Geometria,
simmetria e psicanalisi
John
Cage era solito contrapporre il proprio orientamento verso la pittura
geometrica astratta all’arte automatica: quest’ultima costituirebbe «un modo
per ripiegarsi su se stessi, soffermandosi inconsciamente sui propri ricordi e
sulle proprie sensazioni»(1) . È per questo che Cage, come notava anche Edoardo
Sanguineti(2) , non apprezzava l’estetica surrealista, chiusa sull’io e troppo
collegata alla psicanalisi, e le preferiva, invece, il Dada, aperto alla realtà
e alla sperimentazione su di essa, non limitandosi a catalogarla in termini di
bello o di brutto. Lungo questa china, la sperimentazione di Cage assumeva lo
zero come base e prescindeva così, perché tutto le fosse permesso, da qualsiasi
intenzione: «io vorrei che l’arte scivolasse via da noi, − chiosava nel 1978 −
verso il mondo in cui viviamo»(3) . Se, ora, si osservano le “scritture
bianche” realizzate da Mark Tobey, come quelle di Robert Rauschenberg da Cage tenute
in grande considerazione, esse, con la loro superficie pressoché completamente
dipinta (che un po’ esaspera il suprematismo del Quadro bianco su fondo bianco
di Kazimir Malevič e che troverà poi una forma omologa nelle rilievografie
dell’italiano Franco Grignani), indurrebbero ad aprire gli occhi, a vedere ciò
che c’è da vedere o, se si vuole, a fare emergere ciò che l’inconscio contiene.
Appare evidente come la psicanalisi, scacciata dalla porta, in un certo senso,
rientri dalla finestra. Lo stesso Espressionismo astratto (etichetta troppo
sommaria cui è stata spesso ricondotta l’opera di Cage) fonda la sua ragione su
una superficie assolutamente priva di un qualsiasi centro di interesse(senza
alcun bisogno di climax, «senza articolazioni compositive che privilegino
questa o quella parte»)(4) , che arrivi a espandersi quasi oltre la cornice,
che dia luogo a un’opera senza un inizio, né parti intermedie, né fine e che
sia priva di punti focali(5) : all over painting è stata definita, per
l’appunto, la pittura che copre tutta una cosa, tutto uno spazio, in maniera
omogenea: «non ci sono vuoti, e non c’è alcun luogo in cui non sia stato fatto
qualcosa, con pochissime eccezioni assolutamente trascurabili»(6). Cage, in
un’opera d’arte, non apprezzava l’orientamento o, come egli stesso precisava
sempre nel 1965, la simmetria («non sono interessato alla simmetria»(7) .
Tuttavia, se della simmetria si considera l’accezione psicanalitica (che,
intanto, è rientrata dalla finestra), non si può non constatarne la rilevanza
nel processo di comprensione e di analisi di un lavoro artistico. È Cage
medesimo che tende a considerare e la simmetria e la superficie continua priva
di qualsiasi centro come spesso coincidenti, specialmente se si esaminano dalla
parte dell’esperienza di chi osserva: in base a ciò, le opere di artisti
ritenuti agli antipodi, come Joseph Albers e Jackson Pollock, possono impegnare
l’osservatore in un’esperienza tutto sommato simile. Proprio parlando qualche
anno dopo di Marcel Duchamp e della filosofia dell’anarchico Henry David
Thoreau, Cage ammetterà come «sì e no non sono altro che bugie [...] mantenendo
la distinzione, può voler significare che nessuna delle due è vera. L’unica
risposta giusta è quella che ci permetterà di averle entrambe»(8) . Non ci vuole molto a finire per accostare il precetto che Cage fa suo
alla definizione che Ignacio Matte Blanco fornisce del principio di simmetria(9)
; come è noto, secondo lo psicanalista cileno, a tale principio si atterrebbe
il sistema inconscio, in base a una interpretazione che è perfetta per
circoscrivere le regole bivalenti dell’attività dell’artista di Los Angeles: ad
esempio, le norme estetiche cui si uniforma la serie degli otto plexigrammi
(collage o assemblaggi su plexiglass) e delle due litografie che Cage intitola Not Wanting to Say Anything About Marcel
e dedicati nel ’69 a Duchamp. Nei plexigrammi, le parole sono cancellate o poste in
uno stato di disintegrazione tale da consentire il passaggio dalla pittura
geometrica al regime del casuale. Queste operazioni casuali prevedono, come si
è detto, la rinuncia a qualsiasi intenzione: rinuncia che si può perseguire,
secondo un uso molto disciplinato, attraverso la moltiplicazione delle immagini
e che implica anche la scelta, come fattore preponderante, di una certa
uniformità. Risulta molto affascinante il collegamento tra questo spazio uniformemente
disseminato di cose, del quale ho parlato anche in altre occasioni(10) , e
quello stato di articolata costipazione (e, talvolta, di sovrapposizione) che
supera persino, procedendo a ritroso, gli stretti rapporti che la ripetizione e
la ricorsività intrecciano con la funzione della memoria. Al di là di essi,
l’arte trova, secondo Cage, una superficie (basata sulla teoria del caso e,
quindi, anarchica, ma mai caotica) che collega la mente degli uomini alla
realtà che si trovano a vivere; insistendo su questa superficie spontanea, le
convinzioni, le idee, le percezioni si rivitalizzano e l’Io, così eticamente
disciplinato e rinnovato, si apre al mondo come attraverso una finestra; mettendosi
in gioco, l’Io accetta − come efficacemente sintetizza Sanguineti nel suo
commento alla Lettera a uno sconosciuto − «le incertezze del cambiamento»(11) .
1 Cfr. J. CAGE, Lettera a uno sconosciuto [1987], a cura di R.
Kostelanetz, trad. it. di F. Masotti, Roma, Socrates, 1996, p. 243. Il corsivo
è mio.
2 Cfr. E. SANGUINETI, Praticare l’impossibile, in J. CAGE, Lettera a
uno sconosciuto [1987], op. cit., p. 18. 3 Ivi, p. 291. Sui rapporti tra Dada e
i dadaismi del contemporaneo si veda il bellissimo catalogo della mostra
tenutasi a Pavia dal 7 settembre al 17 dicembre 2006 e curata, come il
catalogo, da Achille Bonito Oliva: DaDada. Dada e dadaismi del contemporaneo
(1916-2006), a cura di A. Bonito Oliva, Milano, Skira, 2006.
4 Cfr. M. CORGNATI, F. POLI, Dizionario d'arte contemporanea. Dal 1945
a oggi, Milano, Feltrinelli, 1994, s.v. All over, p. 9.
5 Cfr. J. CAGE, Lettera a uno sconosciuto [1987], op. cit., p. 245.
6 Ivi, p. 196.
7 Ivi, p. 247. 8 Ivi, p. 249.
8 Ivi, p. 249.
9 Cfr. I.
MATTE BLANCO, L'inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica [1975],
trad. it. di P. Bria, Torino, Einaudi, 1981.
10 Si rimanda
a A. GAUDIO, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità
alle origini della poesia visiva in Italia, in «Critica Letteraria», XXXIX,
fasc. III, n. 148, settembre 2010, pp. 592-611; dedicato all’opera di Luc
Fierens, Anna Guillot e Agostino Tulumello il mio recentissimo Elementarità e
critica. Note sulla rinnovata disposizione della Poesia Visiva, in I linguaggi
della sperimentazione, catalogo della mostra a cura di C. De Stasio, Brindisi,
s.d. [ma 2014], pp. 28-29
11 E.
SANGUINETI, Praticare l’impossibile, op. cit., p. 16.
Leggi tutto in Alessandro
Gaudio│ Consistenza e caso. Idea e confini delneodadaismo da Cage a Pleynet e oltre, on “Diacritica”
n.1, febbraio 2015: www.diacritrica.it ▌