Il
casello e il poeta-fantasma ◌
Il poeta-fantasma è
annoiato; è già difficile per un fantasma qualunque, non provare, per gran
parte del tempo, un profondo, lento senso di noia, figuriamoci cosa può provare
un poeta-fantasma!
Il poeta-fantasma abita
in un casello, a differenza del fantasma che abita sempre e comunque in un
castello, anche nel microromanzo Quarantuno
della Centuria di Manganelli, il
castello di costui è in condizioni men che mediocri, e desolato[i]. Se venite a vedere il
casello ferroviario del poeta-fantasma, vi renderete conto che la desolazione,
pur essendo il principio di un determinato paradigma poetico, è qui l’archetipo
della devastazione e della dissoluzione, d’accordo non c’è ancora il crollo ma
lo sfacelo e l’abbandono sono evidenti. Ci sono topi, civette, pipistrelli,
cornacchie, gatti, cani e animali inverosimili formatisi per strani incroci
genetici tra l’habitat del bosco , del mare, della ferrovia, abbandonata ma con
nuovi impianti elettrici, della strada nazionale, non più statale e perciò
coltivata da un ente chiamato Provincia, che il poeta aveva sempre pensato che
servisse per la sigla delle targhe delle automobili nuove fiammanti degli
zingari, e dell’agricoltura dell’erba, l’erba , e la fabbrica dei falsi
braccianti e tagliatori di erba, che, ogni tanto, fanno finta di arare, con i
loro potenti mezzi meccanici, la terra, tra oleandri, uno o due pioppi, tre
fichi, piante di capperi, mirtilli manco a parlarne, mirto, lentisco, ed
eriche a ridosso della massicciata della
ferrovia. Il casello ha un modesto valore catastale: le finestre e le porte
sono state tutte tappate, non serve nemmeno per innamorati clandestini di
passaggio: una volta, c’era ancora il passaggio a livello, e allora si arrivava
, con la strada asfaltata in mezzo al bosco, in riva al mare, e si poteva poi
spargere qui e là in copie infinite profilattici per dire a probabili, augurabili, passanti depressi e
solitari: guarda un po’, coglione, come si chiava qui! Il poeta-fantasma ebbe
lui stesso modo di coltivar un
fantasmatico rapporto tra il casello e
il passaggio a livello: una giovanetta in bicicletta, ferma al passaggio a
livello chiuso, s’accorge un mattino a ridosso del solleone che dalla finestra
il poeta la sta guardando e, pervasa da tanto gaudio, destinata a farsi oggetto
“a” irredento del poeta, si lascia toccare il podice sul sellino, prima secondo
gli items del Contatto, e, poi,
secondo quelli della Carezza: con l’ item 2 (=toccare una parte, un punto del
corpo), il poeta la tocca, mettiamo, con
un dito, le tocca un braccio, il polpastrello dell’indice è sensibilissimo e il
poeta sa farne uso, e dice alla ragazza questi versi di Francisco de Quevedo:
“Un’anima che ha avuto un dio per carcere,/ vene che a tanto fuoco han dato
umore,/ midollo che è gloriosamente arso,/ il corpo lasceranno, non l’ardore;/
anche in cenere, avranno un sentimento;/ saran terra, ma terra innamorata”[ii]. In quel momento passa il
treno, e l’eroe tattile con il polpastrello dell’indice tocca il podice seduto
sul sellino. Le sbarre del passaggio a livello tardano ad alzarsi e il poeta
passa all’uso dell’item D della Carezza:
preme con decisione arrivando anche a pizzicare con discrezione o accarezzare pesantemente(= è il gesto che
corrisponde alla quarta porta: quella del bacio)[iii]. Al prossimo passaggio,
passerà all’item E, la quinta porta, quella dell’azione: manipolerà il podice
della ragazza, e oltre che misurarne il meridiano con un dito, entrati nel
casello abbandonato, dalla finestra, guarderanno il passaggio del treno, il poeta
su quel meridiano farà sentire alla giovane pedalatrice come sia ormai prossima
a farsi oggetto “a” irredento per il (-φ) del poeta nei lunghi inverni che verranno, e
anche negli autunni, quando tutto sarà chiuso e abbandonato e non ci saranno
più treni a far vibrare, con il loro passaggio, l’animus della giovane e
l’anima del poeta. Qualcuno va dicendo che fu allora che la giovane
pedalatrice, arresa a quel ludus amoris,
pervasa da quell’incoercibile gaudium così
poetico, ebbe a cantare i versi del mistico persiano Djalal-Ad-Din Roumi: “Il
tuo amore mi fa vibrare/come un organo/e i miei segreti si rivelano al
tocco/della tua mano/Tutto il mio corpo spossato somiglia/ad un’arpa/ad ogni
corda che tu tocchi, io gemo”[iv].
Un fantasma può
meditare, leggere, camminare, e se è abbastanza stupido o annoiato, fare rumori
e scuotere le tende; invece il poeta-fantasma, oltre che meditare, leggere e
scrivere poesie che non pubblicherà mai più a pagamento, può addirittura far
riapparire il passaggio a livello rimosso o chiuso e far passare un treno
infinito, ma allora la ragazza che arriva in bici si spaventa e non si ferma ad
aspettare che il treno passi, se ne torna indietro, e capita che il
poeta-fantasma le corra dietro gridandole: “E allora non vibri più, e i tuoi
segreti non potrò rivelare al tocco della mia mano?” Il poeta-fantasma, da
giovane, fu un ottimo velocista ma
adesso è un’altra cosa, e poi la ragazza non lo sente, né può vederlo: è un
fantasma, ma lui ancora le urla: “Fermati, sei l’analemma esponenziale del mio
oggetto “a” e passi al mio meridiano ogni volta che passa quel treno di allora,
dai, vieni qui al mio casello, non lo sai che è proprio in questo momento che
la luna transita sul grado 112, dove c’è il mio mezzopunto Luna Nera/Ascendente
e il tuo punto arabo dell’Animus, che è anche il grado del tuo podice
sull’orizzonte del passaggio a livello?”
Ma la ragazza sente solo
degli strani brusii, un dito che le sfiora i calzoncini, una mano che cerca di
afferrarla per la treccia, e il poeta-fantasma, che ormai è abbastanza stupido
e annoiato come un qualsiasi fantasma, non sta che realizzando lo schema
verbale tipo del fantasma: spaventare e far fuggire la persona che voleva
essere toccata per essere fantasmata in eterno dal poeta.
◌ by Gaudio
Malaguzzi