SARENCO Poesie Scelte 1961-1990 Poetry is Over Collection |
1.
La
banda delle somale è arrivata,
tutti
i colori oltraggiano la casa
seria
ed ammuffita.
Così diceva Sarenco. E’ vero?
Voglio raccontarvi un’altra
storia( si chiama “koan”). Un monaco domandò a Fuketsu: “Senza parlare, senza
silenzio, come puoi esprimere la verità?”. Fuketsu osservò: “Ricordo la
primavera nella Cina del sud. Gli uccelli cantano tra molti fiori”. C’è un
commento del maestro Zen Mumon su questo koan. Mumon dice: “Fuketsu aveva
spesso delle illuminazioni Zen. Ogni volta che ne aveva la possibilità, le
esprimeva. Ma questa volta non riuscì a farlo e si limitò a citare un’antica
poesia cinese. Non preoccupatevi dello Zen di Fuketsu. Se volete esprimere la
verità, fate a meno delle vostre parole, fate a meno del vostro silenzio e
parlatemi del vostro Zen”[i].
2.
I
veli ed i tessuti mossi
da
un invisibile ventilatore
(very
powerful) accarezzano
le
porte e le sponde del letto
grande
a sei piazze.[ii]
Così diceva Sarenco. “I veli e
i tessuti mossi da un invisibile ventilatore (very powerful) accarezzano le
porte”: è un’affermazione vera?
Fare un’affermazione è compiere
un certo atto del parlare. Così noi pronunciamo una certa espressione nel modo
appropriato e nelle circostanze adatte. Recitare una poesia e fare
un’affermazione non sono la stessa cosa. E’ vera l’affermazione “I veli e i
tessuti mossi da un invisibile ventilatore” ? Sarenco diceva: “”I veli e i
tessuti mossi da un invisibile ventilatore”, ma non faceva un’affermazione, né
stava scrivendo un giallo: scriveva una poesia.
3. Perché ci preoccupiamo della difficile parola affermazione ? Se dico che la preda non ha scampo e sceglierà la migliore, ovvero colei che il gruppo gli ha destinato, faccio un’affermazione? O se dico che ne ho abbastanza delle stravaganze dell’estetica e dei poeti visivi, faccio un’affermazione? Credo di no.
Sarenco dice che “i veli e i
tessuti mossi da un invisibile ventilatore accarezzano le porte e le sponde del
letto grande a sei piazze”: è vero quello che dice? Le parole “I veli ed i
tessuti mossi…” si trovano nella poesia La
banda delle Somale nelle Poesie
Scelte del 1990 di Sarenco: ciò non significa che Sarenco abbia detto che i
veli e i tessuti mossi da un invisibile
ventilatore accarezzano le porte e le sponde del letto grande a sei piazze.
Io dico che non è vero che non
vale la pena leggere un poeta dialettale come Tonino Guerra o Mario Grasso, e
ora è vero che ho detto non vale la pena leggere Guerra e Grasso,
ma non è vero che abbia detto che non vale la pena leggere Guerra o Grasso: ho
detto invece il contrario.
4. Che cosa dice Sarenco?
Ma
la preda
in
effetti non è disperata:
anche
lei gioca al gioco più antico
della
sottomissione e già ride
contando
i giorni (il tempo è circolare)
che
la separano dagli altri contatti
corporali
e dai profumi dell’incenso
e
dagli oli vischiosi e tumefatti
in
cui le somale-farfalle
mettono
a macerare i riccioli infiniti
e
il rosa acceso
del
pube equatoriale.
Dice davvero Sarenco che la
preda già ride contando i giorni e che il tempo è circolare, e chi gliel’ha
detto? Jean Baudrillard? E la preda è il poeta visivo o concreto che sia o una
della banda delle Somale, che, per questo, ha messo a macerare i riccioli
infiniti e il rosa acceso del pube equatoriale? E se fosse stata la preda
all’interno della banda delle Norvegesi o delle Canadesi il pube sarebbe stato
quasi polare e bianco abbagliante? E avrebbe usato quella banda oli vischiosi e
tumefatti? E’ importante sapere chi stia parlando? Se non lo scriveva Sarenco,
che sul biglietto da visita scrive “poeta” e l’indirizzo di una casella postale
di Malindi, e lo scriveva Vuesse Gaudio, che sul biglietto da visita all’inizio
degli anni novanta poteva mettere quello della casella postale 340, 20101
Milano[che era quello della The Walt
Disney Company Italia SpA], il senso di quello che ha
scritto Sarenco, che dipende da chi lo dice e in quali circostanze e perché,
avrebbe avuto senso? E’ la norma, questa, in generale; perché quindi non
dovrebbe valere in poesia, e perché dovrebbe un poeta andare in Kenia per dire
che le somale-farfalle mettono a macerare i riccioli infiniti e il rosa acceso
del pube equatoriale?
La banda delle somale e il Mercato Municipale di Eldoret. Divagazione ziffiana sulla poesia geografica di Sarenco e sul Dasein. Ê
La banda delle somale e il Mercato Municipale di Eldoret. Divagazione ziffiana sulla poesia geografica di Sarenco e sul Dasein. Ê
5. Senza dubbio è difficile
forzare le parole di Sarenco per sostenere che nella poesia si dica proprio
questo o quello. Nonostante ciò, prima o poi si esaurisce l’analisi e si può
definire che cosa vi sia detto, per poi domandare: è vero?
E’ vero che cosa? Possiamo
semplificare le cose supponendo che la poesia consista soltanto dei primi versi
citati: un poeta avrebbe anche potuto scrivere un componimento di questi soli
otto versi. E come per Paul Ziff il nostro problema è “verità e poesia”, non
questo o quel componimento poetico particolare. Possiamo dunque supporre che
Sarenco abbia scritto gli otto versi citati, e poi, se ne è andato a letto con
la preda che era arrivata in taxi, essi costituiscono l’intera poesia. Dovrebbe
allora risultare meno difficile definire che cosa vi è detto, anche se non è un
poeta dialettale e senza sapere, noi, chi fosse stata la preda, Amina, Fatma,
Sadia o Sadika. Cosa diceva Donne? Che non vi è piacere se non è multiforme, e
Paul Ziff poi aggiunse che era implicito che per il piacere si intende l’amore[iii],
anche se, a ficcarci anche il poeta V.S.Gaudio, qualcosa del Bonheur, non solo come lo intendeva
Camus, da qualche parte su quel letto a sei piazze vuoi che non sia illuminato
dal rosa acceso del pube equatoriale di una di quelle Somale?
6. Sarenco si comporta sempre, tuttavia, in modo ambiguo. Quando fa il poeta lineare ha qualcosa del poeta visivo, o della concretezza del poeta dialettale, anche se la sua libido non ha la Umwelt circoscritta di questi, né quel campo di coscienza ristretto tipico dei poeti dialettali, anche di quelli che hanno il campo di coscienza più largo. Nel 1990, dice, in un’altra poesia di quell’anno, che ha mangiato una capra bollita, una vecchia capra bollita, che deve essere per via della faccenda della gallina vecchia che fa buon brodo, altrimenti che vorrà dire? Anch’io ho mangiato la testina di capra, non solo dentro i riti della ‘ndrangheta nei santuari dei monti della Calabria, che, le metti la K davanti, è un po’ montuosa come il Kenia, e, per questo, a culo non stanno mica tanto giù rispetto alle chiappe di Fatuma. Tanto che ho letto a una mia amica di questa terra del delta del Saraceno la poesia I funghi di Kakamega [iv] ed è stato come se l’avessi letta a un bambino, il bambino che appena ho finito mi chiede: Ci sono davvero le strade di Lunga Lunga e sono lunghe lunghe? E io dico e i millepiedi di Makalanga come saranno, ti sembra che un millepiedi di Makalanga possa essere chi tra gli Skylanders ? La mia amica, che non è stupida, anche se purtroppo pare che sia nata proprio in questo habitat, non mi ha chiesto: E’ vero quello che scrive il poeta? S’è messa a tradurla in dialetto locale: “I fùng ‘i Kakamèga, i stradë ‘i lungalùnkh, i bandìti ‘i Kassànë( o: ‘ì Kurigghiānë), ‘i zanzàrë dù pantānë, i guaglinellë ‘i trëbisāz, ‘u jùmë cìt d’u Saracīnë, ‘u jurnusu vrušentë di quadarārë, i maškërë ill’albidōnë, i palmë d’u lungomarë ‘i trebisāz, ‘u panë ‘i circhiārë, i cipùllë ‘i castruvillërë, iggiujèll d’agropölë, ‘i sardicèllë ‘i trebbïsàz, ‘i pipirūss ‘i Sinīs, ‘i varck ‘i dumìnïch’aīnë, ‘u drāghë d’ù Saracīnë, ‘u pantānë ‘i casālë-nūvë, ‘u vūšk d’ù pantānë, ‘a forēst d’u torinēsë, i lūpë breshë, i ciucc ‘i ll’albidōnë, ‘i pūrk ‘i sìbbärë, i sard d’a minnulārä, ‘a fiss’i sorītë, sorë onnë-tēnk..’nkūlē-t-vēnk,’i purtuāall ‘i trēbbisāz, i fùng ‘i kastrorèg”.
SARENCO-VERDI una rosa è una rosa e una rosa antologia della poesia lineare italiana 1960-1980 factotumbook 25, edizioni factotum-art verona 1980 |
6. Sarenco si comporta sempre, tuttavia, in modo ambiguo. Quando fa il poeta lineare ha qualcosa del poeta visivo, o della concretezza del poeta dialettale, anche se la sua libido non ha la Umwelt circoscritta di questi, né quel campo di coscienza ristretto tipico dei poeti dialettali, anche di quelli che hanno il campo di coscienza più largo. Nel 1990, dice, in un’altra poesia di quell’anno, che ha mangiato una capra bollita, una vecchia capra bollita, che deve essere per via della faccenda della gallina vecchia che fa buon brodo, altrimenti che vorrà dire? Anch’io ho mangiato la testina di capra, non solo dentro i riti della ‘ndrangheta nei santuari dei monti della Calabria, che, le metti la K davanti, è un po’ montuosa come il Kenia, e, per questo, a culo non stanno mica tanto giù rispetto alle chiappe di Fatuma. Tanto che ho letto a una mia amica di questa terra del delta del Saraceno la poesia I funghi di Kakamega [iv] ed è stato come se l’avessi letta a un bambino, il bambino che appena ho finito mi chiede: Ci sono davvero le strade di Lunga Lunga e sono lunghe lunghe? E io dico e i millepiedi di Makalanga come saranno, ti sembra che un millepiedi di Makalanga possa essere chi tra gli Skylanders ? La mia amica, che non è stupida, anche se purtroppo pare che sia nata proprio in questo habitat, non mi ha chiesto: E’ vero quello che scrive il poeta? S’è messa a tradurla in dialetto locale: “I fùng ‘i Kakamèga, i stradë ‘i lungalùnkh, i bandìti ‘i Kassànë( o: ‘ì Kurigghiānë), ‘i zanzàrë dù pantānë, i guaglinellë ‘i trëbisāz, ‘u jùmë cìt d’u Saracīnë, ‘u jurnusu vrušentë di quadarārë, i maškërë ill’albidōnë, i palmë d’u lungomarë ‘i trebisāz, ‘u panë ‘i circhiārë, i cipùllë ‘i castruvillërë, iggiujèll d’agropölë, ‘i sardicèllë ‘i trebbïsàz, ‘i pipirūss ‘i Sinīs, ‘i varck ‘i dumìnïch’aīnë, ‘u drāghë d’ù Saracīnë, ‘u pantānë ‘i casālë-nūvë, ‘u vūšk d’ù pantānë, ‘a forēst d’u torinēsë, i lūpë breshë, i ciucc ‘i ll’albidōnë, ‘i pūrk ‘i sìbbärë, i sard d’a minnulārä, ‘a fiss’i sorītë, sorë onnë-tēnk..’nkūlē-t-vēnk,’i purtuāall ‘i trēbbisāz, i fùng ‘i kastrorèg”.
Esistono vari modi di guardare
le cose, e uno è quello di chiedere “E’ vero?” mentre si guarda. Se guardo una
poesia visiva, non solo di Sarenco ma anche di Franco Verdi, e mi chiedo “E’
vera la lettera frantumata?”, guardo la poesia visiva in un dato modo.
Supponiamo che io prenda la lettera frantumata di Franco Verdi per farci una
poesia lineare, e poi mi chieda “E’ vera la lettera E?”; che devo rispondere?
7. Come nella poesia dialettale, oltre l’ ambigua e apparente univocità del tertium non datur, una trappola della poesia di Sarenco è quella del pedinamento stesso o inseguimento come doppia vita dell’altro, modalità baudrillardiana con cui non si dice: “L’altro esiste, l’ho incontrato”, ma bisogna dire: “L’altro esiste, l’ho seguito”. Sia la banda delle Somale che Maria di Eldoret sembra che siano inseguite, o come se l’ incontro così indiscreto, per non essere troppo vero, troppo diretto, dovrà essere con ogni evidenza troppo indiscreto. Si esercita sulla figura femminile il “diritto fatale di inseguimento”. Questa virtù dell’Heimlich che sottentra nei personaggi della poesia di Sarenco, una sorta di fatalità indistruttibile dell’Altro, è come l’”irredentismo dell’oggetto”, l’”estraneità radicale”, l’”esotismo irriducibile”; ed è da qui che, in un altro testo, si potrà cogliere quella che Jean Baudrillard intende per “declinazione della volontà” e che, nella poesia geografica di Sarenco, rende di una evidenza perfetta ciò che, visto da una prospettiva d’insieme, manca al mondo, al senso che non ha frammenti, linee spezzate, forme segrete dell’Altro.
Un’altra trappola ancora della poesia
geografica è questa del dettaglio, con la sua eccentricità e la contiguità
frattale, drammatica come un’immagine fotografica, col suo silenzio e la sua
immobilità. Provate a leggervi di nuovo Maria di Eldoret: questa immagine
fotografica che è un mondo frattale di cui non si dà equazione né sommatoria in
nessun luogo, anche se quella donna è lì in quel luogo, vista nel dettaglio, colta
di sorpresa: Ridono gli occhi e i denti, tra lenticchie e pomodori (al Mercato Municipale di Eldoret), tra
cipolle rosse sbigottite e tabacco da annusare: immagine fotografica, rende
conto dello stato del mondo in nostra assenza. E’ apparenza Maria di Eldoret
che proviene da un altrove, dal suo proprio luogo, dal cuore della sua
banalità, dal cuore della sua oggettualità; come ogni altro, come avviene anche nella poesia dialettale di Mario Grasso,
fa irruzione da tutte le parti, con la delicatezza patafisica del suo senso che
non vuole riflettersi, vuole essere colto direttamente, violentato lì per lì,
illuminato nel dettaglio, oggetto stupefatto che capta l’obiettivo del poeta, è
il bagliore didonico, questo bagliore
di impotenza e di stupefazione che manca completamente alla mondanità della
lingua, della poesia, nazionale. “C’è del fotografico solo in ciò che è
violentato, sorpreso, svelato, rivelato suo malgrado, in ciò che non avrebbe
mai dovuto essere rappresentato perché non ha immagine né coscienza di se
stesso”, dice Baudrillard[v]
: o forse, al contrario, all’improvviso,
per effetto del suo stesso bagliore didonico , l’immagine e la coscienza di sé
esplodesse come patagonico Dasein
somatico al Mercato Municipale di Eldoret.
Pokot, Kenia |
Se lo stessimo leggendo sulla “Gazzetta
del Sud”, non resterei sbalordito alla domanda “E’ vero?”. Ma se stiamo
leggendo Sarenco e una persona adulta, indicando il verso di Semeni I, chiede “E’ vero?”, allora
penso che quella persona sia stupida, e probabilmente afferente a quelli della
banda che hanno fregato la flotta d’Ainë mentre stava a fare il nove a Calipso
all’isola di Ghawdesh manco fosse Maria di Eldoret.
9. E’ inutile dire soltanto che normalmente non si domanda “E’ vero?” quando si legge una poesia, mentre lo si domanda quando si legge un articolo di giornale. O anche una poesia in dialetto. Ci sono dei poeti dialettali, che scrivono il dialetto che a leggerlo scritto, in un paesino di 675 abitanti di tutte le età, a cui non bisogna chiedere soltanto “E’ vero?” quello che ha scritto ma anche gli si può chiedere “E’ vero che per pubblicare questo ti sei venduto quei tre vani che t’aveva lasciato quella tua zia zitella?” E non è sufficiente dire che non si può rispondere alla domanda, anche perché a furia di scrivere poesie dialettali per quelle 675 persone che, poi, passato il secolo, sono diventate di botto 243, comprese le galline dell’unico pollaio che ancora c’è a ridosso del casello ferroviario senza che ci sia più il casellante, il poeta stesso se n’è andato a Roma dove è lì che si incrociano le lingue del mondo, e anche i dialetti del suo paesino, e quelli che vanno a violentare le ragazzine nel giorno più simbolico non solo per la città ma anche per l’umanità cattolica, e questo è vero, non perché lo si è scritto sui giornali, ancorché lo si sia scritto come ormai sui giornali vada tutto scritto secondo i dettami di Bilderberg, è vero perché è vera l’Herkunft del violentatore indicato. Dico a qualcuno: “Se devi leggere i giornali, il solo modo intelligente di leggerli è quello di leggerli con occhio critico”. Voglio quindi che, mentre legge, egli si chieda con una certa frequenza “E’ vero?”. E’ uno dei modi di leggere qualche cosa. Domandarsi “E’ vero?” ha un senso nella lettura di giornali, libri di storia, cronache di avvenimenti sportivi, gare ciclistiche, partite di basket, partite di calcio, e così via. Non credo però che abbia molto senso nella lettura della poesia. Se dite “E’ vero?”, a proposito delle poesie lineari di Sarenco, il soggetto di “E’ vero” è simile al soggetto dell’espressione “Sta piovendo” anche in Kenia. Che cosa è vero, infatti? “Il componimento poetico è vero” sarebbe un’affermazione strana se riferita alle poesie di Sarenco, ma anche a quelle di Luciano Troisio, e “Questo è vero” sarebbe un’affermazione non pertinente se riferita a un verso qualunque, preso isolatamente e fuori del suo contesto. Non si deve dire pertanto “E’ vero”, ma “C’è (della) verità in essa”. Anche perché anch’io ho pensato alle chiappe di Fatuma, l’altro giorno sulla strada durante la passeggiata di mezzogiorno, e anche ai seni splendenti di Suli Suli, e alle lunghe mani di Maria di Eldoret. E’ vero!
10. Nella poesia geografica di Sarenco, un po’ come in Franco Loi (cfr. Stròlegh, Einaudi, Torino 1975), vedete che il poeta sta facendo una novella in versi, una romanza, ma è la romanza-metafora che specchia, con almeno tre funzioni di Isenberg, una situazione iniziale che è sempre la sua biografia; così, pur non avendo come riferimento la macrostruttura narrativa di Isenberg, combina il paradigma con l’attante, che è sempre l’io di chi narra, rammenta. Un po’ così la tira pure, la macrostruttura narrativa un altro poeta dialettale: Raffaello Baldini (cfr. La nàiva, Einaudi, Torino 1982). O, analogamente,Tonino Guerra (specialmente nei versi di I bu, Rizzoli, Milano 1972), anche qui vedete che c’è una stretta correlazione tra la struttura della poesia e quella del racconto; la macrostruttura narrativa contiene sempre almeno tre delle cinque funzioni di Isenberg e la funzione discorsiva ha una concatenazione monotematica che smeriglia la ridondanza semantica; e vedete, infine, che la circolarità semica è speculare all’interazione tra l’io che narra e l’altro di cui si narra. Però, la poesia geografica di Sarenco non ha niente della poesia dialettale connessa al Dasein del poeta, che non ha procedimenti metaforici, un po’ come “el Periódico” che parla catalano, cioè scrive catalano, è scritto in catalano, non va da un termine di partenza per arrivare a quello di arrivo con la proprietà comune che permette la metafora: a) attuando una traduzione più o meno letterale; b) ridefinendo l’oggetto di partenza. Diciamo che nella poesia geografica non si è costretti ad usare quel “linguaggio di crescita”, con cui si ha un uso corrente, contestuale e situazionale del linguaggio che possa rendere più vera, o più verosimile, la referenza al Dasein. Ma non si può dire che non abbia anch’essa in uso il “codice ristretto” della lingua in uso, e non avendo particolari procedimenti metaforici, non si può altresì dire che il linguaggio sia, perciò, poco poetico : la verifica degli Indicatori Globali e dell’I Ching, come abbiamo fatto per la poesia dialettale connessa al Dasein di Mario Grasso[vii] ma anche per la poesia di Amelia Rosselli[viii], potrebbe addirittura stupefarci per via del fatto che possa produrre, per la poesia geografica di Sarenco, l’esagramma 53.Tsienn, quello in cui il trigramma del Vento soffia su quello del Monte, l’esagramma del progresso graduale, corrispondenza che combina l’”irredentismo oggettuale” all’”attrattore strano”: la linea iniziale dell’esagramma Tsienn è tutta nel basso e nella potenza dell’Heimlich dell’oca regale che si avvicina gradatamente alla sponda e siamo già nel paradigma del viaggio, che dall’acqua verso le alture fino all’ambiguità etica della linea spezzata al 4° posto, ed è l’albero o un semplice ramo piatto, che, avendo sopra la complessità rattenuta che è quella dell’oggetto “a” costantemente proteso al ramo della vetta, al Meridiano, ed è per questo che l’erotica delle figure femminili si configura sul paradigma della “moglie che per tre anni non rimane incinta”, fino alla buona iconicità delle immagini, è la riga sopra, che fa il vento e il librarsi del volo delle oche reali: i segni misti dell’esagramma mostrano l’altro paradigma speculare a quello della “moglie”, che è la “fanciulla che viene data in sposa e che deve aspettare che l’uomo agisca”, come al Mercato Municipale di Alboret: il progresso graduale, ovvero lo stile di Sarenco, lo stile dell’oca reale che si avvicina prima alla sponda e poi alle alte nubi, quello dell’onda lunga e misteriosa e delle dolci montagne equatoriali, fino alle cipolle rosse al Mercato di Eldoret, un pedinamento del senso o dello schema verbale che si stende come una sorta di parallelo-Heimlich tra la sponda, l’altipiano, l’albero con il ramo piatto, la vetta e il volo tra le alte nubi[ix].
[i] Paul Ziff, “Verità e Poesia”,
in: Idem, Itinerari filosofici e
linguistici, © 1966, trad.it. Editori Laterza, Bari 1969.
[ii] Sarenco, La banda delle Somale, in: Idem, Poesie Scelte 1961-1990, Poetry is Over Collection, s.i.d.:pag.125.
[iii] Cfr. Paul Ziff, ibidem.
[iv] Sarenco, I funghi di Kakamega (1990), in: Idem, Poesie Scelte 1961-1990, ed.cit.: pag. 124.
[v] Jean Baudrillard, La trasparenza del male, trad. it.
Sugarco edizioni, Milano 1991: pp. 165-166.
[vi] Sarenco, Semeni I, in: Idem,
ed.cit. :pag. 127.
[vii] Cfr. V.S. Gaudio, ‘U Porcu assicutava na Criata. Divagazione
ziffiana sulla poesia di Mario Grasso, © 2007, Uh-Book 2015 on
Youblisher. E’ consultabile online
anche su “Il
Cobold”.
[viii] V.S.Gaudio, AMELIA’S SPRING. La
Stimmung con Amelia Rosselli sull’impeto del desiderio o sul piglio elastico
della primavera che balza ora qui ora
altrove, “Zeta”, rivista internazione di poesia e ricerche, n.82, Campanotto editore,
Udine dicembre 2007.
[ix] Adottando
il metodo di cui abbiamo riferito in altri studi(vedi nota precedente), si
mostra qui come l’esagramma dello stile della poesia geografica di Sarenco si è
formato: al 6° posto, la riga sopra è quella della iconicità abbastanza buona,
la linea è intera: ▬ ; al 5° posto, la complessità
rattenuta codifica un’altra linea intera:▬;
al 4° posto l’ambiguità etica, e quindi anche semantica, delinea una riga spezzata:
– – ; al 3° posto la pregnanza espressiva e visiva configura una linea intera :
▬ ; al 2° posto la carica
connotativa aperta è da linea spezzata: – – ; all’inizio, il codice ristretto
produce un’altra linea spezzata: – –. Il trigramma superiore, tra iconicità e
ambiguità, è Sunn, il Vento; il trigramma inferiore, tra la pregnanza e il
codice ristretto, è Kenn, il Monte, la salda costanza da cui ha inizio l’inesauribile movimento in avanti.