Mio compleanno. Ho passato la giornata facendomi portare in moto a Campuan (2 km. da Ubud), dove c'è un fiumicello incassato in una valletta profonda dalle pareti quasi verticali, scavate nella pietra lavica. Si chiama Campuan anche il fiume. C'è un ponte, accanto al quale hanno conservato quello antico, molto stretto, fatto dagli olandesi. Li vicino c'è un famoso ristorante su quattro piani a scendere, il Murni: un posto delizioso/magico dove mi sono invitato e ho mangiato il mediocre piatto del giorno, Jamaican chicken, al piano
Il Museo Blanco a Campuan v
più basso, da solo, unico rumore
lo scroscio delle acque (ma poi sono giunti i bifolchi disturbatori). Fiori,
statue ovunque, ricoperte di muschio, offerte, tempietti deliranti, le pareti
sono ricoperte di lussureggiante fittissima vegetazione. L'altro versante della
valletta è già della tenuta Blanco. Poi sono tornato sul ponte antico,
traballante perché l'intelaiatura è metallica. Il pavimento è stato rifatto con
tavole nuove. Prima era pericolante. Dei fotografi stavano immortalando belle
modelle: pezzi di carne con abitini piuttosto discutibili e mazzo di rose rosse.
Ho rubato qualche scatto e qualche sorriso.
sul ponte antico olandese
│© luciano troisio 2014 |
ingresso al museo antonio blanco
│© luciano troisio 2014 |
Appena passato il ponte, si sale
(la zona è collinare, tutto un saliscendi) al Museo Antonio Blanco, un
famoso pittore catalano trapiantato a Bali, morto nel 1999. A suo tempo l'ho
conosciuto, mi ha gentilmnte ricevuto più volte e ha accettato di illustrare
con collages (erotici) una mia cartella.
Il museo è sfarzoso, ne ho scritto
varie volte. Lui viene chiamato il Dalì di Bali, io aggiungerei anche il
D'Annunzio. Un giorno mi ha parlato entusiasticamente anche di Boldini. Prima
di entrare ho bevuto un espresso al loro lussuosissimo ristorante, con tazzina
Illy caffè. Buonissimo e raro. Nel museo non si può fotografare. Però
all’ingresso i vigilantes si offrono di scattarne un paio. L’interno è un solo
grandissimo locale, come il Panteon, ci sono due piani di esposizione. L’opera
di Blanco è un grande inno alla donna. I visitatori non sono molti, vi sono
molte poltrone e divani su cui si può sostare al fresco, riflettere cullati da
una colonna sonora di musica lirica soffusa al minimo, civilmente. L’insieme
suggerisce un tantino di megalomania, si visitano anche altri ambienti,
gallerie, padiglioni che erano gli unici prima della costruzione del grandioso
edificio centrale.
Blanco ha avuto una vera
passione per i pappagalli. Ce ne sono ancora a decine, sia liberi che in gabbie
nascoste tra la vegetazione. Tutto è curatissimo, il personale è una folla.
Sempre al lavoro a innaffiare, curare il giardino. Mi ero ripromesso di passare
l’intera giornata lì dentro e così ho vagato nei vari ambienti. Poi mi sono
fatto fotografare con i soliti vari pappagalli, uno voleva mangiarmi un
bottone, mi ha fatto due buchi nella camicia. A mia volta ho fotografato varie
persone di tante razze, con tre o quattro animali addosso. C'erano visitatori
interessanti, gente bellissima, in incognito, che non poteva non essere famosa,
ragazzine stupende euroasiatiche con genitori bellissimi lui francese lei
balinese. Li ho ritratti con lo zoom. Hanno certamente notato il mio
interesse. Come vorrei poter parlare con chi incontro! Ho
bighellonato dentro e fuori nel meraviglioso giardino fino alle cinque.
colloquio critico
│© luciano troisio 2014
|
Sul più bello si è messo a
piovere, com’è tipico di Ubud. Allora ho pensato di mettermi subito al riparo
nel loro ristorante fatto a vantilan (padiglione tradizionale senza pareti).
C'era parecchia gente che consumava una bevanda giallastra con fiore di frangipani
offerta col biglietto d'entrata; e se ne andava. Passa un'ora e continua un
diluvio in crescendo non privo di fascino. Essendo presto, sono rimasto il solo
cliente che ha ordinato la mitica anitra crispy. Le salse erano piccantissime
inavvicinabili, però l'anitra squisita con un ottimo riso cotto con crema di
cocco. Le cameriere una più bella dell'altra, costumi tradizionali stupendi,
curate nel portamento, nel modo di camminare. Anche il personale maschile,
nella tipica giacca bianca. Insomma un ambiente davvero aristocratico, com'era
lui, che è stato insignito del titolo di Don dal re Juan Carlos. Altro che gli
straccioni australiani curvi sotto lo zaino puzzolente che frequento io di
solito. Più volte ho avuto l’opportunità di notare che la gente nei musei è
completamente diversa dall’anonima volgare folla dei turisti generici.
Una ragazza si è avvicinata al
mio tavolo e ha cominciato a parlarmi (Io non capisco quasi nulla se non me lo
ripetono, quindi non sono risultato un grande seduttore). Abbiamo tuttavia amabilmente
conversato un bel po'. Come temevo, la ragazza deve tornare a casa nel
villaggio che dista 45 minuti, in moto, al buio, sotto la pioggia. Dopo uno scroscio di due ore, ormai in piena notte, sono stati così signori da accompagnarmi in auto all'albergo.