L’incanto della
mulasse
Il “Pikar”[i]
di Eréndira Bardette Moulastro è fatto di questa leggera concavità ottusa,
l’ectomorfismo da mulasse che si fa
corpo del Barde, il centro tunisino alla periferia della città, antica
residenza del bey, dove fu firmato nel 1881 il trattato che stabiliva il
protettorato della Francia sulla Tunisia; e con questo insellamento concavo e
arabo, una “bardella” il suo esserci: tra la Francia del “farsi-Mula”, che può
avere un archetipo nella Bardot, e la Tunisia del “farsi-Puledra” di Aurélia
Rocher, c’è la figura di E.Bardette Moulastro, che, con il suo être-mulasse, si qualifica come
oggetto inesorabile che perviene all’incanto,non della macchina come vorrebbe
Jean Baudrillard[ii],
ma della bestia, della mule, per
l’appunto, specchiandosi nell’ajneja
di Didone, con la stessa insostenibile potenza, ajinos, che sta nella profondità altamente artificiale, somatizzata
per l’atto “ajinico” di Cartagine: ricevere
il nove.
Che, si vede, sta due volte nel 1881 (=1+8=9; 8+1=9), e che stabilisce
anche l’età di Bardette e di Aurélia, e di Laura Farina, e che, forse, in virtù
del determinismo del numero come lo intende Freud, fissa anche la cifra per
potersi liberare della “bardella”, non gli 871895
pesos con cui la nonna snaturata fissa il riscatto di Eréndira, ma 1881 atti di Ajnejas, ovvero il 9 didonico.
[i] Con
il termine “Pikar”, che potrebbe anche essere il participio dell’albanese
“pikoj”, ‘sgocciolare’(cfr.: Aurélia Gurmadhi), ma potrebbe anche
connotare l’azione passivo-riflessiva di un verbo che derivi da “pikë”, ‘punto’
, con doppio riferimento alla verticalità dei punti cardinali, quindi all’
“evidenza folgorante”, intendiamo un “punctum” o, meglio, il senso ottuso
di un oggetto che passa come se passasse, e lo fa, al Meridiano, facendosi punto
evidente, passaggio puntualizzato, tanto che è un senso ottuso
“bagnato”, sgocciolato, cioè ha un senso ottuso che se la sta godendo,
questo intendiamo; c’è,nell’evidenza folgorante, una sorta di analemma che si
sta bagnando, tanto che il pikar , che rende l’oggetto inesorabile,
irredento, bagliore didonico perpetuo, è tutto intriso, “pikar”, l’oggetto
inesorabile ha goduto e sgocciolato; il suo fantasma finirà, come si dice in
lingua franca, per “embrachiar” la libido del poeta o del marinaio, del corsaro
dell’anima.
D’altronde il pikar del
petit mauresque è il “piquer” dei francesi, il “pungere”, il “bucare”, il
“forare”, lo “stimolare”, lo “stuzzicare”; in un porto, il “pikar” sta sempre
tra il “piquer l’étrangère”, che è il “fantasticare”, e il “piquer au vent”,
che è “stringere il vento”; e Bardette Moulastro ha questo pikar al vento nel
suo passo, fa il minimo angolo con la direzione del vento, che è l’andatura di
bolina stretta di Aurélia Pedregoso, che leggera e laterale, con “o mejo
vento”, stringe, “fica”, “a luz atlantica”, con un angolo di circa 30° “sobre o
cu”; Bardette Moulastro, come Aurélia Pedregoso, ella andar di pikar al vento,
ella chiapar il sol a trenta gradi sopra il culo.
Se “pikar” è, invece, dato
come sostantivo, sarebbe la “piqûre” francese, la “puntura”, la “bucatura”, la
“foratura”, ma anche il “buco”, l’“impuntura”, la “cucitura”, l’“abbrumatura”
(che è il corrodersi della carena di legno per effetto delle brume), che ha,
dunque, nel suo paradigma, anche qualcosa di “bagnato”, la “piqûre” che è
l’“abbrumata”, la “macchia” del solstizio d’inverno.
[ii] Cfr.
Jean Baudrillard, La trasparenza del male
(1990), trad.it. Sugarco edizioni, Milano 199: pag. 186.
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