Luciano Troisio
Riflessioni
sul muro della ticoscopia
Nel dormiveglia
postprandiale a Hoi An (forse il contrario di Hanoi, come Kyoto è il contrario
di Tokyo), dopo una sola leggera vonton soup,
stesomi sul letto dai guanciali a fioroni rossi, chinai il capo, come quel
barbone che volò da un mare all’altro.
Ma io non sognavo: avevo
dinanzi a me l’unica grande finestra della mia stanza; l’albergo è in perfetto
stile cinese [all’inizio delle scale c’è un ricco altarino per gli antenati,
colmo di statue beneauguranti, di fiori e di tael (lingotti d’oro), presumo finti. La grande statua panciuta non
rappresenta Buddha, ma un vecchio felice signore con un braccio carico di
lingotti e l’altro che regge una specie di scettro poggiato alla spalla [che in
cinese si chiama ru ji]. Il mobilio è nero massiccio tutto
finemente intarsiato e scolpito (certi miei grulli vicini direbbero: c’è un
lavoro…) incrostato di madreperle, nero, talmente pesante che è una dura fatica
anche spostare una semplice sedia, ma io per rispetto lo faccio sollevandola,
pur giustificando, in questo sincronico caso, il mio prossimo di gente
meccanica e di picciolo affare, che, come dovunque, pratica l’insopportabile
villano tramenio.
La stanza l’ho scelta io,
sul fianco dell’edificio, perché le altre danno sulla strada e per evitare il
rumore…
Ora la mia stanza ha questa
enorme finestra in cinemascope che praticamente è lunga quanto l’intera parete,
ma dà su un muro dirimpettaio distante non più di 50 cm. neanche fossimo a
Venezia.
Me la sono voluta! Un
pittore nomade povero (ora non ce ne sono più e tutti godono della pensione
minima, mangiano alla Charitas o alla
mensa dei clandestini islamici, sebbene sia bandita anche la mortadella, oppure
hanno sposato una berlinese per finta, e quindi rientrano nella legge tedesca
del sussidio al coniuge di berlinese), un matto insomma, potrebbe proporre ai
padroni di acconciamente affrescarla in cambio di alloggio (e vitto) per tutto
il periodo del lavoro.
Durante la digestione mi
succedono brutti scherzi, mi sono messo a riflettere [e intanto, dolcezza delle
dolcezze, ho aperto l’ultima stecca di cioccolato amaro Fin carré chocolat noir superieur, edel bitter schokolade, 74%
cacao].
Volevo una camera (con
vista, ma soprattutto) senza udito, e sono stato accontentato, ben mi sta.
Almeno ho il vantaggio del silenzio e di poter stare in mutande senza il
rischio che qualcuno dalla finestra mi veda (sconsigliata quindi a eventuali
esibizionisti).
Affacciandomi alla finestra mi sono reso conto che
anticamente la parte superiore è stata dipinta di azzurro, di cui restano vaghe
tracce come in certi affreschi malmessi, tra molte piccole venature e crepe di
umidità (in questi casi non dimentico mai che Leonardo esortava i suoi migliori
allievi a esaminare attentamente tutte queste irregolarità e venature, gli
arabeschi sui vecchi muri, ad imparare da essi).
La Wordle del testo di Troisio: pingala e hai l'open window |
Un'altra Wordle della Ticoscopia |
Partire da questi pertugi
minimi insignificanti, ma non per il Ris di Parma, inserirsi come col
microscopio elettronico di Piero Angela, sprofondare durante la digestione nei
nanomiliardi della materia… Insomma stamattina mi è scappato un’improvvisa voglia letteraria e non sono uscito. Le
cameriere si interrogano.
Ho riflettuto spesso sul Muro, vecchio soggetto per quanto sempre
di attualità. Pensiamo ovviamente alla Grande Muraglia, al muro di Berlino il
maggiore display divisorio del XX
secolo, alla muraglia montaliana, alle poesie di Questo muro di Fortini, ai muri del 68 (l’imagination au pouvoir),
o solo agli attuali effetti soprattutto deturpanti sui palazzi delle nostre
città, sulle pareti dei treni compresi quelli regionali che fermano anche nelle
frazioni disagiate, dove si sono formati
i pittori. Il muro è un concetto antichissimo e c’è sull’etimologia una serie
di complicatissimi studi venduti anche in edicola in milioni di copie,
risalenti credo all’epoca del paradiso terrestre, quando l’orizzonte d’attesa
dei lettori non era poi così vasto né di moda se non nelle giovani generazioni.
All’inizio c’è una specie
di confusione tra pietre e vegetali, tra muro e siepe. La parola indica un
confine, una separazione, un bordo, un orlo, una recinzione, una difesa (un po’
come in certi dialetti veneti di area conservativa in via d’estinzione: cito il
pochissimo conosciuto gado, termine derivante da antichi dialetti
germanici, toponimo abbastanza comune (Gazzo padovano ecc.) coll’accezione/significato
sartoriale -ormai unico- di “imbastitura provvisoria sull’orlo”, che qualche
acuto ma ignorato studioso comunale vuole connesso a garden (da cui il francese jardin
che poi è la stessa parola).
È molto probabile che la
prima siepe fosse di piante spinose, dissuasore di percorso, per tener lontani
intrusi e capre, del tipo dei fichi d’india o agrumi selvatici. Essendo nata
presumibilmente nell’area mesopotamica (quindi nel fertile orto o paradiso
terrestre) un’ulteriore confusione è tra siepe e giardino, “recinzione del
giardino” o prae-sepium. Ma il
termine antichissimo e forse preiranico non è certo il latino sepium, quanto piuttosto un teorico
“theisos”, antenato del greco τικος (tikos,
attraverso para-deisos) proprio col
senso ormai definito di “muro”.
Al solito mi trovo a decine
di migliaia di chilometri dalla mia biblioteca, quindi attingo alla memoria: se
non ricordo male, per quanto riguarda la Ticoscopia [in latino: Evidentia ], le informazioni non sono
poi molte. Marchesi nel suo dizionario di retorica (oramai datato come tutto
quanto mi riguarda) nemmeno la cita. Il Lausberg, molto più profondo e dotto
(tanto che riporta puntigliosamente tutti i termini in latino e anche in greco)
ne dà tutto sommato un’idea insufficiente per non dire equivoca e fuorviante.
Infatti la chiama “visione del muro”.
È probabile che l’equivoco derivi da una momentanea disattenzione del (presunto)
traduttore da altra lingua, mentre sarebbe stato più corretto/univoco chiamarla
o “visione dal muro” (e cioè come
sappiamo da sopra le mura di Troia),
oppure “visione sul muro”, quasi si
trattasse di un affresco disegnato su un muro (o trasmesso su un qualsiasi display televisivo).
Anche cercando sulla rete,
ormai nostro sovrano referente, scopriamo che tutto sommato non c’è molto, e
che in gran parte dobbiamo leggere in inglese, spagnolo o tedesco, mentre le
definizioni in italiano sono scarsette.
Intanto bisogna chiedersi
se Ticoscopia e Teicoscopia siano una cosa sola, o se vi siano delle pur minime
differenze.
1)Teicoscopia (Τεικοσκοπια):
visione dal muro (prende il nome da quella narrata da Elena nel terzo libro
dell’Iliade a una platea che non sa e
che non vede ciò che si sta
raccontando; la narrante ha visto direttamente osservando, dalle mura di Troia,
gli eserciti schierati.
2) Ticoscopia: narrazione/descrizione
(assai vivace) di cose assenti dalla realtà, presenti nella fantasia; (in
questo secondo caso le mura di Troia non c’entrano più). Aggiungo di mio: (descrizione)
come se fosse dipinta efficacemente su
un muro (teicos) o, in attualizzato aggiornamento, immagine tramessa
dalla TV.
Sembra ovvio sottolineare
l’uso letterario ma soprattutto teatrale della ticoscopia. Da qui i molti
sottili distinguo, i fuori campo , i fuori scena. Quando dico ticoscopico alludo a qualcosa che il
destinatore trasmette con particolare efficacia narrativa, come se il
destinatario vedesse direttamente la
scena descritta (di cui non sa ancora nulla. Vedi anche Ipotiposi).
[Mi sono
scordato di dire che appena a destra, nell’angolo della stanza c’è il
televisore. Pensandoci a freddo col senno di poi, ho il sospetto che tutta la
fantasmagoria mi sia stata inconsciamente suggerita e innescata da qualche
programma televisivo in inglese appena visto]. Irrompere dei tempi, programmi
culturali (non per nulla la città è Patrimonio Unesco), documentari sull’Induismo
del quarto secolo con ascendenze indonesiane-giavanesi, Shiva lingam e Yoni a
gogò; insomma una cavalcata di immagini a colori vivacissimi che nemmeno le
sostanze allucinogene provocate dalle anestesie profonde…
Quindi dalle mura di Troia
a un generico muro adatto agli affreschi. Ma non sfuggirà a nessuno la
modernità del concetto di muro divenuto schermo, superficie libera su cui
esprimere/comunicare liberamente le proprie (anche balzane) idee attraverso
l’immagine, o attraverso la parola.
Da Ze Bao (pron: tazebào) = “manifesto
a caratteri grandi” appeso al muro (della democrazia
cinese).
Quante possibilità! Intanto
la versione antica dell’affresco: disegno o ideogramma sul muro; poi la
bandiera, schermo/muro mobile che simboleggia, allude giocando col vento,
indica e prega, comunica, trasporta la nostra invocazione…
Quante storie raccontate
sul muro! Azioni e racconti leggibili anche dagli analfabeti, godibili e
stupende, le cacce, le battaglie, le natività, le annunciazioni. E gli stessi
quadri non sono forse parenti del muro ad esso appesi, come i Tanka himalayani, metà quadro metà
gagliardetto?
Partendo da Elena abbiamo
mutato le mura del mito in semplice muro, siamo passati dall’affresco allo
schermo del cinema affresco in movimento, da questo al piccolo schermo, e, per
ora, al display da polso.