. Il pittore
dovrebbe usare il suo colore perché egli lo vede o lo sente. Non m’importa
molto che egli sia rappresentativo o non rappresentativo. Egli dovrebbe
naturalmente dipendere dalla parte
creativa non mimetica o rappresentativa della sua opera. Lo stesso avviene
nello scrivere un poema; l’autore deve usare la sua immagine perché la vede o la sente, non perché egli pensa di poterla usare per sostenere qualche
opinione o qualche sistema d’etica o d’economia. Un’immagine […] è reale perché
la conosciamo direttamente. […] è
nostro affare il rendere l’immagine come l’abbiamo percepita e concepita»: Vorticismo, in: E. P., Opere scelte , V edizione I Meridiani, a cura di Mary de Rachewiltz, Mondadori, Milano 1981: p. 1205.
[ix] Cfr.
Canto XCIX ma anche Canto XCVIII.
[x] «Il genius loci non è più solo allusivo, ma
si fa corposa, quasi ‘paranormale’ presenza temporale»: Massimo Bacigalupo, Liguria contro Venezia: due modelli nella
poesia di Pound, in: Ezra Pound a
Venezia, a cura di Rosella Mamoli Zorzi, L.Olschki, Firenze 1985 : p. 194.
[xi]
«d’un tratto qui nella mia stanza stanno / fra me e l’ulivo / o nel clivo ed al
triedro?»: dal Canto LXXVI.
[xii]
«l’ara sul rostro / ventennio di sogno / e le nuvole delle parti di Pisa / sono
belle quanto altrove in Italia»: dal Canto
LXXVI.
[xiii]
Dal Canto XCVIII.
[xiv]
Sempre dal Canto XCVIII.
[xv] È
l’immagine dell’esagramma 61. Chung Fu:
cfr. I Ching, ed. cit.: p. 522.
[xvi] È
l’accento del Canto XCVIII: «Di
un’anima – disse Plotino – il corpo sta dentro».
[xvii]
Cfr. Roland Barthes, Loyola, in
particolare il paragrafo 9. Il fantasma,
in: R. B., op. cit.: p. 53.
[xviii] Ivi: p. 57.
[da V.S.Gaudio: E.P.LA
MATERIA POETICA © 2005 ]
Ezra Pound 1972-2012
Attualità di un Poeta