░ Intervista di Marina Monego
Proprio partendo da questo aspetto, volevo cogliere l’occasione per porre alcune domande all’autore.
Luciano Troisio ♦ Le città del Re Lebbroso e le suore Canossiane
Luciano Troisio
│ Le città del Re Lebbroso
|
Come nasce questo libro?
R.:
Ho esitato prima di decidermi a stamparlo. Molto materiale, e quella pubblicata
è solo una parte, circa la metà, di quanto ho scritto su questi paesi (escludo
per adesso Bali). Sfrondare? Redigere un'autoantologia? Sono a lungo rimasto
nell'indecisione; nugae effimere,
inconsistenti trucioli, non valgono la candela. E poi ormai è inutile
pubblicare alcunché: basta metterlo in rete. Il cartaceo è costoso, non viene
distribuito, sebbene sia destinato, secondo certi accreditati ambienti
antiquari, a divenire in futuro oggetto certamente ricercatissimo e ambìto per
via dell'esiguità delle attuali tirature, ulteriormente limate dal macero che
svuota i magazzini. Inoltre la rete è perfino sovraccarica di informazione
derivante dalle cosiddette recensioni
dirette sui vari siti visitati da turisti. Ce ne sono in quantità pressoché infinita,
in tutte le lingue, e traducibili all'istante, per quanto in modo sommario. Si
legge di tutto, a sazietà, specie nell'ambito dello scadente, del
contraddittorio e dell'istant/mediocre. E infinite sono le interessanti
immagini allegate. Quindi hanno ragione gli editori cartacei, più che altro
alle prese con bollette incombenti: i libri di note di viaggio non interessano
a nessuno. Però
una semplice edizione cartacea di queste annotazioni minimaliste, che amo
definire farfugli del quotidiano,
forse ha diritto di esistere, di essere de/scritta a fuoco invece di annullarsi
nell'indistinto perso brusio della neve di fondo, della foschia globalizzata. Penso
con nostalgia a quando nel secolo scorso facevo l'accompagnatore turistico e si
organizzavano ancora le gentili proiezioni di diapositive, serate festose
frequentate da molte belle ragazze, ormai nonne. Ora alle presentazioni non
viene nessuno. Bisogna mendicare ruffianandosi gli amici, tutti hanno molto “da
fare” (nel senso che non hanno ancora “fatto” nulla) e comunque nello sparuto
gruppo di presenti (si cerca di scegliere solo salette piccolissime, per non
dare la desolante impressione del deserto) non manca mai l'imbecille che
interviene a contraddire, a dichiarare che a lui espertissimo non è mai successo
nulla di quanto sostengono gli incauti presentatori. Ha molto contribuito alla
mia indecisione anche la difficoltà di reperire il materiale perduto in vari
computer, alcuni dei quali irreversibilmente fuori uso (ora di funzionanti ne
ho solo tre più due dischi esterni), e in infinite pile di cd. [I tecnici
informatici mi terrorizzano oracolando che i supporti dei dischi avranno al
massimo 20 anni di vita e poi saranno illeggibili: precipitiamo verso il
precario. Non lasceremo nulla ai curiosi extraterrestri.] Ricordo
con precisione alcune pagine che non ho più trovato; inoltre ho varie decine di
agende che non prendo nemmeno più in considerazione, tanto è vero che a un
certo punto ho capito che lo scrittore non paranoico raramente è in grado di
“concludere”, deve quasi sempre saper interrompere
il lavoro. A questo si aggiunga che il prestigioso prefatore Massimo Pamio (di
eccessiva generosità e oceanica cultura), avendo letto per intero le bozze che
contenevano anche le oltre cento pagine del mio Diario Shanghaiese, mi ha
telefonato per avvertirmi che si trattava di un capolavoro, che dovevo
assolutamente stralciarlo e affidarlo a lui che l'avrebbe proposto ad amici
editori da un milione di copie, più le traduzioni. Entusiasta per essere stato
finalmente scoperto anche se tardi, gli mandai due copie in cartaceo. Lui
mantenne la promessa, ma gli editori da un milione di copie a tutt'oggi non
hanno risposto. Così il volume è uscito senza il diario shanghaiese che risulta
tuttora inedito (sebbene ne esista in rete un'edizione in e-book). Alla fine,
con un faticosissimo certosino lavoro - che non ha eliminato almeno una dozzina
di refusi - siamo giunti stremati alle bozze definitive e alla stampa, di
questo che risulta il secondo cospicuo volume di una probabile trilogia (dopo Nuvole di drago) che sarà completata se vedrà la luce il terzo volume su
Bali.
Avendo io dedicato molti moduli universitari alla Letteratura italiana di viaggio del secolo XX, piuttosto seguiti dagli studenti, e scritto nel mio piccolo parecchi saggi accademici su vari autori, non posso esimermi dal ricordare come sia mutato il mondo dagli inizi del secolo scorso: penso ai prestigiosi reportages di Luigi Barzini dai vari fronti asiatici: la guerra russo-giapponese, la rivolta dei Boxer e relativa spedizione punitiva delle potenze europee compresa l'Italia, poi il celebre raid Pechino-Parigi, solo per citare un autore che quando usciva sul giornale raddoppiava le tirature, e poi ancora Guido Gozzano in India (a tutt'oggi oltre 80 tra edizioni e ristampe!), e negli anni Trenta Giovanni Comisso in Cina, Corea e Giappone; e nel dopoguerra, con Mao al potere dal 1949, le decine, le centinaia di celebri volumi sulla “cara” Cina, di tutti gli autori più famosi che sarebbe troppo lungo elencare. Poi il 1989, la fine di un mondo e il nuovo millennio dove risultiamo rarefatti sopravvissuti seppur tecnologicamente aggiornati, noi che prima non avevamo che macchine da scrivere e rozze giurassiche telescriventi Olivetti a schede perforate.
Un breve cenno laterale alle visite degli stranieri nel nostro paese, il prestigioso Grand Voyage: argomento fondamentale e di eccellenza, su cui non occorre spendere parole. Alcuni miei studenti di indirizzo linguistico su mia proposta se ne sono occupati. Io, italianista, mi sono presto reso conto delle mie modeste energie, e quindi pur di malavoglia ho limitato l'interesse agli scrittori di lingua italiana dal 1850 e al Continente asiatico, schedando parecchie centinaia di volumi.
Avendo io dedicato molti moduli universitari alla Letteratura italiana di viaggio del secolo XX, piuttosto seguiti dagli studenti, e scritto nel mio piccolo parecchi saggi accademici su vari autori, non posso esimermi dal ricordare come sia mutato il mondo dagli inizi del secolo scorso: penso ai prestigiosi reportages di Luigi Barzini dai vari fronti asiatici: la guerra russo-giapponese, la rivolta dei Boxer e relativa spedizione punitiva delle potenze europee compresa l'Italia, poi il celebre raid Pechino-Parigi, solo per citare un autore che quando usciva sul giornale raddoppiava le tirature, e poi ancora Guido Gozzano in India (a tutt'oggi oltre 80 tra edizioni e ristampe!), e negli anni Trenta Giovanni Comisso in Cina, Corea e Giappone; e nel dopoguerra, con Mao al potere dal 1949, le decine, le centinaia di celebri volumi sulla “cara” Cina, di tutti gli autori più famosi che sarebbe troppo lungo elencare. Poi il 1989, la fine di un mondo e il nuovo millennio dove risultiamo rarefatti sopravvissuti seppur tecnologicamente aggiornati, noi che prima non avevamo che macchine da scrivere e rozze giurassiche telescriventi Olivetti a schede perforate.
Un breve cenno laterale alle visite degli stranieri nel nostro paese, il prestigioso Grand Voyage: argomento fondamentale e di eccellenza, su cui non occorre spendere parole. Alcuni miei studenti di indirizzo linguistico su mia proposta se ne sono occupati. Io, italianista, mi sono presto reso conto delle mie modeste energie, e quindi pur di malavoglia ho limitato l'interesse agli scrittori di lingua italiana dal 1850 e al Continente asiatico, schedando parecchie centinaia di volumi.
Il viaggiare: passione, interesse oppure,
con l’andar del tempo, autentico “daimon” che ti spinge a essere sempre in
movimento nonostante alcuni disagi?
R.:
In effetti appartengo a una categoria di illustri irrequieti. Con alcuni di
questi sono in perenne contatto e ci scambiamo molte notizie di prima mano.
Purtroppo i disagi sono in aumento, anche i prezzi. In questi mesi poi abbiamo
assistito al crollo del valore dell'Euro, con un danno di almeno il 15% sul
cambio: l'anno scorso per 100 euro si avevano circa 138 dollari. Ora se ne
hanno 108. Confesso inoltre che molto spesso mi annoio (ma è già stato detto e
scritto da molti, con la nota formula: io
era melancholichissimo), che la prossemica con l'inespungibile folla
subumana mi infastidisce sempre più, che molto spesso nei piccoli centri si
mangia male, il riso è una papparella immonda e non c'è scelta. Ma noi italiani
lo mettiamo già in conto: sappiamo di andare verso il probabile schifo.
L'inquinamento anche acustico è fastidioso. I miei occasionali compagni di
viaggio -non privi di problemi- sembrano confortarsi alla grande bevendo e
“fumando”. Io no, sono inconsolabile e comincio a stancarmi.
Diventando
vecchi si fa molta fatica a dormire. Sono ormai dipendente da farmaci. In ogni caso mi sveglio alle cinque in preda
a incubi non verbalizzabili. Non oso alzarmi. Di prima mattina io e Sgarbi ci
sentiamo malissimo. Una volta ero un grande camminatore. Ora mi stanco subito.
Se possibile me ne sto seduto in qualche dehors,
evito di bere caffè, preferisco vere spremute di frutta, controllo il ghiaccio
(che sia cilindrico e con un foro
centrale), e resto a guardare la gente multicolore, il fiume della vita,
come si diceva una volta a Nuova Delhi: è un esercizio di estremo interesse,
che mi istruisce e diverte. Anche la contemplazione degli spettacoli naturali è
risarcente e commovente.
Gli
aspetti davvero positivi: si evita l'inverno della nebbiosa pianura
padano-veneta, in Indocina il clima è ottimo, non è troppo caldo e non c'è mai
un giorno di pioggia fino ad aprile. Inoltre riesco a occupare i tempi morti
studiando vari argomenti anche non strettamente poetici; ho portato piccoli
libri di enorme peso specifico (la mia valigia pesa soltanto 12 chili e non
intendo comperare nulla), perché ho scoperto che i libri più importanti in
assoluto raramente hanno più di cento pagine (in questo momento sono attratto
dall'affascinante Teoria delle Stringhe, nonostante non abbia le conoscenze di
alta matematica necessarie). Inoltre, sebbene con fatica, portandomi dietro il
leggero disco esterno da 500G, riesco a lavorare e a pazientemente sistemare
vecchi diari. Conto di avere per Pasqua un volume pronto, sarà in 200 copie.
Invece faccio sempre più fatica a scrivere ex novo. (Anche a rispondere alle
tue domande, seppure stimolanti; lo faccio molto lentamente, un'ora al giorno,
e d'altra parte tu sei l'unica che si sia benignamente degnata di accennare a
una risposta, tra tutti quelli che hanno ricevuto in dono il volume in oggetto.
Inoltre tu l'hai anche letto davvero. Nessun altro mi ha detto una sola parola).
Le mete dei tuoi viaggi: alcuni
luoghi sono degli autentici leit-motiv, penso a Bali o ai templi di Angkor: è
la loro infinita bellezza ad attirarti così spesso? Hai mai pensato di
trasferirti lì?
R.:
Ho visitato lo straordinario sito di Angkor varie volte. Ora non ci torno più.
Sebbene da Phnon Penh ci si possa arrivare facilmente in cinque ore di autobus.
C'è anche un affollatissimo aeroporto. Invece sono sempre attirato molto dalla
raffinatissima cultura Indu-Balinese (ma non dall'aspetto turistico e
burocratico/poliziesco, davvero schifoso e massimamente corrotto). Non
ho mai pensato di abbandonare davvero la penisola, sebbene non mi senta più
legato a nulla. Ma non rinuncerei mai alla cultura europea. Sono fermamente
convinto che molti miserabili traffichini espatriati non abbiano perso nulla,
perché nulla avevano da perdere essendo analfabeti totali. Chi non ha nulla da
perdere è molto facilitato: i disperati possono solo guadagnare.
Il titolo del libro “Le città del Re
Lebbroso”. Raccontaci qualcosa di questo misterioso Re, cui dedichi alcune
pagine nella parte finale del libro, citando tra l’altro il naturalista
francese
dell’Ottocento Mouhot.
Nei
tuoi viaggi incontri tantissime persone, che descrivi, alcuni paiono personaggi
da romanzo. Il tuo interesse al linguaggio del corpo è sempre molto alto, pensi che alle volte tale linguaggio possa sostituire
quello parlato? I due linguaggi si completano per la comprensione dell’essere
umano? Degli asiatici dici che tendono, anche nei momenti di lutto, a non
esprimere sentimenti se non quello del rispetto, dunque in loro emerge
maggiormente il linguaggio della gestualità? Possiamo fare un confronto con la
nostra cultura, che ormai fa un uso e un abuso della parola?
R.: La folla in generale è una
bestia informe. Non è possibile dire nulla. Nel
mondo del turismo si vede di tutto e di peggio. I pretesti per litigare
ci sono a ogni piè sospinto. Il turista è l'oggetto e il soggetto della rapina.
Si incontrano persone corrette e non. I maleducati sono la grande maggioranza.
Ma è anche vero che l'asiatico resta indifferente ai più molesti rumori, non lo
fa apposta, è proprio stupidità culturale, parla a voce alta, tiene radio e Tv
a tutto volume. I camerieri nullafacenti si siedono sulla soglia della tua
camera a chiacchierare e ridacchiare per ore. Una volta ripresi educatamente si
ripresentano dopo cinque minuti e ricominciano. Direi che proprio non ci
arrivano.
In generale l'asiatico dovrebbe
essere molto controllato, tenere un comportamento di distacco che molto spesso
è finzione. L'asiatico non esterna i sentimenti, né il dolore né l'affetto, ma
questa non è una regola fissa, dipende anche dalle diverse etnie. Il maiale
cinese sbadiglia rumorosamente enfatizzando e sputa dovunque, la signora
giapponese può essere il massimo dell'educazione e del rispetto di una etichetta
quasi invisibile, ma io ho avuto vicine di posto giapponesi urlanti e
sghignazzanti come sadiche prostitute.
L'asiatico è al primo posto nella gerarchia dei truffatori e imbroglioni: nessuno lo supera. Ma esistono anche élites di signori in tutte le etnie. Incontrarli è poco probabile. Molto più frequenti gli straccioni. Non sono razzista: ci metto anche i turisti.
Approfitto della tua domanda per tradurre in sintesi alcuni consigli fornitimi oggi assieme alla pianta di Phon Penh: l'Ufficio Turistico della città reputa opportuno suggerire in inglese agli stranieri le seguenti esemplari raccomandazioni:
(nelle varie circostanze) vestire in modo appropriato, imparare i gesti corretti (allude a come bisognerebbe tenere le mani giunte nelle varie posizioni di saluto e di ringraziamento. Molto istruttivo a questo proposito è seguire in TV le manifestazioni ufficiali e specie quelle che coinvolgono la famiglia reale, i bonzi e i politici, con moine infinite), imparare qualcosa della lingua (piuttosto ostica), togliersi le scarpe (in certi luoghi), usare correttamente le mani (allude al fatto che non bisogna usare la mano sinistra quando si mangia e che è segno di rispetto consegnare qualunque oggetto con ambedue le mani, mai con la sinistra), non “criticare” le persone, specialmente in pubblico (concetto collegato al principio generale: “come salvare la faccia”). Personalmente cerco sempre di rispettare queste norme (non sempre me ne ricordo), ma c'è anche un'altra decina di divieti validi specie in Thailandia, che non enumero per non tediare la folla dei lettori.
dell’Ottocento Mouhot.
R.:
Questo argomento richiederebbe da solo un lungo capitolo a parte. Proprio oggi
ho di nuovo visitato il Museo Nazionale e ho finalmente visto l'originale della
statua nella galleria meridionale (al centro del cortile c'è un'edicola che
protegge una mediocre copia della stessa scultura. Tutti si fotografano davanti
alla copia, la vita è fatta così). La storia del re lebbroso è assai
complicata, come anche quella di parecchie altre statue, collegate a
superstizioni e oggetto di fanatico culto. Molte delle sculture che ho rivisto
oggi risalgono al sesto secolo dopo Cristo, e rappresentano divinità indù (il buddismo
è arrivato nell' impero Khmer molti secoli più tardi). Non sarei molto sicuro
delle datazioni, però molte di queste opere gareggiano certamente in bellezza
con quelle dell'Età di Pericle (di mille anni prima). Su Mouhot ho già scritto
a lungo. Ha scoperto Angkor per caso: non era un archeologo ma un naturalista.
Non mi resta che rinviare alla lettura del suo libro (e del mio).
Durante i tuoi viaggi acquisti
spesso oggetti d’antiquariato, monete, monili, cartoline e francobolli e altro.
Qual è l’oggetto più strano che hai mai acquistato? A volte penso che potresti
allestire un piccolo museo e mi vengono in mente i collezionisti dei secoli
passati, ti senti un po’ vicino a loro?
R:
Non mi sento affatto vicino a nessuno. In passato comperavo soprattutto gioielleria
anche antica, specie in India, nel Rajasthan, argento di alta qualità, collane
di coralli, turchese; ma non per me. Lo facevo (per importanti regali alle
morose e) per quella decina di amiche/clienti che poi mi comperavano “le cose
belle”. Era un modo per pagarmi da studente il biglietto aereo. Quindi non mi è
rimasto quasi nulla, anche perché ho subito vari furti: le mie casse dalla Cina
mi sono state consegnate dalla SART di Tombolo, sventrate. La denuncia ai
Carabinieri non è servita a nulla. Avevo anche una preziosa collezione di
antiche ceramiche e porcellane italiane e francesi. L'anno scorso, tornando
dall'estero i miei premurosi vicini mi hanno chiesto se avevo trovato tutto in
ordine. Questa strana insolita domanda mi ha molto impensierito. Essendo io per
mestiere uno studioso analista del linguaggio, conoscendone abbastanza le
segrete leggi e soprattutto le trappole, ho avvertito un infallibile sibilo
bergsoniano; ho subito pensato anche alla struttura del “motto di spirito”
freudiano (infatti eravamo in tre: lei parlava a me perché il ganzo presente
godesse della sfida). E in
contemporanea si verificava una involontaria sottigliezza che solitamente
diventa infallibile prova perché immette nella giusta direzione di indagine: il
suo inconscio non controllabile quindi le ordinava di essere scoperta. (Qualche
mese dopo ne parlò anche la criminologa Roberta Bruzzone a proposito delle
fascette da elettricista della mamma di Loris). L'appartamento era
apparentemente in ordine ma feci quello che non avevo fatto da 3 anni, aprii tutti gli armadi e cassetti. Sorpresa:
le mie collezioni più preziose non c'erano più. Sono rimasto profondamente
addolorato, non solo per il valore venale, ma anche per aver allevato serpi,
che mi hanno anche minacciato: se continui a parlare finisce male. Non ho più
il senso del collezionismo e non frequento nemmeno più i mercatini, da cui
tornavo sempre onusto di sacchetti di libri molto interessanti, rarissime
inestimabili prime edizioni di narrativa e poesia, e che costavano pochissimo;
ma ora, colmato anche il bagno e il garage, non ho davvero più spazio se non
per gli e-book. Ho
acquistato molti oggetti misteriosi e strani (ad es.: un “bastone per
fabbricare la pioggia”, avuto da uno sciamano Batak nell'isola di Sumatra,
sparito anche quello. Sarà stato lui?). Ma l'oggetto che non dimenticherò mai e
che ora sarà nascosto chissà dove (io un'idea ce l'ho), è una coppa
ottocentesca di un preziosissimo servizio del Caffè Pedrocchi, di marca Ginori.
Io l'ho casualmente scovata a Budapest una quarantina di anni fa (probabilmente
qualche ufficialetto austroungarico l'aveva rubata per ricordo) e l'ho
riportata a Padova.
Leggendo le pagine su Timor Est sono
rimasta favorevolmente colpita della figure delle suore canossiane, che
sembrano costituire l’unica nota positiva in un paese altrimenti desolato e
poverissimo. Raccontaci di loro.
R.:
Timor è uno dei luoghi più strani che abbia visitato. L'ONU è una presenza
massiccia, la popolazione di circa un milione di individui è mantenuta
dall'Alto Commissariato per i Rifugiati. Il reddito pro capite è di mezzo
dollaro al giorno. I prezzi sono
altissimi, non c'è nulla da acquistare. È il paese più costoso del mondo dopo
gli USA. Dovevo starci 30 giorni, però me ne sono tornato quasi subito a Bali.
Sono stato ospite al Liceo femminile delle adorabili Suore Canossiane. Il vero
motivo per cui mi sono trattenuto una decina di giorni è stato diciamo di tipo
editoriale. Infatti ho accettato (con un po' di turbamento) volentieri di
leggere e risistemare in un'edizione in lingua italiana (la loro Sede centrale
è in provincia di Verona), la vita esemplare di Suor Erminia Cazzaniga,
originaria di Vimercate, barbaramente assassinata con altri sei religiosi
durante la folle invasione indonesiana della ex colonia portoghese Timor Este,
abbandonata al suo destino dagli ex padroni. La Madre Superiora Prof.ssa
Guillermina Marcal (che è anche ordinario di Inglese e Portoghese
all'Università Statale di Dili) aveva scritto un'ampia biografia: Martires da Caridade con vasta appendice
di testimonianze di varie persone relative a Suor Erminia, usando la lingua
portoghese mista all'italiano. Non è stato un lavoro semplice. La Superiora non
aveva molto tempo da dedicarmi. Abbiamo riletto insieme la mia trascrizione di
ogni capitolo soffermandoci sui punti dubbi. Ovviamente sono intervenuto
soltanto a livello lessicale-sintattico. Ho anche approfittato del fatto che
in refettorio la Superiora mi faceva sedere alla sua destra. Era l'unica
opportunità che avevo per conversare con lei. Ciò mi ha permesso di farle molte
domande in molti campi, e di ricostruire le vicende dell'occupazione
indonesiana che ha coinvolto per anni le quattro sedi canossiane nella capitale Dili, presso le
quali molte migliaia di timoresi avevano trovato rifugio e sostentamento. Non
posso dimenticare il tratto di gentilezza di cui sono stato oggetto da parte di
tutte le sorelle timoresi, molte assai giovani. Ricordo inoltre la particolare
dolcezza dei cori e della musica anche religiosa, imparentata, come del resto
la loro lingua (che si chiama Tètun), con quella polinesiana.L'asiatico è al primo posto nella gerarchia dei truffatori e imbroglioni: nessuno lo supera. Ma esistono anche élites di signori in tutte le etnie. Incontrarli è poco probabile. Molto più frequenti gli straccioni. Non sono razzista: ci metto anche i turisti.
Approfitto della tua domanda per tradurre in sintesi alcuni consigli fornitimi oggi assieme alla pianta di Phon Penh: l'Ufficio Turistico della città reputa opportuno suggerire in inglese agli stranieri le seguenti esemplari raccomandazioni:
(nelle varie circostanze) vestire in modo appropriato, imparare i gesti corretti (allude a come bisognerebbe tenere le mani giunte nelle varie posizioni di saluto e di ringraziamento. Molto istruttivo a questo proposito è seguire in TV le manifestazioni ufficiali e specie quelle che coinvolgono la famiglia reale, i bonzi e i politici, con moine infinite), imparare qualcosa della lingua (piuttosto ostica), togliersi le scarpe (in certi luoghi), usare correttamente le mani (allude al fatto che non bisogna usare la mano sinistra quando si mangia e che è segno di rispetto consegnare qualunque oggetto con ambedue le mani, mai con la sinistra), non “criticare” le persone, specialmente in pubblico (concetto collegato al principio generale: “come salvare la faccia”). Personalmente cerco sempre di rispettare queste norme (non sempre me ne ricordo), ma c'è anche un'altra decina di divieti validi specie in Thailandia, che non enumero per non tediare la folla dei lettori.