Nella sua apprezzabile Avvertenza,
l’autore di Gilberte afferma che «il
romanzo... ha finito con il diventare un impaccio alla letteratura».
Effettivamente la narrativa del Novecento ha proposto una tale diversificazione
di modelli testuali da rendere praticamente impossibile qualsiasi tentativo di
prospettare una definizione forte del termine “romanzo” e un suo proficuo uso.
Del resto non potrebbe
essere diversamente, se è vero che la cultura letteraria del nostro secolo è
stata caratterizzata, sul versante teorico-critico, dai rapporti con le
Scienze del linguaggio, e, sul versante della scrittura; da una particolare
attenzione rivolta alle diverse dimensioni e ai tanti elementi costitutivi del
testo, di cui sia la creazione che i metalinguaggi sono stati chiamati ad
acquisire una sempre maggiore consapevolezza.
Da questo punto di vista, le caratteristiche di Gilberte impongono anche di rimandare
alla precedente attività e produzione dell’autore. Con i libri-oggetto, le
“sketch poesie”, le “poesie impossibili”, gli “advertise poems”, Ignazio
Apolloni è stato infatti un protagonista delle vicende della ricerca
interlinguistica italiana; i cui risultati più avanzati hanno influenzato le
sue prove narrative (non escluse le Favole
per adulti).
Abbandonata dunque, in ragione della sua ormai
realizzata defunzionalizzazione, l’etichetta di “romanzo”, Gilberte ci appare
piuttosto come un macrotesto narrativo dalla particolare configurazione: i
testi brevi in successione rivendicano una propria identità di senso come
racconti autonomi, definiti, conchiusi, e come tali “consumabili”; nello stesso
tempo, risultano predisposti, in ragione della logica narrativa sottesa,
all’integrazione con altri, sulla base di alcune determinazioni primarie (a
cominciare da quelle spazio-temporali di cui l’autore si serve per predisporre
il gioco possibile dei collegamenti e delle distanze). Al di là delle
restrizioni istituite dal linearismo coatto della scrittura, i singoli racconti (a volte semplicemente costituiti da
un’unica, isolata proposizione) fanno insomma parte di una rete testuale molto
più complessa e articolata rispetto alla continuità di sviluppo. Molti di essi,
ad esempio, appartengono a loro volta ad altrettante storie particolari –
anch’esse nello stesso tempo interdipendenti e dinamicamente autonome – che nel
macrotesto confluiscono.
La rete dei racconti (dei loro rapporti) attende di
essere progressivamente riconfigurata dal lettore, cui l’autore
attribuisce un’ampia ma inevitabilmente
parziale libertà, i cui limiti corrispondono al significato degli elementi
maggiormente ricorrenti, gerarchicamente rappresentativi dei valori del
macrotesto: innanzitutto le voci narranti e il personaggio della protagonista;
della cui identità finzionale sono addirittura previste designazioni multiple.1
Da notare che, nell'Avvertenza, l’autore
manifesta una propria consapevolezza di quanto sopra descritto. Parla infatti
di una «struttura complessa», di «un’opera labirintica caratterizzata da un
coacervo di motivi e di nessi interni tali da renderla “aperta”».2
Tra le molte caratteristiche dell’opera meritevoli
di particolare attenzione, va rilevato che in Gilberte le voci
narranti corrispondono ad un personaggio-narratore (il fotografo Montefeltro;
che tra i personaggi si muove), ad un narratore-personaggio, il quale,
stazionando in un universo complementare che ne consente l’osservazione,
racconta dell’universo in cui vive Gilberte. La “vita” del
narratore-personaggio è a sua volta osservata dall’autore-personaggio. Insomma,
è come se ci trovassimo di fronte a tre distinti universi, collocati ognuno
all’interno dell’altro.
La striscia enunciativa, ovviamente di solito
incompleta, è pertanto la seguente: l’ [autore empirico, Ignazio Apolloni] dice
che l’ [autore del racconto] dice che il [narratore-personaggio] dice che il [personaggio-narratore il
fotografo Montefeltro] dice che ...
La situazione è chiara al personaggio-autore; che
nel brano seguente osserva gli altri due, trovandoli scarsamente
distinguibili:
«Il narratore sottopone a verifica critica la
costruzione del suo lavoro, e mentre se ne innamora prende continuamente le
distanze dalla storia che intanto va creando, per evitare di restarne
invischiato a tal punto da non potersi più distinguere l’io narrante
dall’attante; il foglio di carta dall’inchiostro, lo scenario naturale che
ispira le varie descrizioni dalla descrizione dello scenario naturale che si fa
quando si scrive» (p. 81).
A dimostrazione del fatto che «a muovere le fila del
racconto non è sempre l’autore», (p. 319) nella finzione di Gilberte il
personaggio-narratore parla del testo con altri personaggi e, condividendo
quanto affermato dall’autore empirico nell’Avvertenza (!); giunge a
dichiarare:
«Né so se potrà parlarsi di opera chiusa o aperta ad
altre soluzioni. Persino non si può dire se sia un romanzo o un racconto ...
Questa è questione che attiene alla letteratura» (p. 355).
Proprio nel momento in cui non è più possibile
distinguere «l’io narrante dall’attante», il testo non rappresenta soltanto
l’universo finzionalmente realizzato, ma racconta anche quanto attiene alla sua
produzione attraverso la pratica della scrittura. A proposito degli eventi che
accadono nell’universo del testo, il narratore-personaggio dichiara:
«[Li] sto vivendo nel momento in cui li scrivo. E
ciò dico perché non sono certo di averli vissuti realmente» (pp. 79-80).
È del resto alquanto difficile stabilire, in un
intreccio tra esperienza, memoria e immaginazione, se una storia è la
rappresentazione linguistica di un vissuto, una sua interpretazione a distanza
o una concretizzazione finzionale. Risulta del resto ugualmente complicato
ipotizzare una percezione dei tre regimi che attribuisca ad ognuno uno statuto
che lo distingua completamente dagli altri: 3 il processo di
costituzione del testo è una relazione complessa tra intenzione,
caratteristiche della finzione e valore cognitivo della scrittura.4
Riflettendo sulla forma-romanzo, anche le imposizioni
della logica del processo di scrittura vengono ricondotte ad una loro possibile
conversione finzionale:
«L’autore di Gilberte vuole parlare del romanzo come
se il romanzo parlasse di se stesso pretendendo di farsi ascoltare» (p. 194)
Lo spazio letterario ha
caratteristiche pluridimensionali, e quello che appartiene ad una di esse non è
attribuibile o riscontrabile in altre, ma la finzione è in grado di eludere
tutto ciò. Così in Gilberte sia il
personaggio-narratore che il narratore-personaggio frequentano il
personaggio-Gilberte. Nel primo caso: «Mi sono esercitato nel non pormi domande
e di non farne neanche ai personaggi della mia finzione» (p. 203). E nel
secondo: «Pensate: il narratore che si mette con il suo personaggio femminile;
cose da brividi!» (p. 524); «Sorvolando su alcuni altri pensieri, troppo veloci
per poter essere trattenuti e diventare materia narrante, mi soffermo su uno
dei suoi soliti turbamenti» (p. 239); «Le
ho messo in bocca parole e circonvoluzioni di parole atte a catturare l’attenzione
dell’interlocutore» (p. 234) (che; evidentemente, potrebbe essere anche il
personaggio-narratore); «Si andava sviluppando la mia storia (di narratore) con
Gilberte» (p. 210) 5
Non mancano le prove di reciprocità, affidate alla voce di
Gilberte: «Perché il mio narratore mi abbia trascinata... Dovrei domandarlo a
lui» (p. 236). Sul mondo del testo si affaccia ogni tanto, il/un
personaggio-autore, che commenta quanto attiene al personaggio-narratore: «Il
mondo è pieno di questi strani personaggi, ai quali più nessuno presta ascolto.
Il nostro narratore meno che meno» (p. 244). E il personaggio-narratore,
reciprocamente, ha consapevolezza di quanto accade al personaggio-autore:
«L’autore ... non ne è troppo sicuro: ed è per questo che infarcisce di visioni
immaginarie – tratte molto spesso dal reale –
la storia personale di un personaggio creato dalla sua fantasia”. (p.
552)
Il narratore-personaggio registra le proprie
riflessioni sul processo di scrittura,6 sulla propria relazione con
il linguaggio e le relative responsabilità7 e su alcune sue
specifiche modalità di sviluppo.8
A volte l’attenzione cade
sui limiti dell’attività pragmatica-linguistica, in cui si è calato9
altre volte, il pensiero va ai probabili limiti del risultato che si appresta a
raggiungere, ammettendo “la continua incertezza su come andrà a finire (p. 350)
– «A pochi riesce di entrare nella letteratura mondiale con un proprio
personaggio e al personaggio di entrare
nella testa della gente» (p. 168) – e più avanti, sui risultati espressivi
raggiunti: “Invano si cercherà in questo racconto un aneddoto, un ossimoro,
un’iperbole o una litote” (p. 178).
Trasformandosi in narratore-personaggio, il
personaggio-narratore può fingere di entrare e uscire dall’universo di
appartenenza («Ero uscito per un breve tratto dal libro» (p. 203); o assumere
la responsabilità di intrattenersi a colloquio con la comunità dei lettori. 10
Concludendo, si può affermare che l’impianto
narratologico di Gilberte costituisce
la concretizzazione (vale a dire una tra le possibili dimostrazioni della
plausibilità) di un assunto rintracciabile nel testo:
«Come un oggetto [il personaggio-narratore] possa
diventare soggetto pensante [il narratore-personaggio] nel soggetto [l’Autore
empirico] che lo pensa» (p. 239).
Ignazio Apolloni GILBERTE Novecento Palermo 1994 |
note
1- «Solo con un arbitrio la Gilberte della prima
parte del racconto è assimilabile a quella della quale sto parlando, perché è
vero invece che tranne la comune matrice data dalla stirpe tutto il resto le
diversifica. Sono diverse le epoche nelle quali entrambe vivono; diversi i
generi artistici che prediligono; numerose le scansioni all’interno delle quali
si muove la prima mentre una linea continua segna la progressione degli eventi
cui dà vita la seconda. Detto in modo meno sibillino la Gilberte francese
antropomorfizza la cultura; quella americana ne sente solo il fascino; il
richiamo» (p. 141).
2- Molto meno frequentemente individuabile la
fenomenologia subito dopo annunciata: «Un uso improprio della singola parola»;
utile «a scardinare il senso letterale del discorso».
3- «Nessuno mai può essere molto sicuro che le cose
di cui scriverà siano realmente accadute» (p. 172): «Questo e non altro è la
vita. La linfa delle storie che ognuno di noi si racconta, come fosse un
racconto» (p. 416).
4- «La fragilità di un racconto fondato su una
figura evanescente di donna; una specie di mistilinguismo ... fatto di poche
parole su di lei, può spiegare le circonvoluzioni che assume il pensiero del
narratore combattuto tra la voglia di parlarne, di costruirne una solidità
inespugnabile, e la mancanza di voglia. La leggerezza dell’essere ... è anche
fatta di questo spaziare nel nulla con il puro proposito di starci bene: di non
affaticare la mente alla logica del piegare la scrittura alla sua funzione
primaria, come se il narrare la vita fosse la vita» (pp. 169-70); «Solo dopo
ci metterò i personaggi suggeriti sia dalla stessa scrittura sia dal progetto
formulato all’inizio e cioè l’impianto di un grande romanzo» (p. 172).
5- Ed eccolo «girovagare nelle tundre alla scoperta
delle tracce del proprio personaggio» (p. 358).
6- «C’è sempre un momento in cui la scrittura
sopravanza il pensiero; ed è quando l’allitterazione o l’assonanza la fanno da
padrone» (p. 81). «La mia narrazione a questo punto ha bisogno di recuperare
una parte dell’eros, dopo essere rimasta impigliata dentro il mito e la
leggenda» (p. 164): «Mentre procedevo per sintesi alla narrazione della storia
immaginaria di una ragazza tipo – astraendola da un groviglio di
fatti e persone ... mi rendevo conto del percorso altrettanto immaginario che stavo compiendo io stesso ... Il realismo giornalistico, il
bozzettismo; la tecnica da flash back hanno a tal punto contaminato la
scrittura letteraria da rendere strenua la lotta per la sopravvivenza dei
grandi pensieri ... Riuscirci, sarà davvero un’impresa» (p. 193): «Distrassi la
mia attenzione per scrivere le cose che ho appena detto» (p. 449).
7- «Per un narratore ... sorge il dovere di una
scelta che potrebbe essere funzionale al racconto oppure no» (p. 166): «Se un
narratore si lascia prendere dal filo del racconto finisce con l’impallinare i
capitoli come fossero le perle di una collana ... Ne verrebbe fuori un monile
dal quale sarebbe difficile togliere un frammento senza avere la sensazione
della incompletezza dell’opera» (p. 229); «Nulla autorizza un autore a fare
cattivo uso della propria fantasia» (p. 318).
8- “L’organicità di un’opera nasce dalle intenzioni.
Il risultato soltanto dal caso” (p. 186): «La tentazione di scrivere una storia
banale in qualche caso è così forte da costringere ad inventare situazioni a
spirale dentro le quali infilare il lettore. Solo che non si sa mai cosa sia esattamente il banale né si
percepisce in anticipo quale sia il momento in cui se ne sente prepotente
l’attrazione» (p. 212): «Il divagare da un argomento all’altro è una tecnica
narrativa già sperimentata ma sempre efficace: è divenuta ancora più attuale quando si è scoperto che la storia non procede per
successioni cronologiche ma spazia dentro le cose più comuni» (p. 219): «La
sovrapposizione delle figure, l’interscambiabilità delle parti tra il
personaggio e il suo doppio (o il suo opposto) ...» (p. 355); «Da quando ho
dovuto mettere da parte il cuore, ovverossia la scrittura fatta ansia di
conquista del regno delle idee» (pp. 357-8); “L’economia del racconto
vorrebbe...”; (p. 378)
9- «L’incubo... padrone della vita immaginativa
tanto da asservirla al terrore del disordine mentale, cui non si riesce mai ad
opporre la lucidità del pensiero logico-raziocinante» (234).
10-: “Lasciamo da parte Gilberte ed occupiamoci
d’altro”; (p. 237); “Preferisco... affidarmi alla decodifica che vorrà fare
ciascuno di voi” (p 358); “Quando sarete assillati dalla lettura di
questo-testo” (p. 359).