adesso se non una bella pugnetta│*│
e poi intanto che la sera si fa
per dire
è da un bel pezzo che s’è mangiata
la pera e lungo questo portico
sotto
cui in lungo e in largo stiamo
menandoci
la libido e l’oggetto “a” ti
perlustro
che a conti fatti è là in mezzo
unto
e turgido una meraviglia della natura
che se la consideriamo d’estate è
come un picchio ed è la muta testimonianza
con la sua presenza gloriosa di
un’intelligenza
più grande di qualsiasi altra che
esista in
questa città, e in ogni caso,
come disse Woody
Allen, maggiore di quella del
Governo, non
solo della città ma dello stato
intero e del
regno tutto sommato tirate le
somme
e tirata questa benedetta nerchia
che hai tirato su da un pezzo un
quarto
di millanta di quarti d’ora col
tuo pelo
biondo senza contare la pelle del
culo
che, non è un mistero, fa di te un
esemplare d’obbligo sabaudo per via
del cuoio che ha qualcosa della
grande
porca che di solito non può che essere
d’origine sibarita, anche al
sabato
stiamo camminando tu fai la
musardine
e io il poeta non flâner
ma quello che
ti tocca a tratti il dorso del
culo
da mezzogiorno a mezzogiorno
la maturità di una persona non si
misura
dall’età ma dall’estensione delle
chiappe
e dal pelo che in mezzo ricorda
che ogni
periodo della vita ha la sua
felicità per
come una porta le mutande e a guardarti
un po’ di lato e un pochino più indietro
non so se chiedermi se quest’albero
sia
un abete rosso o un pioppo,
oppure una
sequoia gigante e tu che mi
incanti hai
qualcosa del nobile olmo, allora
cosa c’è
di peggio il cuore o la cosa che
ormai unta
ha la testa e fa resuscitare
tutto ciò che
era stato sepolto nella memoria e
nella
libido o chiunque altro seduto un
po’
in là su un’altra panchina un po’ prima
del nulla e delle vecchie soste e
chi ancora
diceva mai più or ora orsù che
aspettate
riditelo, passi su passi di qua
lungo via Po
o più in là passi su passi
ostinatamente
Claretta cammina con quel culo
sibarita
donde la voce che dice ancora un
momento
tienimi contento là nel tuo bel
mezzo
allieta la mia vita fin tanto che
la notte
infine a capo d’un lungo giorno
si distenda
e con gli occhi chiusi possa la
mia anima
chiavarti fin tanto che il tempo
scenda
adesso che è primavera il tempo passa
muto e non c’è spazio che illumini
il cielo
foss’anche quello di Claretta che
dapprima
a testa alta, poi al buio, a
quell’ultimo piano
mi fece la pugnetta, niente, in
silenzio
con quel suo piglio prima a testa
alta
e poi non più in silenzio fino a
quando
adesso che va meglio qualcosa mi
ha
detto un sospiro e Dio, che cos’è
questo
arcano che così turgido mi unge
la mano?
E’ la presenza gloriosa della
parola, quale
e dove, e qui a quest’ultimo
piano , che
solo Dio può creare un albero e
solo
una torinese Claretta sotto tutto
questo
qui, qua sopra, qual è la parola,
fin da questo
fin da quando camminammo in giù
lungo
tutta la città la smania di tutto questo
fin da questo fin da laggiù
si arrivi a questo fin quassù
la smania di menartelo, oh Dio
che cos’è
questo qua sopra questo qui
che già laggiù più dentro sempre
rinculai
più volte intanto che passi su
passi
smania di vedere che cosa di
sentire
dentro la parola che adesso viene
quassù in cielo e bagna la mia
anima
che cosa tiro e stringo , poeta,
qual è la parola
che da lontano laggiù tenevo
sempre più su
sempre più questo
questo qui
questo questo
tutto questo questo qui
che mi va su
dentro questo questo
sempre più su
dove finirò col dire
laggiù
lontano
là lontano laggiù
dove sei venuto dentro
quale
qual è la parola
detto tutto questo
tutto questo questo qui
quassù dato questo qui
che adesso
è questo
░ by v.s.gaudio│
│*│In Toscana e altre
regioni è quel pezzetto di stoffa imbottita(“la presa”) che serve per afferrare
senza scottarsi una pentola sul fuoco o il ferro per stirare. In Romagna e in
quasi tutta l’Emilia è la masturbazione, da “impugnare”. Come scrive Renzo
Cantagalli [Con rispetto parlando. Semantica del doppio
senso, Sugarco, Milano 1972], è probabile che questo significato
postribolare sia stato ereditato dal
francese, Se faire une pogne in argot
significa “masturbarsi”(da pogne=”mano”), ovvero “farsi una pugnetta”. A
Torino, l’uso è diffuso per questa ragione territoriale, in francese, non lo si
dimentichi, la mano è la veuve Poignet,
“la vedova Pugnetta”; spesso, la parola di Claretta si era tentati di commutarla nello schema
proairetico “la battaglia dei Gesuiti”(= 5 contro 1; 5 vs 1), ovvero, nel caso
della signora, “la battaglia della Gesuita”, anche in virtù del fatto che in
argot se faire une pogne può
significare “esultare per la disfatta di un nemico”. Col tempo, tra pogne,
clairette, bataille, jésuite, si sono avute occorrenze tipo : la claruite,
la battaglia di Claretta, la manetta, 5 a 1 per Claretta; ci fu anche, per via
del Po, la parola : Pognetta!L’altra forma in uso in argot “jouer au billard
anglais” istintivamente divenne faire le
bonheur avec le billard de Clairette,
“fare(dare) il gaudio col bigliardo di Claretta”.