Luciano Troisio │Le Città del Re Lebbroso






                                               La Terrazza del Re Lebbroso  Siem Reap  ©mnstatic.com

 
Intervista di  Marina Monego

 Conosco Luciano Troisio da una decina d’anni e l’ho sempre visto in movimento, pronto a fare le valigie per l’Estremo Oriente, vuoi verso la prediletta Bali, dove vive ancora un’umanità bambina, ricca di gentilezza e bellezza, vuoi verso paesi poverissimi e oppressi come il Laos, o addirittura instabili politicamente come il Myanmar, i cui confini infatti sono risultati talvolta invalicabili. Viaggiare per Luciano è una necessità, un imperativo che non viene meno col trascorrere degli anni, anzi sembra farsi sempre più forte. Da un lato è un modo per tenersi vivo, attivo, attento ad evitare imbroglioni e lestofanti che sovrabbondano ovunque e sono pronti a turlupinare soprattutto il turista occidentale, dall’altro viaggiare gli consente di sfuggire all’atmosfera nebbiosa e deprimente dell’acherontica pianura padana. Seppure in giro per il mondo Luciano non si dimentica mai di essere un occidentale, un italiano, un padovano, non tralascia strali ironici verso pseudointellettuali rimasti a casa e “galline padovane” pettegole e curiose, che immaginano pruriginosi risvolti erotici dei suoi viaggi in località effettivamente note per il turismo sessuale. Oltre tutto non manca di mettere in valigia una ricca scorta di specialità dolciarie nostrane per i momenti di crisi. L’ultimo libro di Troisio, Le città del Re Lebbroso. Appunti dall’Estremo Oriente contiene una serie davvero ampia di reportages, frutto di anni di viaggi, che spaziano dal Laos-Cambogia-Vietnam alla poco ospitale Australia, terra di ragni e di serpenti; dalla Thailandia al desolato Myanmar fino a Timor Est, luogo in cui non tornare, dove l’unica nota positiva è l’ospitalità delle suore canossiane, pulitissime, sobrie e molto amate dal popolo, che vede come spendano tutte le loro energie per la promozione della donna. Ho avuto il piacere di ascoltare alcuni di questi racconti di viaggio dalla viva voce di Luciano e ritrovarli adesso raccolti in un libro mi ha dato un immenso piacere, regalandomi ore di lettura sempre interessante e vivace. In tanti spostamenti Troisio ha modo di partecipare anche a eventi unici come la cremazione reale della principessa sorella maggiore del re Bumihol, a Bangkok nel 2008, e del re Sihanouk in Cambogia nel 2013, cerimonie sontuose, lunghissime, costosissime e di difficile comprensione per un occidentale. Non mancano neppure le fatiche e i disagi, i paesi in cui viaggia spesso non offrono tutti i comfort cui siamo abituati noi occidentali, gli alloggi sono spartani, il disturbo causato da eterni lavori edilizi è quasi costante e gli spostamenti si svolgono su mezzi scomodi e strade disastrate.
Proprio partendo da questo aspetto, volevo cogliere l’occasione per porre alcune domande all’autore.

Luciano Troisio Le città del Re Lebbroso e le suore Canossiane
 
 




Luciano Troisio
Le città del Re Lebbroso
Come nasce questo libro?

R.: Ho esitato prima di decidermi a stamparlo. Molto materiale, e quella pubblicata è solo una parte, circa la metà, di quanto ho scritto su questi paesi (escludo per adesso Bali). Sfrondare? Redigere un'autoantologia? Sono a lungo rimasto nell'indecisione; nugae effimere, inconsistenti trucioli, non valgono la candela. E poi ormai è inutile pubblicare alcunché: basta metterlo in rete. Il cartaceo è costoso, non viene distribuito, sebbene sia destinato, secondo certi accreditati ambienti antiquari, a divenire in futuro oggetto certamente ricercatissimo e ambìto per via dell'esiguità delle attuali tirature, ulteriormente limate dal macero che svuota i magazzini. Inoltre la rete è perfino sovraccarica di informazione derivante dalle cosiddette recensioni dirette sui vari siti visitati da turisti. Ce ne sono in quantità pressoché infinita, in tutte le lingue, e traducibili all'istante, per quanto in modo sommario. Si legge di tutto, a sazietà, specie nell'ambito dello scadente, del contraddittorio e dell'istant/mediocre. E infinite sono le interessanti immagini allegate. Quindi hanno ragione gli editori cartacei, più che altro alle prese con bollette incombenti: i libri di note di viaggio non interessano a nessuno. Però una semplice edizione cartacea di queste annotazioni minimaliste, che amo definire farfugli del quotidiano, forse ha diritto di esistere, di essere de/scritta a fuoco invece di annullarsi nell'indistinto perso brusio della neve di fondo, della foschia globalizzata. Penso con nostalgia a quando nel secolo scorso facevo l'accompagnatore turistico e si organizzavano ancora le gentili proiezioni di diapositive, serate festose frequentate da molte belle ragazze, ormai nonne. Ora alle presentazioni non viene nessuno. Bisogna mendicare ruffianandosi gli amici, tutti hanno molto “da fare” (nel senso che non hanno ancora “fatto” nulla) e comunque nello sparuto gruppo di presenti (si cerca di scegliere solo salette piccolissime, per non dare la desolante impressione del deserto) non manca mai l'imbecille che interviene a contraddire, a dichiarare che a lui espertissimo non è mai successo nulla di quanto sostengono gli incauti presentatori. Ha molto contribuito alla mia indecisione anche la difficoltà di reperire il materiale perduto in vari computer, alcuni dei quali irreversibilmente fuori uso (ora di funzionanti ne ho solo tre più due dischi esterni), e in infinite pile di cd. [I tecnici informatici mi terrorizzano oracolando che i supporti dei dischi avranno al massimo 20 anni di vita e poi saranno illeggibili: precipitiamo verso il precario. Non lasceremo nulla ai curiosi extraterrestri.] Ricordo con precisione alcune pagine che non ho più trovato; inoltre ho varie decine di agende che non prendo nemmeno più in considerazione, tanto è vero che a un certo punto ho capito che lo scrittore non paranoico raramente è in grado di “concludere”, deve quasi sempre saper interrompere il lavoro. A questo si aggiunga che il prestigioso prefatore Massimo Pamio (di eccessiva generosità e oceanica cultura), avendo letto per intero le bozze che contenevano anche le oltre cento pagine del mio Diario Shanghaiese, mi ha telefonato per avvertirmi che si trattava di un capolavoro, che dovevo assolutamente stralciarlo e affidarlo a lui che l'avrebbe proposto ad amici editori da un milione di copie, più le traduzioni. Entusiasta per essere stato finalmente scoperto anche se tardi, gli mandai due copie in cartaceo. Lui mantenne la promessa, ma gli editori da un milione di copie a tutt'oggi non hanno risposto. Così il volume è uscito senza il diario shanghaiese che risulta tuttora inedito (sebbene ne esista in rete un'edizione in e-book). Alla fine, con un faticosissimo certosino lavoro - che non ha eliminato almeno una dozzina di refusi - siamo giunti stremati alle bozze definitive e alla stampa, di questo che risulta il secondo cospicuo volume di una probabile trilogia (dopo Nuvole di drago) che sarà completata se vedrà la luce il terzo volume su Bali.
Avendo io dedicato molti moduli universitari alla Letteratura italiana di viaggio del secolo XX, piuttosto seguiti dagli studenti, e scritto nel mio piccolo parecchi saggi accademici su vari autori, non posso esimermi dal ricordare come sia mutato il mondo dagli inizi del secolo scorso: penso ai prestigiosi reportages di Luigi Barzini dai vari fronti asiatici: la guerra russo-giapponese, la rivolta dei Boxer e relativa spedizione punitiva delle potenze europee compresa l'Italia, poi il celebre raid Pechino-Parigi, solo per citare un autore che quando usciva sul giornale raddoppiava le tirature, e poi ancora Guido Gozzano in India (a tutt'oggi oltre 80 tra edizioni e ristampe!), e negli anni Trenta Giovanni Comisso in Cina, Corea e Giappone; e nel dopoguerra, con Mao al potere dal 1949, le decine, le centinaia di celebri volumi sulla “cara” Cina, di tutti gli autori più famosi che sarebbe troppo lungo elencare. Poi il 1989, la fine di un mondo e il nuovo millennio dove risultiamo rarefatti sopravvissuti seppur tecnologicamente aggiornati, noi che prima non avevamo che macchine da scrivere e rozze giurassiche telescriventi Olivetti a schede perforate.
Un breve cenno laterale alle visite degli stranieri nel nostro paese, il prestigioso Grand Voyage: argomento fondamentale e di eccellenza, su cui non occorre spendere parole. Alcuni miei studenti di indirizzo linguistico su mia proposta se ne sono occupati. Io, italianista, mi sono presto reso conto delle mie modeste energie, e quindi pur di malavoglia ho limitato l'interesse agli scrittori di lingua italiana dal 1850 e al Continente asiatico, schedando parecchie centinaia di volumi.

Il viaggiare: passione, interesse oppure, con l’andar del tempo, autentico “daimon” che ti spinge a essere sempre in movimento nonostante alcuni disagi?
R.: In effetti appartengo a una categoria di illustri irrequieti. Con alcuni di questi sono in perenne contatto e ci scambiamo molte notizie di prima mano. Purtroppo i disagi sono in aumento, anche i prezzi. In questi mesi poi abbiamo assistito al crollo del valore dell'Euro, con un danno di almeno il 15% sul cambio: l'anno scorso per 100 euro si avevano circa 138 dollari. Ora se ne hanno 108. Confesso inoltre che molto spesso mi annoio (ma è già stato detto e scritto da molti, con la nota formula: io era melancholichissimo), che la prossemica con l'inespungibile folla subumana mi infastidisce sempre più, che molto spesso nei piccoli centri si mangia male, il riso è una papparella immonda e non c'è scelta. Ma noi italiani lo mettiamo già in conto: sappiamo di andare verso il probabile schifo. L'inquinamento anche acustico è fastidioso. I miei occasionali compagni di viaggio -non privi di problemi- sembrano confortarsi alla grande bevendo e “fumando”. Io no, sono inconsolabile e comincio a stancarmi.
Diventando vecchi si fa molta fatica a dormire. Sono ormai dipendente da farmaci. In ogni caso mi sveglio alle cinque in preda a incubi non verbalizzabili. Non oso alzarmi. Di prima mattina io e Sgarbi ci sentiamo malissimo. Una volta ero un grande camminatore. Ora mi stanco subito. Se possibile me ne sto seduto in qualche dehors, evito di bere caffè, preferisco vere spremute di frutta, controllo il ghiaccio (che sia cilindrico e con un foro  centrale), e resto a guardare la gente multicolore, il fiume della vita, come si diceva una volta a Nuova Delhi: è un esercizio di estremo interesse, che mi istruisce e diverte. Anche la contemplazione degli spettacoli naturali è risarcente e commovente.
Gli aspetti davvero positivi: si evita l'inverno della nebbiosa pianura padano-veneta, in Indocina il clima è ottimo, non è troppo caldo e non c'è mai un giorno di pioggia fino ad aprile. Inoltre riesco a occupare i tempi morti studiando vari argomenti anche non strettamente poetici; ho portato piccoli libri di enorme peso specifico (la mia valigia pesa soltanto 12 chili e non intendo comperare nulla), perché ho scoperto che i libri più importanti in assoluto raramente hanno più di cento pagine (in questo momento sono attratto dall'affascinante Teoria delle Stringhe, nonostante non abbia le conoscenze di alta matematica necessarie). Inoltre, sebbene con fatica, portandomi dietro il leggero disco esterno da 500G, riesco a lavorare e a pazientemente sistemare vecchi diari. Conto di avere per Pasqua un volume pronto, sarà in 200 copie. Invece faccio sempre più fatica a scrivere ex novo. (Anche a rispondere alle tue domande, seppure stimolanti; lo faccio molto lentamente, un'ora al giorno, e d'altra parte tu sei l'unica che si sia benignamente degnata di accennare a una risposta, tra tutti quelli che hanno ricevuto in dono il volume in oggetto. Inoltre tu l'hai anche letto davvero. Nessun altro mi ha detto una sola parola).

Le mete dei tuoi viaggi: alcuni luoghi sono degli autentici leit-motiv, penso a Bali o ai templi di Angkor: è la loro infinita bellezza ad attirarti così spesso? Hai mai pensato di trasferirti lì?
R.: Ho visitato lo straordinario sito di Angkor varie volte. Ora non ci torno più. Sebbene da Phnon Penh ci si possa arrivare facilmente in cinque ore di autobus. C'è anche un affollatissimo aeroporto. Invece sono sempre attirato molto dalla raffinatissima cultura Indu-Balinese (ma non dall'aspetto turistico e burocratico/poliziesco, davvero schifoso e massimamente corrotto). Non ho mai pensato di abbandonare davvero la penisola, sebbene non mi senta più legato a nulla. Ma non rinuncerei mai alla cultura europea. Sono fermamente convinto che molti miserabili traffichini espatriati non abbiano perso nulla, perché nulla avevano da perdere essendo analfabeti totali. Chi non ha nulla da perdere è molto facilitato: i disperati possono solo guadagnare.


Il titolo del libro “Le città del Re Lebbroso”. Raccontaci qualcosa di questo misterioso Re, cui dedichi alcune pagine nella parte finale del libro, citando tra l’altro il naturalista francese
dell’Ottocento Mouhot.

R.: Questo argomento richiederebbe da solo un lungo capitolo a parte. Proprio oggi ho di nuovo visitato il Museo Nazionale e ho finalmente visto l'originale della statua nella galleria meridionale (al centro del cortile c'è un'edicola che protegge una mediocre copia della stessa scultura. Tutti si fotografano davanti alla copia, la vita è fatta così). La storia del re lebbroso è assai complicata, come anche quella di parecchie altre statue, collegate a superstizioni e oggetto di fanatico culto. Molte delle sculture che ho rivisto oggi risalgono al sesto secolo dopo Cristo, e rappresentano divinità indù (il buddismo è arrivato nell' impero Khmer molti secoli più tardi). Non sarei molto sicuro delle datazioni, però molte di queste opere gareggiano certamente in bellezza con quelle dell'Età di Pericle (di mille anni prima). Su Mouhot ho già scritto a lungo. Ha scoperto Angkor per caso: non era un archeologo ma un naturalista. Non mi resta che rinviare alla lettura del suo libro (e del mio).

Durante i tuoi viaggi acquisti spesso oggetti d’antiquariato, monete, monili, cartoline e francobolli e altro. Qual è l’oggetto più strano che hai mai acquistato? A volte penso che potresti allestire un piccolo museo e mi vengono in mente i collezionisti dei secoli passati, ti senti un po’ vicino a loro?
R: Non mi sento affatto vicino a nessuno. In passato comperavo soprattutto gioielleria anche antica, specie in India, nel Rajasthan, argento di alta qualità, collane di coralli, turchese; ma non per me. Lo facevo (per importanti regali alle morose e) per quella decina di amiche/clienti che poi mi comperavano “le cose belle”. Era un modo per pagarmi da studente il biglietto aereo. Quindi non mi è rimasto quasi nulla, anche perché ho subito vari furti: le mie casse dalla Cina mi sono state consegnate dalla SART di Tombolo, sventrate. La denuncia ai Carabinieri non è servita a nulla. Avevo anche una preziosa collezione di antiche ceramiche e porcellane italiane e francesi. L'anno scorso, tornando dall'estero i miei premurosi vicini mi hanno chiesto se avevo trovato tutto in ordine. Questa strana insolita domanda mi ha molto impensierito. Essendo io per mestiere uno studioso analista del linguaggio, conoscendone abbastanza le segrete leggi e soprattutto le trappole, ho avvertito un infallibile sibilo bergsoniano; ho subito pensato anche alla struttura del “motto di spirito” freudiano (infatti eravamo in tre: lei parlava a me perché il ganzo presente godesse della sfida). E in contemporanea si verificava una involontaria sottigliezza che solitamente diventa infallibile prova perché immette nella giusta direzione di indagine: il suo inconscio non controllabile quindi le ordinava di essere scoperta. (Qualche mese dopo ne parlò anche la criminologa Roberta Bruzzone a proposito delle fascette da elettricista della mamma di Loris). L'appartamento era apparentemente in ordine ma feci quello che non avevo fatto da 3 anni, aprii tutti gli armadi e cassetti. Sorpresa: le mie collezioni più preziose non c'erano più. Sono rimasto profondamente addolorato, non solo per il valore venale, ma anche per aver allevato serpi, che mi hanno anche minacciato: se continui a parlare finisce male. Non ho più il senso del collezionismo e non frequento nemmeno più i mercatini, da cui tornavo sempre onusto di sacchetti di libri molto interessanti, rarissime inestimabili prime edizioni di narrativa e poesia, e che costavano pochissimo; ma ora, colmato anche il bagno e il garage, non ho davvero più spazio se non per gli e-book. Ho acquistato molti oggetti misteriosi e strani (ad es.: un “bastone per fabbricare la pioggia”, avuto da uno sciamano Batak nell'isola di Sumatra, sparito anche quello. Sarà stato lui?). Ma l'oggetto che non dimenticherò mai e che ora sarà nascosto chissà dove (io un'idea ce l'ho), è una coppa ottocentesca di un preziosissimo servizio del Caffè Pedrocchi, di marca Ginori. Io l'ho casualmente scovata a Budapest una quarantina di anni fa (probabilmente qualche ufficialetto austroungarico l'aveva rubata per ricordo) e l'ho riportata a Padova. 

Leggendo le pagine su Timor Est sono rimasta favorevolmente colpita della figure delle suore canossiane, che sembrano costituire l’unica nota positiva in un paese altrimenti desolato e poverissimo. Raccontaci di loro.
R.: Timor è uno dei luoghi più strani che abbia visitato. L'ONU è una presenza massiccia, la popolazione di circa un milione di individui è mantenuta dall'Alto Commissariato per i Rifugiati. Il reddito pro capite è di mezzo dollaro al giorno.  I prezzi sono altissimi, non c'è nulla da acquistare. È il paese più costoso del mondo dopo gli USA. Dovevo starci 30 giorni, però me ne sono tornato quasi subito a Bali. Sono stato ospite al Liceo femminile delle adorabili Suore Canossiane. Il vero motivo per cui mi sono trattenuto una decina di giorni è stato diciamo di tipo editoriale. Infatti ho accettato (con un po' di turbamento) volentieri di leggere e risistemare in un'edizione in lingua italiana (la loro Sede centrale è in provincia di Verona), la vita esemplare di Suor Erminia Cazzaniga, originaria di Vimercate, barbaramente assassinata con altri sei religiosi durante la folle invasione indonesiana della ex colonia portoghese Timor Este, abbandonata al suo destino dagli ex padroni. La Madre Superiora Prof.ssa Guillermina Marcal (che è anche ordinario di Inglese e Portoghese all'Università Statale di Dili) aveva scritto un'ampia biografia: Martires da Caridade con vasta appendice di testimonianze di varie persone relative a Suor Erminia, usando la lingua portoghese mista all'italiano. Non è stato un lavoro semplice. La Superiora non aveva molto tempo da dedicarmi. Abbiamo riletto insieme la mia trascrizione di ogni capitolo soffermandoci sui punti dubbi. Ovviamente sono intervenuto soltanto a livello lessicale-sintattico. Ho anche approfittato del fatto che in refettorio la Superiora mi faceva sedere alla sua destra. Era l'unica opportunità che avevo per conversare con lei. Ciò mi ha permesso di farle molte domande in molti campi, e di ricostruire le vicende dell'occupazione indonesiana che ha coinvolto per anni le quattro sedi  canossiane nella capitale Dili, presso le quali molte migliaia di timoresi avevano trovato rifugio e sostentamento. Non posso dimenticare il tratto di gentilezza di cui sono stato oggetto da parte di tutte le sorelle timoresi, molte assai giovani. Ricordo inoltre la particolare dolcezza dei cori e della musica anche religiosa, imparentata, come del resto la loro lingua (che si chiama Tètun), con quella polinesiana.

 Nei tuoi viaggi incontri tantissime persone, che descrivi, alcuni paiono personaggi da romanzo. Il tuo interesse al linguaggio del corpo è sempre molto alto, pensi che alle volte tale linguaggio possa sostituire quello parlato? I due linguaggi si completano per la comprensione dell’essere umano? Degli asiatici dici che tendono, anche nei momenti di lutto, a non esprimere sentimenti se non quello del rispetto, dunque in loro emerge maggiormente il linguaggio della gestualità? Possiamo fare un confronto con la nostra cultura, che ormai fa un uso e un abuso della parola?

 R.: La folla in generale è una bestia informe. Non è possibile dire nulla. Nel  mondo del turismo si vede di tutto e di peggio. I pretesti per litigare ci sono a ogni piè sospinto. Il turista è l'oggetto e il soggetto della rapina. Si incontrano persone corrette e non. I maleducati sono la grande maggioranza. Ma è anche vero che l'asiatico resta indifferente ai più molesti rumori, non lo fa apposta, è proprio stupidità culturale, parla a voce alta, tiene radio e Tv a tutto volume. I camerieri nullafacenti si siedono sulla soglia della tua camera a chiacchierare e ridacchiare per ore. Una volta ripresi educatamente si ripresentano dopo cinque minuti e ricominciano. Direi che proprio non ci arrivano.
In generale l'asiatico dovrebbe essere molto controllato, tenere un comportamento di distacco che molto spesso è finzione. L'asiatico non esterna i sentimenti, né il dolore né l'affetto, ma questa non è una regola fissa, dipende anche dalle diverse etnie. Il maiale cinese sbadiglia rumorosamente enfatizzando e sputa dovunque, la signora giapponese può essere il massimo dell'educazione e del rispetto di una etichetta quasi invisibile, ma io ho avuto vicine di posto giapponesi urlanti e sghignazzanti come sadiche prostitute.
L'asiatico è al primo posto nella gerarchia dei truffatori e imbroglioni: nessuno lo supera. Ma esistono anche élites di signori in tutte le etnie. Incontrarli è poco probabile. Molto più frequenti gli straccioni. Non sono razzista: ci metto anche i turisti.
Approfitto della tua domanda per tradurre in sintesi alcuni consigli fornitimi oggi assieme alla pianta di Phon Penh: l'Ufficio Turistico della città reputa opportuno suggerire in inglese agli stranieri le seguenti esemplari raccomandazioni:
(nelle varie circostanze) vestire in modo appropriato, imparare i gesti corretti (allude a come bisognerebbe tenere le mani giunte nelle varie posizioni di saluto e di ringraziamento. Molto istruttivo a questo proposito è seguire in TV le manifestazioni ufficiali e specie quelle che coinvolgono la famiglia reale, i bonzi e i politici, con moine infinite), imparare qualcosa della lingua (piuttosto ostica), togliersi le scarpe (in certi luoghi), usare correttamente le mani (allude al fatto che non bisogna usare la mano sinistra quando si mangia e che è segno di rispetto consegnare qualunque oggetto con ambedue le mani, mai con la sinistra), non “criticare” le persone, specialmente in pubblico (concetto collegato al principio generale: “come salvare la faccia”). Personalmente cerco sempre di rispettare queste norme (non sempre me ne ricordo), ma c'è anche un'altra decina di divieti validi specie in Thailandia, che non enumero per non tediare la folla dei lettori. 

 


La Leggenda del Re Lebbroso on Uh Magazine nell’aprile2014