♦ Beckettiana per Claretta│v.s. gaudio




   
La parola di Claretta
Claretta le dissi che cosa potresti farmi
adesso se non una bella pugnetta*
e poi intanto che la sera si fa per dire
è da un bel pezzo che s’è mangiata
la pera e lungo questo portico sotto
cui in lungo e in largo stiamo menandoci
la libido e l’oggetto “a” ti perlustro
che a conti fatti è là in mezzo unto
e turgido  una meraviglia della natura
che se la consideriamo d’estate è
come un  picchio ed è la muta testimonianza
con la sua presenza gloriosa di un’intelligenza
più grande di qualsiasi altra che esista in
questa città, e in ogni caso, come disse Woody
Allen, maggiore di quella del Governo, non
solo della città ma dello stato intero e del
regno tutto sommato tirate le somme
e tirata questa benedetta nerchia
che hai tirato su da un pezzo un quarto
di millanta di quarti d’ora col tuo pelo
biondo senza contare la pelle del culo
che, non è un mistero, fa di te un
esemplare d’obbligo  sabaudo per via
del cuoio che ha qualcosa della grande
porca  che di solito non può che essere
d’origine sibarita, anche al sabato
stiamo camminando tu fai la musardine
e io il  poeta non flâner ma quello che
ti tocca a tratti il dorso del culo
da mezzogiorno a mezzogiorno
la maturità di una persona non si misura
dall’età ma dall’estensione delle chiappe
e dal pelo che in mezzo ricorda che ogni
periodo della vita ha la sua felicità per
come una porta le mutande e a guardarti
un po’ di lato e un pochino più indietro
non so se chiedermi se quest’albero sia
un abete rosso o un pioppo, oppure una
sequoia gigante e tu che mi incanti hai
qualcosa del nobile olmo, allora cosa c’è
di peggio il cuore o la cosa che ormai unta
ha la testa e fa resuscitare tutto ciò che
era stato sepolto nella memoria e nella
libido o chiunque altro seduto un po’
in là  su un’altra panchina un po’ prima
del nulla e delle vecchie soste e chi ancora
diceva mai più or ora orsù che aspettate
riditelo, passi su passi di qua lungo via Po
o più in là passi su passi ostinatamente
Claretta cammina con quel culo sibarita
donde la voce che dice ancora un momento
tienimi contento là nel tuo bel mezzo
allieta la mia vita fin tanto che la notte
infine a capo d’un lungo giorno si distenda
e con gli occhi chiusi possa la mia anima
chiavarti fin tanto che il tempo scenda
adesso  che è primavera il tempo  passa
muto e non c’è spazio che illumini il cielo
foss’anche quello di Claretta che dapprima
a testa alta, poi al buio, a quell’ultimo piano
mi fece la pugnetta, niente, in silenzio
con quel suo piglio prima a testa alta
e poi non più in silenzio fino a quando
adesso che va meglio qualcosa mi ha
detto un sospiro e Dio, che cos’è questo
arcano che così turgido mi unge la mano?
E’ la presenza gloriosa della parola, quale
e dove, e qui a quest’ultimo piano , che
solo Dio può creare un albero e solo
una torinese Claretta sotto tutto questo
qui, qua sopra, qual è la parola, fin da questo
fin da quando camminammo in giù lungo
tutta la città  la smania di tutto questo
fin da questo  fin da laggiù
si arrivi a questo fin quassù
la smania di menartelo, oh Dio che cos’è
questo qua sopra questo qui
che già laggiù più dentro sempre rinculai
più volte intanto che passi su passi
smania di vedere che cosa di sentire
dentro  la parola che adesso viene
quassù in cielo e bagna la mia anima
che cosa tiro e stringo , poeta, qual è la parola
che  da lontano laggiù tenevo
sempre più su
sempre più questo
questo qui
questo questo
tutto questo questo qui
che mi va su
dentro questo questo
sempre più su
dove finirò col dire
laggiù
lontano
là lontano laggiù
dove sei venuto dentro
quale
qual è la parola
detto tutto questo
tutto questo questo qui
quassù dato questo qui
che adesso
è questo
░ by v.s.gaudio




*In Toscana e altre regioni è quel pezzetto di stoffa imbottita(“la presa”) che serve per afferrare senza scottarsi una pentola sul fuoco o il ferro per stirare. In Romagna e in quasi tutta l’Emilia è la masturbazione, da “impugnare”. Come scrive Renzo Cantagalli [Con rispetto parlando. Semantica del doppio senso, Sugarco, Milano 1972], è probabile che questo significato postribolare sia stato ereditato  dal francese, Se faire une pogne in argot significa “masturbarsi”(da pogne=”mano”), ovvero “farsi una pugnetta”. A Torino, l’uso è diffuso per questa ragione territoriale, in francese, non lo si dimentichi, la mano è la veuve Poignet, “la vedova Pugnetta”; spesso, la parola di Claretta  si era tentati di commutarla nello schema proairetico “la battaglia dei Gesuiti”(= 5 contro 1; 5 vs 1), ovvero, nel caso della signora, “la battaglia della Gesuita”, anche in virtù del fatto che in argot se faire une pogne può significare “esultare per la disfatta di un nemico”. Col tempo, tra pogne, clairette, bataille, jésuite, si sono avute  occorrenze tipo : la claruite, la battaglia di Claretta, la manetta, 5 a 1 per Claretta; ci fu anche, per via del Po, la parola : Pognetta!L’altra forma in uso in argot “jouer au billard anglais” istintivamente divenne faire le bonheur avec le billard de Clairette, “fare(dare) il gaudio col bigliardo di Claretta”.