Colette Stone playing the lead lady in Let ‘em Riot’s official music video for ‘Don’t Stop Running.’
Colette Stone: "hello Summer" |
Aurélia Steiner che sta a Praga e la macchina fotografica della Zangheri
Aurélia Steiner che sta a Praga
non è boema, la luna lei la chiama
“Justrusa”
anche quando la indica nell’orologio
astronomico,
che per lei è “’U cuncutrillu”,
Aurélia Steiner sta qui, aspetta la sera,
sta’mbruna, dice, fa stáfice
e quando attraversa la città lei passa di
strìttuwa in strìttuwa,
un po’ di schipìciu,
in autunno quando compra caldarroste,
chiede “’i pruppituse du ruffu”[i].
Il cielo non è umano, ma c’è qualcosa
forse più di questo cielo,
che non è il quadrante al neon del
campanile della Città Nuova,
è quando le zingare oscurano il mondo con
le gonne
e quando il poeta si guarda di nuovo
intorno
le zingare stanno sedute accanto a lui
una di qua e una di là,
di fronte a lui a gambe larghe sta lo
zingaro
con la macchina fotografica nelle dita,
gli occhiali neri contro il sole guardano
nel mirino della macchina
e le zingare si stringono a lui e
guardano l’obbiettivo,
e poi lo zingaro che è il visionatore di
Morin col palmo alzato
richiama anche l’attenzione del poeta e
lui guarda la macchina
con quel sorriso spasmodico che hanno
solo i poeti
e poi sente lo scatto della macchina
che non aveva mai avuto nelle sue viscere
la pellicola,
così che il poeta comprenda che al mondo
non dipende
proprio nulla da come le cose finiscono,
ma tutto è soltanto
desiderio, volere e anelito, come quando
a Bologna la Zangheri,
per essere speculare allo zingaro di
Hrabal,
nello stesso tempo in cui lui ne stava
scrivendo
l’assolutezza anonima faceva il ritratto
inesistente del poeta
con un’altra macchina fotografica in cui
c’era la pellicola fantasmata,
Poetry-reading alla Galleria d'Arte Duemila di Bologna |
e sotto nelle cloache e nelle fogne
scorreva tra acque di scarico e materie
fecali
la neve di quel febbraio
così segreto, così rumoroso e così solo
Aurélia Steiner, questa quadarara che sta
qui a Praga,
questa minéca che chiama “cuncutrillu”
l’orloj,
in una stanza vicino al Convento di
Sant’Agnese di Boemia,
guarda l’imbarco battelli che c’è in
Náměstí Curieových.
E’ ritornata nella sua camera per
scrivere al poeta.
Ha chiuso porte e finestre.
Sono le tre del pomeriggio.
Dietro la Vltava c’è il sole, il tempo è
fresco.
Io sono qui in questa grande sala in cui
faccio stáfice[ii].
Oltre la scursénta[iii],
c’è il fiume.
E tu dove sei ?
Ti sei perduto?
Ti sei perduto tanto che io grido che ho
paura?
i“Le castagne del fuoco”, in
ammâšcânte; “strittuwa” è “strada”,”vicolo”; “schipìciu” è “sghembo”,
“obliquo”, con quel taglio, una certa diagonalità di movimento o del
portamento, che richiama l’apposizione di prima ,“’nteccata”, che è
“delinquente”, che viene da ‘nteccare, che è “tagliare”, “incidere”, la
“‘nteccata strocca” riflette in qualche modo un taglio maledetto, puttanesco,
un segno, una piega, anche comportamentale o gestuale che è la parte maledetta
di Aurélia Steiner. Per la lingua nascosta dei quadarari e anche per l’utile dizionario
Italiano-Ammâšcânte e Ammâšcânte-Italiano annesso, cfr. John Trumper, Una lingua nascosta, Rubbettino editore,
Soveria Mannelli 1992.
ii “sto”.
iii “finestra”.
da:
La Caggiurra
di Praha
Aurélia Stuart Steiner
Aurélia Stuart Steiner
alias Furgiulia
Cuticchjùna
La
Stimmung-ammašcânte con Bohumil Hrabal
sul la
morte della letteratura
$
leggi anche: