1 .Il pluridimensionale è anche l’accesso al luogo immaginario
Dove c’è un
addensamento sembra che si operi a simulare, viceversa il topos della
dissimulazione sembra che sposti la maschera, di pari passo tra sembrare ed
essere c’è la coincidenza topica che mette in atto la difesa; la densità, più
che altro, non s’annuncia in scena, si modula a carica di innesti, come
profondità del corpo lo specchio ne è la superficie, a disponibilità di rimandi
è a riflettere il centro e il vuoto a conferma dell’identità che sdoppia; di
questa pulsione, la distribuzione stessa degli atti ( in questo caso l’azione
si correla all’espansione dei feticci ) abitua agli avvenimenti, la propria
storia si legge nella relazione dei quantificatori e la relazione dei
quantificatori non è, tanto, la
flessione al modello, quanto l’intreccio delle variabili negli stessi items di polarità.
In ciò, l’intenzionalità
diviene la performance della difesa.
Ad assunzione di
condensazione è la forma che si sposta: nella forma, cioè, si spostano i
quantificatori dell’intenzionale, la stessa performance della difesa ha luogo
in un contesto etrangé; il tema di questa proiezione è la partecipazione, con
la propria referenza feticistica ( si retroattiva il fantasma ) alle identità
(l’economico dei personaggi) che sono la profondità in cui si contiene il mito personale di quell’alter, eletto a
radice delle proprie varianti.
Il fondo si erige ad
evidenza di differenziale di tempo, i nessi si appuntiscono a leggersi in una
continuità che lega l’orizzonte al deserto del farsi, l’ampliamento della
propria tensione traduce la nudità del corpo e la difesa dell’occhio, il
pluridimensionale è anche l’accesso al luogo immaginario, ed è soprattutto in
tale localizzazione che si va ad inscrivere la finzione che struttura favola e
storia; il segno per caricarsi del tempo viene a costituirsi come intreccio fantasmatico
del feticcio, ma la struttura del feticcio serve a cristallizzare i propri
fantasmi sul corpo economico dell’alter: da ciò avremmo indicazioni per l’attualizzazione formale dell’intenzionalità.
intenzionalità
|
spostamento
|
condensazione
|
A movimento
di condensazione
|
Forma etrangée
|
Contenuto
storico
|
2.Il sistema della trama
Dall’interazione
della forma a straniamento con la storicità del contenuto, lo spostamento non
rende il tempo pluridimensionale ma condensa un fuori-tempo per l’attualità
intenzionale, gli estremi appartengono al fantastico proprio perché il
quantificatore contestuale differenzia l’ideologico e lo storico, da una parte,
come crescita del mito personale; il mito e il socius, dall’altra, come
rappresentazione (ideologica) della propria voluptas, ciò è evidente dagli
innesti sulle proiezioni di una identità( Shakespeare, nel caso) delle proprie
istanze parziali, lo storico li divide a ragion di tempo in cui il mito
collettivo dell’uno s’assomma sullo scheletro(nomica dei personaggi) del mito
collettivo dell’altro. Pertanto, il sistema della trama verrebbe a comporsi
così:
Forma
dell’espressione
|
Indici
di polarità
|
Forma del
contenuto
|
Elementi
materici, ovvero
estratti
della propria storia economica
|
Dimensione
variabile
Forma:
quadro
Colore
relativo alla sostanza degli annessi materici
|
Si denota
a fruizione di tempo la proiezione fantasmatica dell’ operatore sulle ragioni
contestuali e storiche del rappresentato
|
Il sistema linea,
colore, trama, per cui anche le denotazioni semiche del sistema di opposizioni
lineari, si sottraggono ad una ricognizione per le interazioni di trama
suesposte, ecco perché la lettura del fantastico deve porsi oltre lo stesso
spessore dell’estensione e dell’intensione, del contorno e dell’interno, la
morfologia del mito non ha niente di analogo alla morfologia del segno.
3.La mancanza dell’Edipo e la sfera
del predicato
L’estrapolazione temporale
comporta trasformazioni atte a cambiare la significazione, quindi assistiamo
alla utilizzazione di variabili nella sintassi di Shakespeare che modifica il
trattamento formale dei quantificatori; la nominazione, per il valore affettivo
che esprime, è essenzialmente espressiva, così alla identificazione dell’oggetto
( quel tale personaggio) si aggiunge, per il senso, il valore extranozionale;
la stratificazione, a contagio è semantica, tra il filtro barocco e le
allusioni al sontuoso, il tropo non sta nella continuità[i] ma
nel nucleo che utilizza le caratteristiche fluttuanti di ordine
spazio-temporale e sociale, per la contiguità di senso avremmo un accorciamento
per i trasferimenti composti una permutazione(vedi Ullmann e Stern), quindi la
variabile della metonimia verrebbe a fare i conti con la costante affettiva del
mito; in sostanza, la nominazione intenzionale, dai limiti estremi del
desiderio, si esplica sull’oggetto lasciando che l’inferenza venga ad attuarsi
sull’espressione della forma. A dirla con Admoni, per il criterio
semantico-funzionale, per l’espressività avremmo una sorta di proposizioni
rinforzate sul neutro dell’affettivo, sembra che il rimando tocchi la
profondità che supporta la mancanza dell’Edipo, cioè ne muove il dietro come
movente che maschera Amleto: a tal pro, certi rimandi ad Amleto ed Edipo di Jean Starobinski(in:Idem, L’occhio vivente, trad. di Giuseppe Guglielmi, Einaudi 1975)
sarebbero da additare come livelli di flessione che centralizzano il “fantasma retroattivo”,
anche per rendere funzionale la negazione che si legge nell’ incompiuto del
pater-fantasma, la pulsione che si legge come scena postula una ontogenesi ad
imperativi mitici; ancora il modello potrebbe avere: a) una sfera del predicato, come impronta della
radice della forma e della sostanza dell’espressione, i cui b) componenti starebbero ad indicare i
fattori attributivi di complemento e di verbo della sfera, tanto che il
soggetto verrebbe a riconoscersi come identità dai nessi libidici a circolo di
mater, da cui la fragilità degli annessi materici pone la stabilità che se ne
ricava a distanza, la lettura degli usi dello scarto visivo riesce a contenere
gli stessi elementi temporali che dalla forma del contenuto rimandano alla
trama degli Erlebnisse dell’autrice.
4.Il buco della retorica della
tragedia
Stabilità
e distanza si correlano come frangia
costitutiva dei significanti della mater, l’uso visivo si legge a ragione anale
con le evidenze difensive supportate dalla costituzione soggettiva; i
complementi dell’effimero appartengono allo storico, anche se questo si legge
sul filtro che raccoglie il buco della retorica della tragedia.
Il buco della
retorica della tragedia è attuato a senso e rilievo del nucleo cognitivo di
quel soggetto che, alla Piaget, è da dirsi epistemico. Il buco della retorica
correla gli stessi items della tragedia, la coniugazione delle figure restringe
le proiezioni sensoriali dell’uso, le considerazioni dell’unità del relativo
combinano l’ azione alla tensione
atemporale dello stato, il processo
come radice lessicale seleziona le stesse inflessioni che innestano la
relazione.
Certamente, il
nominale è forse più leggibile della specificazione di verbo, ma la condizione
incoativa viene a reggere le unità di derivazione come funzioni del definito
implicato dal fuori-tempo dell’alter.
La denotazione dell’oggetto
non è referenziale se non per l’identità del pannello[vedine la serie per
Coriolano (plexiglass, carta metalizzata), Timone d’Atene (legno), Troilo e
Cressida (carta metallizzata, rame)],
lo scomodo di questa enunciazione è attributiva
per la virtualità di connessione che abbiamo già notato.
5.Prossemica nell’interazione
dislocata
Distanza
Occhio-Quadro
|
Senso
|
Pubblica(oltre i 3 metri)
Personale-intima
|
èstabilità
èfragilità
|
La ricognizione a
distanza della stabilità avverte di un procedimento che è, essenzialmente,
legato all’uso e alla dislocazione temporale degli annessi materici; la
distanza per la stabilità si erige a fondo della fruizione di Shakespeare ( o
di Molière), la dilatazione finisce con l’essere una distensione nel tempo dei
propri Erlebnisse.
C’è da chiedersi
quali siano le coordinate che l’attributivo
erige a senso e a misura del locus etrangé. Il referenziale, lo sappiamo,
attraversa il cognitivo ma non il pluridimensionale, l’attributivo affronta il
cognitivo, lo arcua nel pluridimensionale ma si flette nell’affettivo.
In pratica, in ogni
interazione che esce dallo storico, dai punti della sincronia, il primo
interagente cresce su un fuori-tempo(che appartiene all’ombra dell’alter) su
cui radica le connessioni del sé; queste stesse elaborazioni, per l’estrapolazione
temporale, riescono ad uscire dal contesto dell’ombra anche se certamente non
riescono a variarne la costante
espansionale (frangia degli usi meridianici dell’io).
Nel caso dell’interazione
Paola de’ Cavero – Shakespeare, la costante espansionale è di tipo sensoriale,
la sensorialità ha una concrezione lineare che rimanda la cronia alla sua
urgenza materica, l’occhio su De’Cavero-Shakespeare, nella prossemica indicata,
nota la trasparenza dei limiti del segno, il segno è reso recepibile al di là
della sua stessa forma, così sulla rigidità ambigua dei personaggi di Shakespeare
si stende l’ambivalenza del segno-cosa di Paola de’ Cavero. Qui, l’ambivalenza
non ha più linguaggio pluritematico, anche perché non ha né referenza né tema.
[i] Il sistema
(IV) delle regole costitutive di Eliseo Verón
in Pour une sèmiologie des
operations translinguistiques, in “VS” n.4, Bompiani 1973, non ha niente a
che fare con la rappresentazione analogica della de’ Cavero. Peraltro è chiaro
che il senso che noi vogliamo dare si espone per una vidimazione che supera i
principi di organizzazione percettiva. La mostra di pertinenza è quella del
luglio-agosto 1975 tenuta a Verona nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese: “Paola de' Cavero : arte come teatro : proposte per
Shakespeare” . Se ne ha documentazione in catalogo per Cappelli , Bologna 1975,
23 x 24 cm. Consultabile presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.
Non è rintracciabile online alcuna riproduzione delle opere di questa grande
artista, né l’estensore del saggio ne ha in archivio documentazione in qualsiasi
forma. Se si esclude un ritratto del poeta nella forma di un primo studio
eseguito il 13 marzo 1977.
©
v.s.gaudio 1976
Pittura ad acrilico e collage in tessuto, carta, piume, specchio su plexiglas. Paola de' Cavero ©1975, cm. 82 x 62 Galleria d'Arte Moderna Palazzo Forti, Verona |