L'allure 32 dell'amore infinito ♥ Marisa Aino & V.S.Gaudio














L’allure 32 dell’ amore infinito. 
Il quadro di Barthes
by Marisa Aino & V.S.Gaudio
(…) o l’arancio se rovesci un giorno se ritorniamo qui a farlo se sposti la carriola e mi prendi sulla scala c’è un segno o perfino la pelle(…) → cfr. la posa del caffè e la psicanalisi 33   La stagione delMedlar-Sky → “pingapa”


L’amore che resiste nel tempo, questo mi disse un giorno
mia moglie che nel tempo tanto amore mi aveva dato e altrettanto
ne aveva ricevuto se non di più per come ne coltivavo immagini e
situazioni nei piaceri singolari infiniti e diuturni, circadiani, dentro la piega
e nell’onda di ogni ciclo del bioritmo, e nell’ analemma esponenziale che veniva
a farsi demone meridiano e dea postmeridiana, della controra e dell’alba,
dei crepuscoli astronomici e nautici, civili, disse mia moglie che l’amore
intanto che cresce e si fa grande e già lo era quando nacque
perché io avevo le trecce e la camicetta con la cravatta e quell’andatura che
quando l’hai vista entrare nel tuo quadro ed eri nella bottega della finta
falegnameria a  fare il guardiano postmeridiano e già allora eri postmoderno
per quell’aria tutta gaudiana che avevi anche quando non mi stavi
guardando passare di bolina attraverso la piazzetta  dall’angolo del caseggiato
di mio nonno ed ero dunque in quella diagonale che stavo andando
e nella tua finestra, come scrisse Roland Barthes[i], la mia andatura
si è fatta quadro e oggetto “a”, hai detto l’oggetto “a” basico, l’assoluto, il mio amore
grande e infinito che mi tiene sull’eclittica, e sempre s’innalza  al mio meridiano
fossi anche in Patagonia o in Mongolia, in piazza Solferino a Torino o in via Roma,
in via Po, al mercato della Crocetta a toccar il culo sabaudo, questo mi disse
un giorno mia moglie e disse ancora che sai a cosa penso spesso a quando
andavamo nella giovinezza del nostro esserci e del nostro amore in campagna
nel giardino dello Zen dell’Arancia di Mia Nonna, e mi prendevi l’amore seduto
su quella sedia impagliata e fu allora che venni al meridiano del gaudio
facevamo la giocosa del Foutre du Clergé de France che è la 32[ii],
che è un po’  quella da cui vengono fuori, a seconda del bioritmo dell’amore,
quella del mondo rovesciato e del mondo aperto e rovesciato, o,
se si vuole far star seduto il mio amore, in mezzo al verde e agli aranci,
quella della misteriosa e del clistere portentoso, e non eravamo in Sud America
con la tua ragazza triatomica, l’elegante cimice nuda,
sudiciamente supina, ovunque dal Sud America chiazzata
te la ricordi? La ragazza triatomica di Chagas[iii]
serena allegra appurata
inchiodata
di fianco, seduta, in piedi
a tergo
tu, con questa ragazza del  Chagas, e io, questo aggiunse un giorno il mio
amore assoluto, che pure come lei inginocchiata, nel tuo quadro
e quell’andatura nella piazzetta, fu così che da immediato oggetto
multiforme a senso ora e sempre mi contieni, Erlebnis appunto noetico
dal volgermi l’amore si  epochizza  per cui sempre mi scopri nuova vita
da cui sfuggo a divenir cosa
il senso della durata, da quegli istanti
i valori infiniti dell’esserci , io è a quel tuo (-phi) di allora che mi enuncio
come fantasma da chiavare, legno che tocca il prato
che sotto il dito e il (-phi) unisce e lega, se schiocca o
se l’intervallo si fa misura, l’erba che stringe tutt’intorno
dentro la luce se è suono, l’arancia che taglia l’aria
da un lato all’altro dove tutto ciò che si leva
quella carriola rotta e la scala appoggiata all’ulivo
se getta i colori il vento, se pieghi l’ombra oppure
inumidisci la polpa, e da un lato all’altro
l’amore mio si leva, intorno e disteso, immerso
piuttosto che più in là
il caldo, la linea d’orizzonte cambi l’ordine,
i segni, le posizioni sulla sedia e sull’erba
la macchia di Lacan, là la vedi? Dove trattiene il
rosso o l’arancio se rovesci un giorno se ritorniamo
qui a farlo se sposti la carriola e mi prendi sulla scala
c’è un segno o perfino la pelle che da allora fruscia
e vola o ronza o se sollevi ligne par ligne il mio corpo
e facciamo la 34 du Foutre du Clergé la chaleur,
l’amour, quel jour, nel giardino di Mia Nonna dello Zen,
où tout ça ne fait plus qu’ un seul geste,
l’amour, adesso che lo ritrovi che cammina,
è differenza dell’amore, fuori niente è cambiato
disse ancora il mio amore infinito: la piega del sole
forza il blu, te lo ricordi quel mio vestitino di seta col
cinturino, maledetto amore mio, di fronte al testo
la felicità passa al limite nudo di un orlo
e non è detto che sia quello delle mutande “La Perla”
e non è sempre l’alba che trascina amore, anche il pomeriggio
non è male per fare la carriola, di fuori dall’aranceto
l’acqua dell’acquaio incrocia l’orizzonte a sud
lì si legano la linea e il sogno, à chaque caresse la figura arriva
dove guarda poiché ti tocca un po’ dappertutto da ogni lato
dove altri la toccano, adesso la ritrovi che cammina,
attraversa la piazzetta o l’aranceto, il sentiero che dal cancello
porta al fabbricato e al pollaio, ci sono alberi, gelsi e fichi,
che pare che siano messi fuori dalla foresta o dal bosco del pantano
sulla strada l’andatura della tua ragazzina quando si incrociano
le linee dei fatti e l’amore cresce e mi prende seduto
che luce lascia il corpo, che cosa taglia ad angolo retto
il nostro libro? Che cosa fa crescere così il nostro amore?
E si fonde eco o caso, legno a ridosso della scala, un po’
pietra o tatto che sotto il (-phi) unisce e lega
e l’inguine perde l’orbita, come mi dicevi amore mio
maledetto e infinito con Vicente Aleixandre[iv]?
sobre muslos de piedra, dolce maschera bianca,
cuerpo feliz que desciende cantando
nodo di presenza, un giorno intatta innocenza
da cui il fuoco il corpo felicità mi stende le braccia
o dove il mondo guancia dove i soli toccano carne
allora sedersi sopra un argine basta allora sedersi
su quella sedia che così posta è la memoria come
filo o saliva o sperma o il crepuscolo rosato, il miele
della mia andatura, dammi solo amore sopra la terra
umida e i trifogli, maravilla lucida labbra, l’acqua misterio oculto o
l’azzurro che si leva, il clamore della terra, alzami quel vestitino
azzurro il cielo felice voglio fiore acqua foglia sete
lamina fiume o vento o infinito laggiù bosco che si cela all’uomo
o una pioggia o se il saraceno da se stesso si allontana
nell’azzurro le arance l’occhio o il palpito di questo mondo
che sento che cade ad occidente dove non c’è il mare
o se c’è da qui non si vede unico, né felice trasparenza
né segreto midollo dell’osso delle tigri, così trema tanto
amor  angelo uccello lieto l’aria quieta la bocca il limone
sopra l’erba  la superficie del polline o il piede o suspiro
o il silenzio, il pulviscolo fine su cui gravita il nome,
che, è un incanto, è proprio sul gaudio che adesso il mio culo
o il fondo de ese mar donde
l’ amore gli abbracci  la giovane delizia


[i] Cfr. Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, trad.it. Einaudi, Torino 1979: in particolare il paragrafo 5. di Rapito in estasi a pag.165 e 166. Vedi anche L’arancia, a pag.94,  per l’obbligo di spartizione; e il Gaudium e laetitia, a pag.47 e 48,  per il possesso perpetuo e il piacere allegro della giovane delizia.
[ii] Cfr. Les quarante manières de  foutre, dédiées au Clergé de France[1790], Librairie Arthème Fayard, 1986. La Giocosa, che, in virtù della radicalizzazione dell’amore assoluto del poeta, può essere sostanzialmente rinominata La Gaudiosa: “Il poeta, seppur ancora in erba , prende posto sulla sedia impagliata nel giardino Zen di Mia Nonna dello zen dell’Arancia. Non è necessario che si abbassi i calzoni fino alle caviglie. L’innamorata futura moglie si mette a cavalcioni su di lui, che l’accarezza e le sta di fronte. Lei fa entrare il (-φ) di Lacan così morfologizzato [in quanto VS Gaudio], e ne fa [in quanto Aino Marisë] l’ αἶνος (leggi:ainos; gr.= lode, racconto) del “genere maschile”(=maris;lat.). Può anche disporsi in senso contrario,il poeta insinua allora le mani sotto le braccia dell’innamorata, e coglie i pomi di Venere di chi è nata di Venerdì: invertendo così la Gaudiosa in 33, che, essendo la Misteriosa, sarà qui denominata la Mistergaudiosa”. Per altro, come omaggio all’innamorata eterna, la Giocosa potrebbe essere titolata l’Ainosa, che ha in sé il sigma del sostantivo greco e la esse del genitivo latino “maris”. Aino Maris, come "lode" o "racconto del genere maschile", allittera anche “Aino Amoris”, come “lode dell’amore” o “racconto dell’amore”: per “amoris” genitivo di amor-amoris.
[iii] Cfr. V.S.Gaudio, Da “La temporalità dell’ombelico”(1973), in: Idem, Lavori dal desiderio, Guanda, Milano 1978:pag.40.
[iv] Cfr. V.S.Gaudio, La Stimmung del 25 ottobre 1977 con Vicente Aleixandre, in: Idem, STIMMUNG, Collezioni di Uh, Cosenza  1984.
Nella foto  Nettie Harris