Il senatore alle suore: «Vi p...o in bocca»
«Da oggi comando io. Se no, vi p...in bocca». Nel luglio del
2009 il presidente della Commissione bilancio del Senato Antonio Azzollini irruppe
nella sede della Casa della Divina Provvidenza e si rivolse in questi termini alle
suore: da quel momento divenne il «capo» indiscusso dell’associazione che ha
portato al «saccheggio» delle casse dell’Ente.
□
http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2015/06/10/ARJhkZkE-richiesta_senatore_azzollini.shtml□ http://www.secoloditalia.it/2015/06/azzollini-quella-frase-oggi-comando-senno-vi-p-in-bocca/
□ http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/10/azzollini-a-suor-marcella-da-oggi-in-poi-comando-io-se-no-vi-piscio-in-bocca/1765086/
□ http://www.huffingtonpost.it/2015/06/10/azzollini-intimidazione-suore_n_7553306.html
Ambiguità sintattica e pulsione igienica della misericordia ♦
1.- Un’affermazione
come “Da oggi comando io. Se no, vi p… in bocca” può essere ambigua solo in un
tipo di contesto estremamente improbabile. Ma dal momento che lo può essere,
noi siamo o possiamo essere propensi a dire che la frase che si usa per fare
quest’affermazione è ambigua. Come ebbe a dire Paul Ziff, penso che qui la cosa
importante sia questa: noi diciamo che un tipo di frase è ambiguo se e solo se
vi è o vi può essere una replica
semanticamente non aberrante di questo tipo di frase che sia ambigua. Che cosa
significa? Significa che può essere desiderabile, all’occasione, distinguere
tra due basi del tutto diverse per l’attribuzione dell’ambiguità. Infatti, si
può attribuire l’ambiguità a un tipo di frase sulla base dell’ambiguità di una
replica semanticamente non aberrante di questo tipo di frase. Oppure si può
attribuire l’ambiguità alla replica di una frase sulla base del fatto che è una
replica di un tipo di frase ambiguo[i].
2.- Così, se irrompo nella sede della Casa della Divina Provvidenza, mettiamo a Foggia o a Potenza, e dico “Da oggi comando io. Se no, vi p… in bocca”, la mia affermazione non può essere ambigua, anche se la sede della clinica del Vaticano non è quella di Bisceglie. La replica di frase che ho pronunciato a Foggia o a Potenza non era ambigua. Comunque, fintanto che questa replica era una replica di un tipo di cui esistono o possono esistere repliche ambigue e semanticamente non aberranti, in un senso si può dire a ragione di aver detto qualcosa di ambiguo. Se non si fa attenzione, in qualsiasi sede, ci possiamo trovare a dire che la replica è insieme ambigua e non ambigua, il che, anche se può essere vero in un certo senso, non è necessariamente il modo più semplice di porre le cose.
3.- Un tipo di frase è ambiguo se, e solo se, vi è o vi può essere una replica di questo tipo, semanticamente non deviante, che sia ambiguo. Anche se “Vi p…in bocca” può essere ragionevolmente concepito come tipo di frase ambiguo a Bisceglie, difficilmente la replica usata in altre sedi potrebbe essere ambigua: a causa della metonimia, il carattere del contesto cambia e quindi il suo potenziale di ambiguità non ha la stessa valenza, anzi non può essere realizzato allo stesso modo.
Attribuire un potenziale sintattico di ambiguità a un tipo di frase e a repliche di un tipo di frase le cui repliche semanticamente non aberranti non siano mai ambigue, vuol dire usare una forma di proiezione, operare in un modo sistematico. Il tipo di frase “Da oggi comando io. Se no, vi p…in bocca” è ambiguo anche a Foggia e a Potenza. Anche in Calabria, se vi fosse stata un’altra sede della Casa della Divina Provvidenza, la frase sarebbe stata ambigua. Ne traiamo la conclusione che repliche di un qualsiasi tipo di frase che abbiano la stessa struttura sintattica di questa frase hanno anch’esse un potenziale sintattico di ambiguità.
4.- La frase è semanticamente aberrante, non vi sono dubbi: a profferirla in dialetto pugliese, la realizzazione del potenziale sintattico di ambiguità è eclatante sia a Bisceglie che a Foggia[ii]; anche a Potenza, le restrizioni imposte dalla costituzione lessicale del dialetto lucano nulla possono contro il potenziale sintattico di ambiguità della frase; in Calabria, dove, nell’ alto Jonio potrebbe suonare più o meno così “Da goj cummànn jì. Osìnò vipìsc ‘nmùc”, il potenziale sintattico di ambiguità permane, in virtù di una frase che è sempre e comunque semanticamente aberrante.
Ora, una grammatica adeguata, lo sappiamo, non può distinguere tra frasi ambigue e frasi non ambigue, ma deve fornire più di una descrizione strutturale di tutte le frasi ambigue, la cui ambiguità sia di un tipo che rientri nell’ambito di una grammatica.
5.- Anche perché la grammatica non può essere né fortemente arbitraria né fortemente complessa; purtroppo, per questo, la grammatica così fatta mancherà inevitabilmente di distinguere tra frasi ambigue e frasi non ambigue.
Non si tratta di costituire tre grammatiche adeguate, se si usano tre dialetti, anche perché nessuna grammatica sensata potrebbe fare una distinzione tra frasi del genere, figuriamoci quella dell’alto Jonio che, in particolare, è costituita fondamentalmente sulla crasi sintattica e sulla litote semantica; come disse Paul Ziff, quel che si può chiedere sensatamente a una grammatica è di fornire un mezzo per distinguere tra le frasi che hanno e quelle che non hanno un potenziale sintattico di ambiguità; figuriamoci se potremmo chiederlo a una grammatica di un dialetto[iii].
6.- La semantica aberrante, quando la frase viene tradotta in lingua italiana, mostra quanto l’ambiguità non sia grammaticalmente compatibile con la sintassi, quantunque la sintassi abbia sempre un che di forzatamente deviante, segno che, in ambito mentale, è la retorica che investe e traveste la pulsione libidica interpellata.
7.- L’erotismo uretrale del parlante, quantunque la tempesta di movimenti, al livello filogenetico, non sia per niente compatibile con la commissione e il bilancio, al livello adulto, che è quello dell’individuo maturo, anche in sede clinica, tira dentro il bisogno di farsi valere. Leopold Szondi[iv], si può presupporre che non fosse di casa nelle cliniche del Vaticano, per quanto, socializzando il carattere della pulsione “e”, che, va detto, è quella della sorpresa e delle professioni sacerdotali, insomma siamo nell’umanesimo religioso ed etico, patologicamente si va verso l’enuresi, l’epilessia essenziale, la cleptomania e la piromania, allora socializzando il carattere lo dota, il buon psicanalista ungherese, di misericordia, bontà, dolcezza, pietà, capacità di prendere parte a ciò che tocca gli altri, tolleranza, scrupoli, censura interna.
2.- Così, se irrompo nella sede della Casa della Divina Provvidenza, mettiamo a Foggia o a Potenza, e dico “Da oggi comando io. Se no, vi p… in bocca”, la mia affermazione non può essere ambigua, anche se la sede della clinica del Vaticano non è quella di Bisceglie. La replica di frase che ho pronunciato a Foggia o a Potenza non era ambigua. Comunque, fintanto che questa replica era una replica di un tipo di cui esistono o possono esistere repliche ambigue e semanticamente non aberranti, in un senso si può dire a ragione di aver detto qualcosa di ambiguo. Se non si fa attenzione, in qualsiasi sede, ci possiamo trovare a dire che la replica è insieme ambigua e non ambigua, il che, anche se può essere vero in un certo senso, non è necessariamente il modo più semplice di porre le cose.
3.- Un tipo di frase è ambiguo se, e solo se, vi è o vi può essere una replica di questo tipo, semanticamente non deviante, che sia ambiguo. Anche se “Vi p…in bocca” può essere ragionevolmente concepito come tipo di frase ambiguo a Bisceglie, difficilmente la replica usata in altre sedi potrebbe essere ambigua: a causa della metonimia, il carattere del contesto cambia e quindi il suo potenziale di ambiguità non ha la stessa valenza, anzi non può essere realizzato allo stesso modo.
Attribuire un potenziale sintattico di ambiguità a un tipo di frase e a repliche di un tipo di frase le cui repliche semanticamente non aberranti non siano mai ambigue, vuol dire usare una forma di proiezione, operare in un modo sistematico. Il tipo di frase “Da oggi comando io. Se no, vi p…in bocca” è ambiguo anche a Foggia e a Potenza. Anche in Calabria, se vi fosse stata un’altra sede della Casa della Divina Provvidenza, la frase sarebbe stata ambigua. Ne traiamo la conclusione che repliche di un qualsiasi tipo di frase che abbiano la stessa struttura sintattica di questa frase hanno anch’esse un potenziale sintattico di ambiguità.
4.- La frase è semanticamente aberrante, non vi sono dubbi: a profferirla in dialetto pugliese, la realizzazione del potenziale sintattico di ambiguità è eclatante sia a Bisceglie che a Foggia[ii]; anche a Potenza, le restrizioni imposte dalla costituzione lessicale del dialetto lucano nulla possono contro il potenziale sintattico di ambiguità della frase; in Calabria, dove, nell’ alto Jonio potrebbe suonare più o meno così “Da goj cummànn jì. Osìnò vipìsc ‘nmùc”, il potenziale sintattico di ambiguità permane, in virtù di una frase che è sempre e comunque semanticamente aberrante.
Ora, una grammatica adeguata, lo sappiamo, non può distinguere tra frasi ambigue e frasi non ambigue, ma deve fornire più di una descrizione strutturale di tutte le frasi ambigue, la cui ambiguità sia di un tipo che rientri nell’ambito di una grammatica.
5.- Anche perché la grammatica non può essere né fortemente arbitraria né fortemente complessa; purtroppo, per questo, la grammatica così fatta mancherà inevitabilmente di distinguere tra frasi ambigue e frasi non ambigue.
Non si tratta di costituire tre grammatiche adeguate, se si usano tre dialetti, anche perché nessuna grammatica sensata potrebbe fare una distinzione tra frasi del genere, figuriamoci quella dell’alto Jonio che, in particolare, è costituita fondamentalmente sulla crasi sintattica e sulla litote semantica; come disse Paul Ziff, quel che si può chiedere sensatamente a una grammatica è di fornire un mezzo per distinguere tra le frasi che hanno e quelle che non hanno un potenziale sintattico di ambiguità; figuriamoci se potremmo chiederlo a una grammatica di un dialetto[iii].
6.- La semantica aberrante, quando la frase viene tradotta in lingua italiana, mostra quanto l’ambiguità non sia grammaticalmente compatibile con la sintassi, quantunque la sintassi abbia sempre un che di forzatamente deviante, segno che, in ambito mentale, è la retorica che investe e traveste la pulsione libidica interpellata.
7.- L’erotismo uretrale del parlante, quantunque la tempesta di movimenti, al livello filogenetico, non sia per niente compatibile con la commissione e il bilancio, al livello adulto, che è quello dell’individuo maturo, anche in sede clinica, tira dentro il bisogno di farsi valere. Leopold Szondi[iv], si può presupporre che non fosse di casa nelle cliniche del Vaticano, per quanto, socializzando il carattere della pulsione “e”, che, va detto, è quella della sorpresa e delle professioni sacerdotali, insomma siamo nell’umanesimo religioso ed etico, patologicamente si va verso l’enuresi, l’epilessia essenziale, la cleptomania e la piromania, allora socializzando il carattere lo dota, il buon psicanalista ungherese, di misericordia, bontà, dolcezza, pietà, capacità di prendere parte a ciò che tocca gli altri, tolleranza, scrupoli, censura interna.
[i] Cfr. Paul Ziff, Quel che una grammatica adeguata non può
fare, in: Idem, Itinerari filosofici
e linguistici, trad.it. Laterza Bari 1967.
[ii] Il frangimento vocalico,
proprio delle coste adriatiche che lega la Puglia ai tipi abruzzesi, crea una
sorta di frangimento pulsionale, tanto che, pur dentro la pulsione “e” più
connaturata al senso etico e al pudore, finisce con allargare tanto la pulsione
da estenderla fin dove riverbera la pulsione “s” che è brutale e distruttiva,
aggressiva e fredda.
[iii] Basta dire che un
parlante di tale fatta può essere connotato, nel territorio di Foggia, e
compreso tra “scillirati omini”, che è “mala gente” in quel di Potenza e
“sbrugghiuni scillirati” nell’ambito del Pollino calabrese. Che a Ostuni, posta
una Divina Provvidenza anche nel Salento,
sarebbero “scrianzate vastasune”.