Irina e il musicologo che
spaccava la legna
Non
si riusciva veramente a capire perché mai fosse andata in campagna una creatura
metropolitana come Irina. Quella donna che da tanto tempo, un anno dopo l’altro,
andava tutte le sere a un concerto o all’Opera o a teatro aveva deciso dalla
sera alla mattina di prendere in affitto una cascina a un solo piano che tra l’altro
per metà era adibita a porcile, come Paul e io fummo costretti a constatare con
raccapriccio, e nella quale non soltanto ci pioveva dentro, ma anche, essendo
sprovvista di cantina, le macchie di umidità arrivavano al soffitto. E loro,
Irina e il suo musicologo, che per anni aveva scritto regolarmente in diversi
giornali e riviste viennesi, con addosso dei vestiti lisi e sbrindellati si
presentavano ad un tratto davanti ai nostri occhi appoggiati a una stufa
americana di ghisa mentre, mangiando del cosiddetto pane casareccio cotto da
loro nel forno, mentre io mi tappavo il naso perché il puzzo di porcile mi
mozzava il respiro, magnificavano la campagna e stramaledivano la città . Il
musicologo aveva smesso di scrivere saggi su Webern e Berg, su Hauer e
Stockhausen, e invece spaccava la legna davanti alla finestra o toglieva il
letame dal cesso otturato. E lei, Irina, non parlava più della Sesta o della
Settima, ma ormai soltanto della carne affumicata che aveva appeso con le sue
stesse mani sotto la cappa del camino, non più di Klemperer e della
Schwarzkopf, ma del trattore del suo vicino di casa che si svegliava col
cinguettio degli uccelli alle cinque del mattino.
[FThomas Bernhard ▪
Il nipote di Wittgenstein © 1982 ▪ trad. it. Adelphi edizioni,
Milano 1989]