v.s.gaudio
L’esemplare
d’obbligo giudaico-torinese
La Stimmung con Thomas Bernhard sull’oggetto
a
del poeta
che liquidò Aurélia Steiner a Torino
·
è, non ci crederete, Aurélia Steiner di Torino al
mercato della Crocetta.
Volevo
pubblicare un libro ma non ci sono riuscito perché ho seguitato a modificare il
manoscritto, l’ho modificato talmente spesso che alla fine di quel manoscritto
non è rimasto più nulla, in realtà i cambiamenti del manoscritto altro non erano
che la totale cancellazione del manoscritto stesso, di cui alla fine non è
rimasto che il titolo, che era L’esemplare
d’obbligo.
Ormai non ho
nient’altro che il titolo, così scrissi ad Aurélia Steiner a Torino, e questo è
un bene, non so, avevo aggiunto, se avrò la forza di scrivere un secondo libro,
non credo, se fosse uscito L’esemplare
d’obbligo e ancora ci fossero gli uffici nelle Prefetture e nelle Procure
di questa amena Repubblica, quantunque chi può dire con certezza che ci fossero
mai stati o se ci fossero stati fossero stati funzionali all’ufficio
prescritto, così se fosse uscito sarei stato costretto a spararmi un colpo, io
che ho orrore delle armi da fuoco.
D’altronde –
così rispose Aurélia – V.S. era un uomo di schede, riempivi migliaia, decine di
migliaia di schede, con Indici Costituzionali e Indici del Pondus, variazioni
dei vari indici a seconda dell’età, del tempo che ignaro faceva accumulare nel
tuo casino di caccia nel Pantano di Villapiana migliaia di dati, e non c’era
più spazio per ritenere che, se fosse passato un altro oggetto a
al tuo meridiano, avresti ancora potuto schedarlo.
E poi, ed è per questo che ti
chiedo – così aggiunse all’improvviso nell’epistola Aurélia – perché Torino ti
fa orrore, tu è per questo che poi
avresti avuto questa attività dilatoria, ricordo anche gli indici
costituzionali di ogni calciatore di tutti i campionati di serie A e forse
anche di serie B degli anni Ottanta, e quando te ne stavi nella tua mansarda a
Torino dicevi che è per questo che non volevi lasciar tracce, quantunque tu
continui a vivere in ciò che in quegli anni hai detto a qualche gnocca torinese
puranco giudea, che, mi dicevi, son quelle che a Torino hanno il culo più
arabo, o più saraceno, un culo torinese giudaico-saraceno era quello che aveva
cercato di salvarti, per lei camminavi senza posa su e giù per Torino, sotto i
portici di via Roma, da Piazza Castello a Porta Nuova e da Porta Susa per Corso
Vittorio Emanuele e ritornavi dall’altro lato dei portici di via Roma in Piazza
Castello e poi o ti inoltravi per via Cernaia a Porta Susa o per via Po
arrivavi fino al fiume, quel continuo camminare non serviva più a niente,
perché a un certo punto – avendo inseguito dal mercato della Crocetta Silvia
Crocetti – e se era il podice giudaico-arabo assoluto quello veramente
irredento, quello che anche le persone semplici, che non capiscono le persone
complicate come te, sanno riconoscere e guardare, fin tanto che a quel punto –
una volta che quel podice era tornato nella tua orbita di celebre asceta della
Battaglia dei Gesuiti – un giorno, ed era già luglio, ed Hemingway è in quel
mese che nacque come te, nel tuo stesso giorno, e di Robin Williams, e nello
stesso mese aveva interrotto il suo cammino tra le meraviglie del mondo, lei
dopo averti allietato l’anima – che si può chiamare anche “minchia”, essendo
questa l’anima del cannone, ancorché non è sicuro che questo sia un Parrott, ti
lasciò in uno stato di angoscia estrema, sparendo dietro il portone della
scuola a fianco della Biblioteca Civica in via della Cittadella.
Quel continuo camminare, checché ne
disse dopo Jean Baudrillard per La Suite
Venitiénne, non serviva più a niente.
E fu davvero triste – ricordo la
tua confessione- constatare che quel podice e quell’allure non passarono mai al
meridiano a scuoterti l’oggetto a , mi dicevi, solo dopo cinque, o
sei, lustri ne fissasti in schede memorabili non solo i dati costituzionali per
farne l’esemplare d’obbligo del culo torinese giudaico-saraceno.
Scrissi ad
Aurélia – ricordo – che se Glenn Gould voleva strabiliare il mondo col pianoforte,
io allora che sono stato strabiliato dal culo di Silvia Crocetti che bisogno
avrei mai dovuto sentire una volta che – come dire? così le scrissi – il gaudio
fu da tal podice colmato e, di conseguenza, assordato ?
Non aggiunsi niente di quello stato
iperdulico della nostra identità di percezione, forse è meglio dire
sensorialità, che ci porta, passo dopo passo, a seguire questo mondo che ci
strabilia e che noi non osiamo mai guardarlo pienamente, il solo fatto che a
quello spettacolo il poeta sia rimasto fedele per più di trent’anni, e la sua
libido, per quanto continuamente molestata da attentati vili e miserabili, mai
sia rimasta a secco, più volte quell’esemplare di femmina torinese fu - dentro
la mia infelicità un po’ saracena e un po’ veneziana – il sommo gaudio, il
gaudio correlato all’iperdulia della madonna cristiana, quel suo modo di
camminare non era un semplice aforisma, né una melodia, una canzonetta, nemmeno
– che Dio ce ne scampi!- un prodotto intellettuale e – aggiunsi- perciò mai
diverrà un libro anche perché un mondo colossale non si fa ridicolo dettaglio,
né un’opera epocale può essere esposta e contenuta in una libreria, e ricordi
che in quel tempo ero uso frequentare quotidianamente la Biblioteca Civica e
come avrei potuto rivedere l’opera immortale, che mi era sparita nell’edificio
a fianco, rinchiusa dove stan rinchiusi i grandi spiriti del nulla e della
libido floscia, e allora – così scrissi ad Aurélia – io conduco un’esistenza
modesta, senza pretese, che non dà nell’occhio, un’esistenza che rimane
pressoché in secondo piano ammesso che ci fosse il primo, come del resto non ha
mai dato nell’occhio la ricchezza di Glenn Gould, io sono il più grande
suonatore dello strumento giudaico-saraceno-sabaudo se naturalmente sono in
giornata buona, tu sei ideale per i miei scopi, e giacché hai una incredibile
capacità di resistenza, perché non vieni a farmi vedere com’è che la insceni la
Tigre bianca che salta?
L’uomo è
tutto spirito per eccellenza, hai una
grande ipersensibilità, sì, lo ricordo, sei come Glenn Gould in effetti un tipo
atletico , assai più forte di Wertheimer[i],
ciò che avevamo potuto constatare una volta di più non appena ti accingevi a
tagliare via con le proprie mani tutti gli ulivi nell’aranceto di tua nonna,
che, come tu dicevi, ti impedivano di godere appieno dello strumento
giudaico-saraceno che lì in campagna suonavi con un virtuosismo che rasentava
il gaudio assoluto e iperdulico.
E’ il tipico uomo americano, avevo
pensato allora – così scrisse Aurélia – non c’è niente in lui dell’archetipo
della debolezza fisica del poeta, l’archetipo del coglione lirico, e fu allora
che cominciasti a scuotermi l’oggetto a che transitava al mio meridiano.
Ma cosa c’entra in tutto questo il
suonatore di pianoforte o il poeta, se per tutta la vita ho avuto il desiderio
di essere io quello che fu il podice-Crocetti,
l’ideale sarebbe che io fossi il culo torinese giudaico-saraceno, quello[ii],
quello che era il podice che strabiliò la libido del poeta, quello strumento
così poco ortodosso e così tanto torinese, svegliarsi un bel giorno ed essere
insieme Silvia Crocetti e Aurélia Steiner – così scriveva l’ebrea – Silvia
Steiner Crocetti, o Aurélia Crocetti-Steiner soltanto per la poesia e una tua
scheda di morfologia ed estetica costituzionale.
E’ possibile
che Aurélia Steiner odiasse Silvia Crocetti, ed è possibile che odiasse anche
me – questo penso – e questo pensiero era fondato su migliaia se non decine di
migliaia di osservazioni che riguardavano non solo la Crocetti ma anche la
Steiner e me.
E io stesso non ero esente
dall’odio per Aurélia, odiavo Aurélia tutti i momenti e nello stesso tempo la
amavo con estrema coerenza. Non c’è niente di più tremendo che vedere un essere
umano il quale è talmente grandioso – ha un podice che strabilia il mondo e
cammina nel tuo fantasma – che la sua grandiosità ci annienta, e mentre noi
questo processo lo osserviamo e lo sopportiamo e alla fin fine non possiamo far
altro che accettarlo, in realtà non crediamo a questo processo, né
all’immanenza di Silvia Crocetti fino a quando esso non si trasforma ai nostri
occhi in un fatto incontrovertibile, ma allora non c’è più niente da fare,
l’oggetto a viene inondato e per noi è finita.
Aurélia e io eravamo stati
indispensabili all’evoluzione di Silvia Crocetti come mio oggetto a ,
e Silvia, così pensai, ci ha sfruttati entrambi.
Lei a un
tratto mi passò davanti e divenne Silvia Crocetti, l’esemplare giudaico-torinese irripetibile ma il momento
dell’avvenimento o della trasformazione – questo devo dirlo – nessuno riuscì a
percepirlo, anche se era inconfutabile e inconfessabile l’evoluzione del poeta
e chissà quale liquida , e quanto, liquida pervasione nell’attante meridiano;
per mesi e per anni l’esemplare torinese ci aveva trascinati con sé in un
processo di dimagramento, ci aveva trascinati prima per le strade e i portici
di Torino, poi ha riempito l’invaso della nostra libido in ogni altra parte del
nostro temporaneo Dasein.
Torino, senza Silvia Crocetti, non
sarebbe stata la stessa Torino e Silvia Crocetti, senza Torino, non sarebbe mai
diventata il mio oggetto a o quantomeno l’esemplare didonico e giudaico affinché si potesse entrare nella
musica come un tutto oppure non ci si entrava affatto, un autentico fenomeno
costituzionale come Silvia Crocetti deve incontrarsi con il poeta, no, deve
essere inseguito dal poeta a Torino, e questo ha da succedere in un momento ben
preciso, nell’unico momento giusto.
Se non si è nella stessa orbita nel
momento giusto, non può accadere ciò che è accaduto tra Silvia Crocetti e
Torino.
Torino, che non è niente, ovvero è
semplicemente uno stradario, è resa Dasein dall’esemplare unico, in un certo
momento e per un certo periodo, pensai.
In realtà, la vera e propria
vittima della permanenza sabauda non sono stato io, ma piuttosto Aurélia
Steiner, la quale, in mancanza di Silvia Crocetti, sarebbe certamente diventata
lei un ‘eccellente virtuosa del (-φ)
poetico, celebre forse in tutto il mondo.
E’ lei che ha commesso l’errore di
essere a Torino, dove poi è stata annientata non dall’aria savoiarda ma da
Silvia Crocetti.
Silvia Crocetti ha sulla coscienza
Aurélia, pensai.
Silvia Crocetti aveva suonato solo
un paio di note al mercato della Crocetta[iii]
e già Aurélia Steiner aveva pensato di rinunciare a tutto, ricordo
perfettamente che Aurélia, quando vide con me, con il mio sguardo, Silvia
Crocetti riapparire sotto il portico di via Cernaia per, poi, scendere giù fino
a via della Cittadella, rimase lì bloccata accanto a una colonna dei portici,
incapace di starle dietro, come fece il poeta, e soltanto quando la vide
scomparire, con gli occhi del poeta, nella scuola a fianco della Biblioteca
Civica della Cittadella, riaprì gli occhi che aveva tenuto chiusi, lo ricordo
ancora perfettamente, e non parlava più.
Per dirla con una frase patetica,
quella fu la sua fine, la fine della carriera di virtuosa fallica per il poeta di Aurélia Steiner.
Per un intero decennio studiamo uno
strumento che abbiamo scelto con cura e poi, passato questo decennio faticoso e
più o meno opprimente, ci bastano poche note suonate da un esemplare virtuoso
per essere liquidati, questo mi scrisse Aurélia.
Anche lei non ha voluto ammettere questo
fatto per molti anni. Eppure quel passaggio suonato o concertato di Silvia
Crocetti è stato la sua fine, pensai.
Ora-
aggiunse come postilla o post-scriptum Aurélia – per forza dovetti vederla o ascoltarla e per forza ti scrivo, ma non è chi scrive che sta scuotendo da
cinque o sei lustri il meridiano dell’oggetto a del poeta.
Anzi, chi scrive non scuote un
cazzo, è l’altra che tace, e ha sempre taciuto, che non ha mai messo all’asta
quell’ineffabile strumento da virtuosa che strabiliò il mondo e il poeta a
Torino.
[ii]
Il podice-Crocetti è indescrivibile e
irredimibile, comunque è specularmente(e beffardamente) congeniale a quello di un’altra Aurélia Steiner, quella d’Ajacciu: cfr. ilcobold/aurelia-steiner-dajacciu
[iii]
Cfr. I pomodori ineffabili di San
Gervasio : gaudia 2.0/torino-e-i-pomodori-ineffabili-di-san-gervasio