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LANE
C’è una locuzione cara alla consuetudine di chi si
scopre disposto a distinguere, con umana misericordia eventi, fatti, materiali,
animali. Specialmente in merceologia, se si vuol rimanere all’esatto
significato da dare alla locuzione “lana caprina”. Qui tanto per eccedere ad
approssimazioni alla chiarezza verso gli amici lettori di prima adolescenza,
aggiungiamo che per lana si intende ogni lana, pelo proprio di alcuni animali
(ovini e caprini i più noti) anche se pare sia quella delle pecore la più comune
e disponibile. Ed ecco il tagliar corto con l’intento di precisare che, pecorina o caprina che sia, quando si tratta di lana è meglio evitare di cercare il
tipo di pelo che la caratterizza e fa distinguere. Tuttavia in tutte le realtà
della vita terrestre, come non c’è l’uomo completamente malvagio e quello
perfettamente sincero, così è per il resto, anche della materia inerte oltre
che, appunto, degli animali. Infatti c’è un terzo tipo di lana, pregiatissima
rispetto a quella delle pecore e delle capre. È la lana di alpaca, il
ruminante della famiglia dei camelidi, che al contrario di questi ultimi è
privo di gobba, e simile al lama. Vive in Bolivia e in Perù ed ha manto con
pelo foltissimo e lunghissimo, da cui si ricava un tipo di lana speciale. Un
tessuto di pura lana di alpaca, anche se sottoposto a lavaggi diversi, conserva
per anni il potere di lenire, in tempi reali rispetto alla sua applicazione,
qualsiasi tipo di dolore reumatico come se mantenesse un potere radioattivo.
2) Dotto o erudito
è questione di lana caprina? Meglio rispondere no. Il latino doctus, participio passato di docere rinvia all’insegnamento, quindi il doctus latino è colui “cui è stato
insegnato”, quindi “che è stato istruito”. Il significato originario è stato
esteso dal vocabolario italiano della comunicazione nazionale a indicare chi ha
una accurata preparazione in uno o più rami del sapere. Non sono pochi gli
ingegneri che hanno conseguito una secondo laurea, in medicina, come se ne
conoscono maniaci non sazi di quattro o cinque sudatissime lauree. E il
discorso, evidentemente, vale per altre scelte e comportamenti quando
presuppongono la perseveranza umana dell’indole, delle doti personali, che
variano da soggetto a soggetto; Giuseppe Giusti, fin dai suoi tempi, ci ha
messo nell’orecchio quella pulce del “Berrai lo scibile tomo per tomo /
sarai chiarissimo senz’esser uomo”.
3) Erudito ha
anch’esso radice latina, ma l’italiano non ha fatto proprio il significato
originario dell’erudire composto da rudis che significa rozzo, ignorante,
e dall’ex detrattiva che dà alla voce rudis l’accezione del dirozzare, che
era propria, appunto, del significante latino. L’aggettivo italiano, invece,
indirizza a identificare uno studioso che su determinati argomenti possiede
conoscenze superiori a quelle comuni dal punto di vista della completezza e
della sistematicità, ma con un tallone d’Achille un po’ discreditante, infatti
per erudito si finisce a intendere anche chi è ricco di conoscenze e nozioni ma
incapace di derivarne capacità illuminanti verso altri, capacità dimostrata
attraverso opere di ricerca e di creatività intellettiva che contengano,
amalgamate in tesi intellettuali, pareri, ed esiti di concrete esperienze,
nozioni che creano, spiegano, dimostrano, guidano, con serietà e documentazioni
scientifiche, come è in grado di fare, appunto, l’intellettuale e mai il
nozionista esibizionista con la sua pseudoscienza di compilatore di caselle di
giornaletti di enigmistica. Insomma, le preparazioni del dotto e dell’erudito
sono apprezzabili e da apprezzare (specialmente quando si palesano prive di
stimoli esibizionistici, o da cieca rigidezza). Tuttavia è sempre lieve
la sfumatura che aiuta a distinguere il tipo di diversità propria della
preparazione del dotto che è talvolta maggiore di quella dell’erudito, ma
altrettanto spesso un poco rigida, piuttosto schematica, meno aperta, forse
perché nasconde una intelligenza meno spiccata e / o meno feconda. Ed ecco
perché sarà meglio non far questione di lana caprina ogni qualvolta capiti di
volere a tutti i costi distinguere tra dotto e erudito. Lana caprina perché non
siamo all’alpaca, cioè all’intellettuale?
4) Un detto
popolare siciliano ammonisce sulla gradualità delle sfide e sulla convenienza
del tenere in massimo conto le occasioni in cui non bisogna tirarsi indietro.
L’esempio non viene proposto in chiave metastasiana del “Voce dal sen fuggita
poi richiamar non vale” ma con formula che presuppone il cruento e il
delittuoso con disponibilità di attrezzi di offesa-difesa d’altre epoche:
l’arma bianca. Dice, più o meno il proverbio, che una volta tirato fuori dalla
tasca il coltello, lungi dal riporlo è meglio adoperarlo subito. Come a
sottintendere che sarebbe errore grave esibire l’arma per poi non adoperarla (in
altro codice la minaccia diventa arma a disposizione del minacciato). In questo
nostro caso non c’è sfida e non ci sono armi bianche del genere che fu caro ai
siculi compari Alfio e Turiddu. Probabilmente sono armi anche le parole,
la retorica. Non per nulla si esaspera con i proverbi di “Ne uccide più la
lingua che la spada” e /o “La lingua non ha osso ma può rompere ossa”.
5) Le lane a
questo punto sono state servite, e ciascuno ne coglierà distinzioni dal momento
che abbiamo strattonato il lungo pelo-super dell’alpaca. Tra dotti, eruditi,
intellettuali non sarà sempre una questione di pelo al momento di distinguerne
differenze. Personalmente non sapremo esimerci dal fare qualche nome di
intellettuale del passato prossimo italiano, ponendo che l’esempio possa
aiutare chi abbia curiosità di poter distinguere i criptici e frequentissimi
dotti e eruditi dai più riconoscibili e meno numerosi intellettuali. Esempi che
puntano sui nomi e non su teoremi anche per ribadire la nostra
mancanza di assurde pretese adatte a tracimare oltre il “parere di uno”.
Infatti cominciamo con il citare il punto di vista lezione sulla materia qui
invocata, punto di cista di un intellettuale chiaramente tale non certo solo a
nostro parere, quale è stato il compianto Tullio De Mauro, curatore
(tra i mille suoi altri meriti di lezioni, studi e opere filologico-linguistiche)
di un “Dizionario di sinonimi e contrari”, da cui prendiamo spunto per
l’omaggio alla memoria del compianto Maestro citando le conclusioni che vi si
leggono sul significante “intellettuale”: “Mentale, intellettivo,
razionale, concettuale, studioso, testa d’uovo (quest’ultimo detto in senso
scherzoso), intellighenzia, intellettualità”. E ci viene ancora spontaneo citare un Maestro indimenticabile,
Carlo Bo, che fu rettore dell’Università di Urbino e i cui contributi
culturali, quando quotidiani quando settimanali, ci capitava di leggere sui più
importanti organi di stampa nazionale del Secondo Novecento. Di Carlo Bo rimangono tanti bei libri di letteratura; Bo era francesista, ma anche un
luminare di resoconti letterari su temi universali, nonché di preziose tesi
personali (Letteratura come vita, del 1927) e fino a“Aspettando il vento”,
silloge di riflessioni quest’ultimo, sulla bonaccia-stagno della creatività
letteraria del momento in cui quelle riflessioni che auspicavano un cambio di
clima furono edite in volume. O la Maria Corti dei romanzi, ma meglio ancora e
più delle sue illuminate e illuminanti ricerche scientifiche. Discorso analogo
da ripetere per Italo Calvino, Giuliano Gramigna, Giuseppe Pontiggia,
Umberto Eco, etc. etc. tanto per restare nell’ambito degli studi umanistici e
del pensiero come Nicola Abbagnano (senza valicare il confine oltre il quale si
dovrà parlare di intellettuali e scienziati della Chimica, della Fisica,
della Medicina, delle Scienze spaziali, etc.) . O di Gianfranco Contini e delle
lezioni filologiche, delle analisi dantesche, della sua figura-modello di
intellettuale.
6) Intellettuale dunque perché si passa dalle parole
dell’erudito o del dotto, come fondamentale base del soggetto, alle lezioni,
esito delle proprie ricerche, approfondimenti e apertura di nuove frontiere,
che il soggetto stesso sarà pronto a trasmettere a chi si destina a diventare,
a sua volta intellettuale attingendo agli insegnamenti da dotto e erudito, fino
a quando, appunto, non sarà anch’egli intellettuale, producendo le proprie lezioni
assecondato dalle qualità del proprio intelletto e facendole fruttare col
seguire le orme dei Maestri, non per copiare in bella quanto i essi avevano
scritto e insegnato, ma per approfondire, creare, spiegare, ricreare filtrando
con il soccorso della propria sensibilità. Chissà quanti tra i milioni di
lettori del Leonardo Sciascia de “Il Consiglio d’Egitto”, l’ottimo romanzo, del
narratore più noto per il il più divulgato “Il giorno della civetta”, hanno poi
avuto occasione di leggere “La corda pazza”, l’opera saggistica che
automaticamente promuove il volteriano di Racalmuto a intellettuale, e non solo artista, scrittore, romanziere, nonché
tra i maggiori scrittori moralisti del Novecento. O ancora, restando in
Sicilia, il remoto Luigi Russo degli studi verghiani, il dimenticato Nicolò
Gallo, i più recenti Gino Raya, Pietro Barcellona, Giuseppe Giarrizzo. Non sarà
più una questione di lane caprine.