Arte Balinese e il Museo Arma a Ubud │Luciano Troisio



Photo © luciano troisio 2014
Il Museo Arma a Ubud v

 Ubud è nota in tutto il mondo per essere la capitale culturale dell’isola di Bali (e probabilmente, aggiungo di mio, di tutta l’Indonesia, quarto paese del pianeta). In nessun’altra zona ch’io sappia, esiste una concentrazione di gallerie d’arte e musei come a Ubud; ne ho scritto varie volte, dato che si tratta di una meta fondamentale per tutto il turismo colto. Tutte le volte che soggiorno a Ubud visito quella mezza dozzina di musei tra i più importanti: ci sono sempre novità. Inoltre vengono spesso allestite mostre temporanee di grande interesse. Parlerò del Museo Arma, della famiglia principesca Rai, che oltre ai padiglioni museali, disposti in un giardino da favola, è anche lussuoso hotel. Non ha stanze ma ville, con piscine, fontane, giochi d’acqua. Questa parte non è pianeggiante, è situata in una valletta di straordinaria bellezza, le piante, i fiori sono davvero fantastici. Il biglietto costa 60.000 rupie (circa 4 euro) e comprende anche una consumazione presso uno straordinario bar ricco di eleganti gazebo ai margini di una smeraldina risaia. Se volete un caffè non vi daranno un cucchiaino, ma un  bastoncino di cinnamomo. In passato l’ho bevuto in compagnia di una fanciulla divina. (Ne ho purtroppo soltanto un ricordo, bellissimo).


Potrei continuare nella descrizione di autentiche magnificenze. Ad esempio, sapevo che alle 15 nella grande hall della reception si svolge la lezione di danza Legong, riservata a deliziose smorfiose ballerine dai 5 ai 10 anni. Non tutte sono brave, però lo spettacolo davvero incanta. Mi aggiravo dunque nel giardino, dopo aver visitato, per l’ennesima volta i padiglioni museali e la mostra temporanea che per l’ottimo livello mi ricordò subito la mia visita all’ultima Biennale. In attesa della lezione bambine ridenti in costume mi vennero incontro, vollero essere fotografate. Chiesi alla maestra della lezione e mi confermò che iniziava alle 15 nel padiglione della hall. Li vicino vidi improvvisamente un’istallazione straordinaria: una trentina di comuni ombrelli neri dipinti a olio erano appesi, aperti nel giardino.

│La Venere dei Rifiuti
Photo © luciano troisio 2014
E più avanti c’era una statua fatta interamente di rifiuti, di involucri usati. Oscillava tra il fantoccio che si brucia nelle sagre, un pupazzo di neve e una venere altamente carica di critica sociale, opera dell’artista I Made Aswino Aji. C’erano alberi di agrumi con frutti verdi grandi come angurie, le foto si sprecavano e sul più bello la macchina mi avvisò che la batteria era scarica...
Fu la mia fortuna, perché l’indomani tornai con batteria carica, mangiai al loro (costoso) ristorante, signorilmente non mi fecero nemmeno pagare un secondo biglietto. Ingannai l’attesa integrando con molti scatti la meraviglia del giardino. Detta meraviglia d’un tratto aumentò quando mi accorsi che gli ombrelli non c’erano più. Ero in prossimità della magnifica porta scolpita della esposizione temporanea. Entrai. I quadri erano a terra, staccati dalle pareti. Dei giovani con una scala smontavano le strane parti di altre opere formate da matasse di fili colorati (che avevo fotografato il giorno prima). Ebbene: quei giovani che potevano essere scambiati per operai erano in realtà gli artisti. Mi presentai e facemmo subito amicizia, stetti a lungo con loro che poi uscirono, si sedettero sui gradini, mangiarono anche qualche nonnulla da cartoccetti. Mi fotografai con parecchi di loro, anche con l’autore degli ombrelli che ora giacevano chiusi ammassati su una panchina. Mi donarono il catalogo e pretesi


│Quello a dx è l’autore degli ombrelli
Photo © luciano troisio 2014
 
 
 
molti autografi.
Dissi che mi aspettavo di vedere le loro opere esposte a Venezia, e in quel momento ricordai che in effetti alla Biennale esisteva un padiglione dell’Indonesia, dove avevo fotografato una serie di manichini a grandezza naturale, indossanti i costumi delle marionette Wayang, naturalmente non nella raffinata versione balinese, bensì in quella giavanese (che è più antica). Si scambiarono alcune veloci impressioni in bahasa e dalle smorfie capii che non approvavano affatto le scelte di chi detiene il potere a Giava. Mi era parso fin da subito che le loro opere alludessero a una decisa frattura rispetto all’arte tradizionale balinese e tale impressione mi fu confermata leggendo le introduzioni del catalogo scritte anche in inglese. Qualche dato: in limine una citazione da Nietzscke, soltanto in Bahasa. L’unica parola che ho capito è chaos; la Mostra è organizzata dal SDI (Sanggar Dewata Indonesia), in collaborazione col Museo Arma. Il saggio introduttivo dello scrittore Arya  Suharja si intitola: Vagabondo o prigioniero della storia, alludendo al Gruppo SDI, che espone dissacranti opere di 39 autori. L’indice fornisce nomi, indirizzi di casa ed e-mail. È stato un piacere combattere l’inedia che spesso avvilisce il turista, incontrando, conoscendo questi giovani artisti.   Desidero citare i nomi di quanti mi sono sembrati più attivi, decisi e coinvolti:

I Nengah Sujena, I Wayan Arnata, I Wayan Gawiartha, Gusti Ketut Adi Dewantara, Pande Wayan Mataran, I Gede Suanda.
Organizzai per conto mio una performance, fotografando gli autori che trasportavano attraverso il giardino fatato le loro opere in tralice senza più solennità. In fin dei conti li sentivo molto vicini, sapendo bene che l’artista, l’intellettuale spesse volte deve anche ricoprire il faticoso, solitario ruolo di facchino dell’arte.


│Il poeta-reporter con la Venere di I Mad Aswino Aji
Photo © luciano troisio 2014
Ho visitato anche il Puri Lukisan (Palazzo della Pittura), il più antico e fondamentale museo di Bali. Sarebbe troppo impegnativo e poco rilassante parlarne, anche solo descrivere il bel giardino, i vari padiglioni. Ma in questa breve nota desidero sottolineare come il prestigioso materiale esposto sia ora catalogato in modo diverso: sono indicati i donatori, che sono privati o anche molto più spesso gli stessi artisti. Tra i più famosi: lo spagnolo Antonio Blanco (che ha illustrato una mia cartellina) e Rudolf Bonnet, fondatore del museo assieme al principe Tjokorda Sukawati, nonché altri componenti della benemerita famiglia reale Sukawati.
Una importante collezione di antichi dipinti dell’antica tradizionale Scuola di Kamasan è stata donata dall’olandese Ny Marianna van der Sleen-Van Wessen. Quelli datati vanno dal 1605 (?) al 1804. Il mio modesto parere è che queste date siano assai discutibili, ma sarebbe troppo lungo spiegare perché.
La mostra temporanea espone molte raffinate opere della famosa scuola di miniaturisti di Keliki, in vendita con relativi prezzi.