Photo © luciano troisio 2014│
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Il Museo Arma a Ubud v
Potrei continuare nella descrizione di autentiche magnificenze. Ad
esempio, sapevo che alle 15 nella grande hall della reception si svolge la
lezione di danza Legong, riservata a deliziose smorfiose ballerine dai 5 ai 10
anni. Non tutte sono brave, però lo spettacolo davvero incanta. Mi aggiravo
dunque nel giardino, dopo aver visitato, per l’ennesima volta i padiglioni
museali e la mostra temporanea che per l’ottimo livello mi ricordò subito la
mia visita all’ultima Biennale. In attesa della lezione bambine ridenti in
costume mi vennero incontro, vollero essere fotografate. Chiesi alla maestra
della lezione e mi confermò che iniziava alle 15 nel padiglione della hall. Li
vicino vidi improvvisamente un’istallazione straordinaria: una trentina di
comuni ombrelli neri dipinti a olio erano appesi, aperti nel giardino.
│La Venere dei Rifiuti
Photo © luciano troisio 2014│ |
Fu la mia fortuna, perché l’indomani tornai con batteria carica, mangiai al loro (costoso) ristorante, signorilmente non mi fecero nemmeno pagare un secondo biglietto. Ingannai l’attesa integrando con molti scatti la meraviglia del giardino. Detta meraviglia d’un tratto aumentò quando mi accorsi che gli ombrelli non c’erano più. Ero in prossimità della magnifica porta scolpita della esposizione temporanea. Entrai. I quadri erano a terra, staccati dalle pareti. Dei giovani con una scala smontavano le strane parti di altre opere formate da matasse di fili colorati (che avevo fotografato il giorno prima). Ebbene: quei giovani che potevano essere scambiati per operai erano in realtà gli artisti. Mi presentai e facemmo subito amicizia, stetti a lungo con loro che poi uscirono, si sedettero sui gradini, mangiarono anche qualche nonnulla da cartoccetti. Mi fotografai con parecchi di loro, anche con l’autore degli ombrelli che ora giacevano chiusi ammassati su una panchina. Mi donarono il catalogo e pretesi
│Quello
a dx è l’autore degli ombrelli
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Dissi che mi aspettavo di vedere le loro opere esposte a Venezia, e in quel momento ricordai che in effetti alla Biennale esisteva un padiglione dell’Indonesia, dove avevo fotografato una serie di manichini a grandezza naturale, indossanti i costumi delle marionette Wayang, naturalmente non nella raffinata versione balinese, bensì in quella giavanese (che è più antica). Si scambiarono alcune veloci impressioni in bahasa e dalle smorfie capii che non approvavano affatto le scelte di chi detiene il potere a Giava. Mi era parso fin da subito che le loro opere alludessero a una decisa frattura rispetto all’arte tradizionale balinese e tale impressione mi fu confermata leggendo le introduzioni del catalogo scritte anche in inglese. Qualche dato: in limine una citazione da Nietzscke, soltanto in Bahasa. L’unica parola che ho capito è chaos; la Mostra è organizzata dal SDI (Sanggar Dewata Indonesia), in collaborazione col Museo Arma. Il saggio introduttivo dello scrittore Arya Suharja si intitola: Vagabondo o prigioniero della storia, alludendo al Gruppo SDI, che espone dissacranti opere di 39 autori. L’indice fornisce nomi, indirizzi di casa ed e-mail. È stato un piacere combattere l’inedia che spesso avvilisce il turista, incontrando, conoscendo questi giovani artisti. Desidero citare i nomi di quanti mi sono sembrati più attivi, decisi e coinvolti:
I Nengah Sujena, I Wayan Arnata, I Wayan Gawiartha, Gusti Ketut Adi
Dewantara, Pande Wayan Mataran, I Gede Suanda.
Organizzai per conto mio una performance, fotografando gli autori che
trasportavano attraverso il giardino fatato le loro opere in tralice senza più
solennità. In fin dei conti li sentivo molto vicini, sapendo bene che
l’artista, l’intellettuale spesse volte deve anche ricoprire il faticoso,
solitario ruolo di facchino dell’arte.
│Il poeta-reporter con la Venere di I Mad Aswino Aji
Photo © luciano troisio 2014│ |
Ho visitato anche il Puri Lukisan (Palazzo della Pittura), il più antico
e fondamentale museo di Bali. Sarebbe troppo impegnativo e poco rilassante parlarne,
anche solo descrivere il bel giardino, i vari padiglioni. Ma in questa breve
nota desidero sottolineare come il prestigioso materiale esposto sia ora
catalogato in modo diverso: sono indicati i donatori, che sono privati o anche
molto più spesso gli stessi artisti. Tra i più famosi: lo spagnolo Antonio
Blanco (che ha illustrato una mia cartellina) e Rudolf Bonnet, fondatore del
museo assieme al principe Tjokorda Sukawati, nonché altri componenti della benemerita
famiglia reale Sukawati.
Una importante collezione di antichi dipinti dell’antica tradizionale
Scuola di Kamasan è stata donata dall’olandese Ny Marianna van der Sleen-Van
Wessen. Quelli datati vanno dal 1605 (?) al 1804. Il mio modesto parere è che
queste date siano assai discutibili, ma sarebbe troppo lungo spiegare perché.
La mostra temporanea espone molte raffinate opere della famosa scuola
di miniaturisti di Keliki, in vendita con relativi prezzi.