Ano hito e l’altezza dello sguardo ▌
La palpebra, l’orizzonte
piatto dell’occhio e il meridiano del deretano, che, posto così in alto,
incanta l’oggetto “a” del visionatore, lo prende immediatamente e con forza,
senza tregua, si fa fare lo shummulo.
La palpebra, mabuta,
palpa la carne del culo, niku, mai così come il tergo di Merleau-Ponty; ovvero,
dal lato del visionatore, è l’occhio del culo che non è più occhio, in quanto “me”,
ma sguardo, “manazashi”, che è lungo come l’orizzonte piatto della palpebra che
misura, topologizza, la distanza tra l’inchino, l’angolo della cortesia, e l’altezza
del manazashi, lo sguardo, che è l’interiorità del visionatore che si ritiene
rispettabile, in quanto dotato di un centro, pieno e consacrato.
Il manazashi è “mana”, “comportamento”,
e perciò è pieno, dal grafismo nitido nell’esercizio del vuoto, e completo,
come se fosse “man”, che, numericamente, sarebbe “diecimila”; ed è “zasshi”,
come “rivista”, “periodico”. Periodicamente, quando passa l’oggetto “a” del
visionatore al meridiano, l’occhio, “me”, del poeta è preso dalla carne e dalla
palpebra, e questa linea orizzontale incrocia quella linea verticale, ed è “tutto”,
“zen”, è il “bene”, “zen”, non fanno zen zen(“affatto”, “per niente”) - o lo
fanno perché è il punto zen zen dell’inchino e del manazashi- ma semplicemente collimano nel buco, “ana”,
quel punto, “ten”, che non è mai pieno, “komu”, è così, kono yō ni, in questo
modo, ano yō ni, in quel modo, è il
buco della luce(kōmyō), l’ ano solare[i], l’ana kōmyo no.
Insomma, la traccia
orizzontale della palpebra e la traccia verticale del deretano puntualizzano l’occhio
verticale del culo[ii]. Mabuta, che è la
palpebra, per quel che ne scrisse Barthes, fenditura ellittica del calligrafo
anatomista, la fessura liscia di una superficie liscia[iii], qui viene tirata, stesa,
scritta immediatamente in bella grafia da due tratti, tra “ma”, “un attimo”, e “buta”,
“maiale”, nella calligrafia leggera di quell’archetipo-sostantivo profondo e
fesso che può essere la “troia” del sibaritismo: il solco verticale, che è la
traccia, e che è il luogo dove si fa lo shummulo, è il canale dell’avverbio
dello shumullar, dello “zun zun”, “rapidamente”,
“copiosamente”, “con forza”, “senza tregua”, perché l’occhio non può appesantirsi ma l’oggetto “a”
del visionatore sì.
Le mutande bianche sono
shitagi shiroi, ma come ti inchini si fanno non
scritte, kakushi no, quindi vanno al di sopra dello sguardo, come se
ritornassero alla fenditura della palpebra e allo sguardo di chi si è cortesemente inchinata: dunque è il suo
manazashi che è iscritto direttamente nella pelle, è tale, è la pelle del culo[iv] che si vede nel suo
sguardo, è questo, è così, kono yō ni, nel bianco del non
scritto, si fa tale![v],
dentro il flash di un haiku che non rischiara, non rivela nulla, come quello di
una fotografia che si scatta con molta cura, alla giapponese, precisa Barthes,
ma avendo omesso di caricare l’apparecchio con l’apposita pellicola[vi] o, oggi, avendo omesso di
aprire il coperchio dell’obiettivo. Questo “tale!”,
di questa Bianca Deissi, lo
chiameremo “ano hito”: hito è la
persona, ano è quello, quella persona, quel culo dell’inchino; ano, per essere
nell’inchino della cortesia, starebbe anche per l’esclamativo “scusi”. Dōzo, “prego”(per invitare ad accomodarsi).
[i]
Sensu Georges Bataille.
[ii] Un’altra traccia è quella del “fianco”, che come è “lato” e “larghezza” e fa “yoko” come “yōkō” fa il “sole”, e “yoku” è il “desiderio”, la “voglia” e “yoku” è “seguente”, “successivo”, così che il visionatore non colmi mai il desiderio seguente, non smetta mai di prendere il sole! Lo shummulo, quando ha avuto origine, fu nella posizione della mula,con la testa inchinata a ovest cosicché il sole potesse sorgere, yoake. L’alba si leva. Higashi yoake. E la mula affinò le palpebre per guardare se il visionatore era proprio nella posizione giusta.
[iii] Cfr. Roland Barthes, La palpebra, in: Idem, L’impero dei segni, trad.it. Einaudi, Torino 1984: pag.118.
[ii] Un’altra traccia è quella del “fianco”, che come è “lato” e “larghezza” e fa “yoko” come “yōkō” fa il “sole”, e “yoku” è il “desiderio”, la “voglia” e “yoku” è “seguente”, “successivo”, così che il visionatore non colmi mai il desiderio seguente, non smetta mai di prendere il sole! Lo shummulo, quando ha avuto origine, fu nella posizione della mula,con la testa inchinata a ovest cosicché il sole potesse sorgere, yoake. L’alba si leva. Higashi yoake. E la mula affinò le palpebre per guardare se il visionatore era proprio nella posizione giusta.
[iii] Cfr. Roland Barthes, La palpebra, in: Idem, L’impero dei segni, trad.it. Einaudi, Torino 1984: pag.118.
[iv]
La pelle del culo potrebbe essere in giapponese Kawashiri, che si impressiona
di più nello sguardo quando manca la pellicola, usukawa.
[v]
Cfr. Roland Barthes, Tale, in: Idem, L’impero dei segni, trad. it. Einaudi,
Torino 1984:pag.96.
[vi]
Ibidem:pag.98.
♦
Ano Hito, la patagonica supermesomorfa è in qualche modo speculare a
Reiko, la Miss 130 disegnata da
Chiyoji , i cui dati morfologici sono indicati nella scheda contenuta in →Miele.Il
dolce kama-salila delle longilinee ectomorfe:←vedi
la Tavola C